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Giulio Regeni, il testimone racconta la tortura e la richiesta di aiuto in arabo

  • Redazione Assodigitale
  • 3 Dicembre 2024
Giulio Regeni, il testimone racconta la tortura e la richiesta di aiuto in arabo

Giulio Regeni, il racconto del testimone

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Il testimone, identificato come «Delta», ha fornito un resoconto straziante sulla violenta esperienza vissuta insieme a Giulio Regeni nell’ambito di un processo che coinvolge quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il giovane ricercatore italiano. Secondo il suo racconto, il giorno del suo arresto, il 25 gennaio 2016, Giulio si trovava in commissariato, dove appariva visibilmente provato e disperato, chiedendo insistentemente di avere accesso a un avvocato e contattare l’ambasciata italiana.

Indice dei Contenuti:
  • Giulio Regeni, il testimone racconta la tortura e la richiesta di aiuto in arabo
  • Giulio Regeni, il racconto del testimone
  • La testimonianza del testimone
  • I dettagli dell’arresto
  • Le condizioni di detenzione
  • Le telefonate inarrestabili
  • Il processo e le implicazioni legali


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Il testimone ricorda di aver visto Giulio mentre era interrogato da un ufficiale, descritto come vestito con jeans e un pullover celeste. Dopo essere stati trasferiti in auto, entrambi furono bendati. Giulio continuava a parlare in italiano, ma il suo compagno d’arresto, in grado di comprendere la lingua grazie a esperienze passate con una compagnia italiana, non riusciva ad aiutarlo. Gli agenti, tuttavia, risposero in modo violento, colpendolo e affermando che Giulio parlava arabo meglio di lui. Ciò sottolinea non solo la drammaticità della situazione, ma anche la totale mancanza di umanità da parte delle forze dell’ordine presenti.

Il racconto di Delta prosegue con la descrizione del trasferimento in un ufficio della sicurezza dello stato, noto per i suoi metodi brutali. Qui, Giulio fu portato nella sezione dedicata agli stranieri e, da quel momento, non fu più visto dal testimone. Tuttavia, Delta continuò a sentire il dolore e le grida di Giulio, che veniva brutalmente picchiato. La testimonianza mette in luce il sistema di tortura sistematica che non fa distinzione tra le vittime, evidenziando la logica perversa e disumana dei torturatori in quel contesto.

La testimonianza del testimone


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Il testimone, identificato come «Delta», ha descritto in modo agghiacciante la scena drammatica che si svolgeva attorno a Giulio Regeni durante il suo arresto. Nelle ore che seguirono la cattura, avvenuta il 25 gennaio 2016, ha ricordato Giulio come un giovane ricercatore visibilmente provato, intrappolato in una situazione senza uscita. Mentre veniva interrogato, Giulio implorava di poter parlare con un avvocato e con l’Ambasciata, esprimendo una crescente angustia e disperazione. Delta ha osservato il momento in cui Giulio, vestito con jeans e un pullover celeste, veniva tenuto sotto pressione da un ufficiale che non mostrava alcun segno di empatia o rispetto per i diritti umani.

Dopo il contatto iniziale con le forze dell’ordine, entrambi furono costretti a salire su un’auto, con gli occhi bendati. Nonostante la sua comprensione della lingua italiana, Delta fu aggredito quando cercò di intervenire per aiutare Giulio, ricevendo un pugno in risposta. Gli agenti, con un’arroganza che evidenziava la loro totale indifferenza, affermarono che Giulio parlava l’arabo meglio di lui, un commento che riflette non solo l’ignoranza dei torturatori, ma anche la loro mancanza di rispetto nei confronti di una vita umana.

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Il trasferimento all’ufficio della sicurezza dello stato, noto per la sua reputazione di brutalità, rappresentò un punto di non ritorno per Giulio. Qui fu segregato nella sezione dedicata agli stranieri, allontanandosi definitivamente da Delta. La testimonianza di quest’ultimo, che continuava a sentire le grida e le suppliche di Giulio, rivela un quadro agghiacciante e disumano della tortura sistematica praticata, senza distinzione alcuna tra le vittime. Le parole di Delta portano alla luce la brutalità di un sistema che non solo ignora i diritti umani, ma li calpesta con una violenza inaudita.

