Stop Pokèmon GO nei pressi di Fukushima
Stop Pokèmon GO nei luoghi immediatamente prossimi alla centrale nucleare di Fukushima.
Il motivo? Alto rischio per la salute dei giocatori che vanno a caccia di mostriciattoli.
L’allarme cresce con lo straripante successo dell’applicazione.
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Stop Pokèmon GO: il motivo della richiesta
La Tokyo Electric Power Company Holdings ha richiesto alla Nintendo di classificare alcune zone della città di Fukushima come off-limits, al fine di evitare la comparsa di creature virtuali nei pressi dei reattori di Daichi.
Il motivo è semplice: dopo il disastro di Fukushima, alcune zone della città risultano ancora altamente radioattive e eliminarle dal gioco impedirebbe alle persone di mettere a rischio la vita mentre ricercano mostri.
E’ molto probabile sia stata constatata la presenza di persone non addette ai lavori, e quindi prive di attrezzature speciali, all’interno dell’area considerata off-limits.
Stop Pokèmon GO dopo alcuni test
Lo stop Pokèmon GO è stato richiesto dalla società Tepco all’indomani del lancio di Pokèmon GO in Giappone del 22 luglio.
Effettuando alcuni test , la Tepco ha dimostrato che numerosi Pokèmon sono apparsi nelle zone ad alto rischio radiazioni.
In particolare, sono state visionate tre centrali nucleari: l’impianto di Kashiwazaki Kariwa nella prefettura di Niigata e l’impianto di Fukushima numero 1 e 2 nella prefettura di Fukushima.
Sembra che la società sviluppatrice di Pokèmon Go abbia già escluso dal gioco le suddette zone, ma il problema sussiste, e non solo in Giappone.
E’ di poche ore fa la segnalazione di alcuni ragazzi che si sono addentrati in una centrale nucleare degli Stati Uniti a caccia di Pokèmon.
Richieste di blocco del gioco sono state fatte anche per altri motivi.
Le autorità di Hiroshima, per esempio, hanno richiesto alla Nintendo di non includere nelle mappe del gioco il Memoriale della Pace della città.
Anche negli Stati Uniti, precisamente a Washington, è stata presentata una richiesta del genere, dopo che alcuni mostriciattoli virtuali sono comparsi nel Museo dell’Olocausto.
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