Proteggere i diritti alla riservatezza degli utenti e delle comunicazioni digitali Lavabit contro il governo americano

Si attende a novembre la sentenza del tribunale americano chiamato in appello a dirimere la causa che vede protagonista Ladar Levison, fondatore di Lavabit, un servizio di posta elettronica crittografato, contro il Governo degli Stati Uniti .
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Dopo l’esplosione del Datagate alcuni mesi fa, il governo statunitense aveva ordinato a Levison di fornire i dati di un utente coinvolto nella vicenda. Da fonti non ufficiali, si tratterebbe di Edward Snowden, che avrebbe comunicato dati sensibili sulla vicenda ai giornalisti.
Dopo un’iniziale richiesta di metadati sul singolo account le ingiunzioni fatte al fondatore di Lavabit sono aumentate esponenzialmente, mettendo a rischio la privacy di tutti gli iscritti al servizio.
Prima la pretesa di intercettare in tempo reale tutte le comunicazioni di Snowden (con un pen register order) e poi l’imposizione da parte del governo, sempre con un mandato che fossero fornite anche le chiavi SSL (Secure Sockets Layers, un processo di crittografia a chiave pubblica, in grado di garantire maggiore sicurezza nella trasmissione dei dati via internet).
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L’opposizione di Levison è stata forte poiché se avesse ceduto sarebbe venuta meno la sua credibilità in quanto fornitore di un servizio e avrebbe reso accessibili ai servizi segreti le informazione relative non solo all’indiziato, ma di tutti coloro che usufruivano di Lavabit.
L’imprenditore americano in un primo momento, messo alle strette, ha trovato una specie di compromesso rivelando le chiavi di accesso, ma in formato cartaceo: gli agenti si sono ritrovati tra le mani undici fogli, scritti molto fitti, con una dimensione di carattere pari a 4. L’impossibilità di rendere leggibile per una macchina un tale documento non ha fatto tardare la replica dal governo, che ha emesso un nuovo mandato in cui è stato esplicitato che il formato di consegna delle chiavi SSL dovesse essere digitale.
Levison a questo punto non ha ceduto, proprio per non tradire la fiducia dei suoi clienti e ha chiuso il servizio.
La difesa del fondatore di Lavabit difronte al tribunale si basa sul fatto che le chiavi di accesso alla crittografia dei messaggi non possono essere delle prove con le quali incriminare qualcuno, ma solo uno strumento per decifrare messaggi.
Con l’accusa di inadempienza ora rischia il carcere, oltre a una pena pecuniaria molto alta.
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