I dettagli dell’arresto

Il 25 gennaio 2016, il giorno dell’arresto di Giulio Regeni, la scena che si svolse nel commissariato di Dokki fu caratterizzata da profondi elementi di violenza e abuso di potere. Il testimone, identificato come «Delta», racconta di come Giulio fosse in uno stato di agitazione e paura, desideroso di contattare un avvocato e l’Ambasciata. Nonostante le sue richieste disperate, i suoi diritti vennero sistematicamente ignorati. L’osservazione di Giulio, descritto con un pullover celeste e jeans, mentre veniva interrogato da un ufficiale, mette in evidenza il totale disprezzo delle autorità nei confronti della dignità umana.

Dopo il primo interrogatorio, i due uomini vennero costretti a salire su un’auto, con gli occhi bendati. Anche in questa fase, Giulio ripeteva la sua richiesta di assistenza legale, utilizzando l’italiano. L’incidente ha rivelato la dinamica inquietante di quel momento: quando Delta tentò di intervenire, facendo presente la sua conoscenza della lingua, gli agenti reagirono con brutalità, colpendolo e minimizzando il suo valore. La risposta degli agenti, con frasi offensive riguardo alla competenza linguistica di Giulio, sottolinea la mentalità arrogante e violenta di chi detiene il potere.

Il trasferimento al centro di detenzione, conosciuto colloquialmente come il “cimitero dei vivi”, segnò l’inizio di un incubo senza ritorno per Giulio. Una volta separato da Delta e condotto nella sezione per stranieri, le suppliche di Giulio divennero sempre più flebili, ma il testimone continuò a sentire i rumori terribili delle torture in corso, un chiaro indicativo delle terribili condizioni cui era subordinato. La narrazione di queste esperienze traumatiche è cruciale per comprendere la gravità delle violazioni dei diritti umani da parte del regime.

Le condizioni di detenzione

Le atrocità che Giulio Regeni subì durante la sua detenzione in Egitto emergono in modo inquietante dalla testimonianza di «Delta». La separazione da Giulio, avvenuta al momento del trasferimento al noto ufficio della sicurezza dello stato, segnò l’inizio di un’odissea terribile per il giovane ricercatore. Da quel momento in poi, la sua sorte rimase avvolta nell’oscurità, mentre le urla e i suoni dolorosi delle torture continuavano a raggiungere le orecchie del testimone. Delta descrisse l’ambiente claustrofobico e angosciante del luogo, riconosciuto tra le vittime come il “cimitero dei vivi”, un epiteto che ben illustra le atrocità che vi si consumano.

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In questa prigione, le condizioni di detenzione erano disumane, con sevizie inflitte a chi vi era rinchiuso. Le violenze si manifestavano in modo brutale, come confermato dal testimone che sentiva distintamente i colpi e le grida di Giulio, riflettendo un sistema interamente dedicato all’umiliazione e alla sofferenza. La descrizione di come gli agenti infliggessero torture, senza distinzione o pietà, rivela una strategia inquietante di terrore finalizzata a mantenere il controllo. Delta avvertì un’atmosfera di oppressione e disagio, segno di come la vita di chi si trovava in quelle stanze fosse completamente in balia degli abusi di potere.

La brutalità sistematica e la totale mancanza di rispetto per i diritti umani sono state ribadite da Delta, che ha ricordato come l’operato dei torturatori non seguisse alcuna logica di razzismo. In un contesto di tale violenza, la vita umana diventava insignificante, creando un meccanismo di sottomissione che ben evidenzia la violazione dei diritti fondamentali. La testimonianza di Delta sui metodi crudeli impiegati durante la detenzione di Giulio rappresenta un accorato richiamo alla coscienza collettiva affinché tali abusi non vengano mai dimenticati.

Le telefonate inarrestabili

Le testimonianze di «Delta» offrono un’illuminante finestra sulla situazione allarmante delle comunicazioni durante la detenzione di Giulio Regeni. Dalle sue parole si evince che, nonostante la brutalità con cui veniva trattato, il giovane ricercatore non smise mai di cercare aiuto, formulando incessanti richieste per quello che rappresentava un diritto fondamentale: difendersi legalmente. Non appena si trovò dentro l’auto, e successivamente nel centro di detenzione, la sua imperiosa richiesta di contattare un avvocato divenne un eco in un ambiente in cui regnava la paura e l’oppressione.

Le brutalità subite da Giulio non si limitavano alla tortura fisica; egli era privato anche della possibilità di comunicare con il mondo esterno. Il testimone ha descritto con chiarezza la disperazione di Giulio, il quale continuava a ripetere frasi nel tentativo di avvisare le autorità italiane della sua situazione. La richiesta di comprendere la sua condizione e di poter contare su un legale rappresentava non solo un atto di volontà, ma anche un disperato tentativo di afferrare un barlume di speranza in un contesto diabolicamente oppressivo.

«Delta» ha aggiunto che le sue grida, piene di angoscia, riecheggiavano tra le mura dell’ufficio della sicurezza, senza che qualcuno intervenisse o mostrasse un briciolo di umanità. Nonostante la mancanza di empatia da parte delle autorità, il giovane continuava a lottare con ogni mezzo a sua disposizione, simbolizzando una determinazione incrollabile, anche di fronte all’indifferenza mortale delle forze di sicurezza. Questo sforzo irrisorio di Giulio rappresenta una testimonianza di fronte a un sistema che opera con la convinzione di potere sopprimere ogni voce e ogni tentativo di resistenza.

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Il racconto di «Delta» non si limita a descrivere l’oscurità della detenzione, ma mette in evidenza i temi di resistenza e sfida che caratterizzano la lotta per la giustizia. Benché Giulio fosse in condizioni disperate, le sue perseveranti richieste di giustizia e assistenza legale risuonano come un monito contro le atrocità perpetrate in nome dello Stato, ponendo interrogativi imprescindibili sulle responsabilità legali e morali di chi detiene il potere.

Il processo e le implicazioni legali

Il processo che coinvolge i presunti responsabili della scomparsa e dell’assassinio di Giulio Regeni ha avuto eco non solo in Italia, ma a livello internazionale, illuminando le questioni relative ai diritti umani e all’inefficacia della giustizia in Egitto. Le accuse formulate nei confronti dei quattro agenti dei servizi segreti egiziani rappresentano una parte cruciale del tentativo di ottenere giustizia per la famiglia di Giulio e per tutti coloro che sono stati vittime di violenze simili. Il testimone, «Delta», ha testimoniato in un contesto di procedimenti legali che si svolgono sotto l’attenzione di una comunità globale sempre più preoccupata per la situazione dei diritti umani nel paese nordafricano.

Nel corso della testimonianza, sono emerse ricostruzioni dettagliate delle dinamiche di tortura e abuso che hanno caratterizzato la detenzione di Giulio, fornendo una base concreta per le accuse formulate contro i sospettati. Le sue grida e le intense richieste di assistenza legale, udite da Delta, non solo gettano luce sulla brutalità dell’interrogatorio, ma costituiscono anche un forte elemento probatorio per sostenere le tesi accusatorie. Questo processo, dunque, non è soltanto una lotta per la verità riguardo alla sorte di Giulio, ma è anche un banco di prova per il sistema giudiziario egiziano e la sua capacità di perseguire i crimini contro l’umanità.

La risonanza internazionale del caso ha portato a sollecitazioni politiche e diplomatiche, affinché il governo egiziano risponda in modo adeguato rispetto alle violazioni dei diritti umani. Gli attivisti e la comunità globale hanno messo in rilievo la necessità di una giustizia autentica e di un’indagine imparziale. Tuttavia, le preoccupazioni rimangono elevate, dato il contesto di impunità e repressione che caratterizza il regime egiziano. La testimonianza di Delta, e quella di altri testimoni, rappresentano una corda di speranza in un mare di indifferenza e silenzio, suggerendo che la fermezza e la determinazione nel perseguire la verità possono ancora portare alla responsabilizzazione di chi abusa del proprio potere.


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