Pensionato perde 50mila euro dopo investire risparmi in Bitcoin: lezioni su rischi e truffe crypto
Vicenda personale del pensionato
Un pensionato 69enne della Piana ha perso 50mila euro dopo aver investito l’intero patrimonio personale in bitcoin tramite uno sportello locale che si presentava come punto di riferimento per investimenti in criptovalute. L’uomo, convinto dalle promesse di alti rendimenti e rassicurato dalla presenza fisica dello sportello in via Pesciatina a Lunata, ha versato i risparmi sperando di garantirsi una rendita superiore rispetto ai prodotti tradizionali. Alla luce del successivo fallimento della società promotrice e della chiusura repentina dello sportello, il pensionato ha denunciato i fatti ai carabinieri sostenendo di essere stato raggirato e chiedendo di chiarire responsabilità civili e penali.
Indice dei Contenuti:
▷ Lo sai che da oggi puoi MONETIZZARE FACILMENTE I TUOI ASSET TOKENIZZANDOLI SUBITO? Contatto per approfondire: CLICCA QUI
La decisione di concentrare tutte le risorse disponibili in un unico investimento è stata determinata dall’insistenza del promotore finanziario che illustrava rendimenti annui compresi tra l’8% e il 14%. A convincerlo sono state anche la solida apparenza commerciale dello sportello — pubblicizzato come primo “Bitcoinpoint” della zona e ubicato accanto a una filiale bancaria — e la credibilità che il locale progetto imprenditoriale sembrava suggerire. Il pensionato racconta di aver seguito consigli ritenuti professionali, senza predisporre una diversificazione degli investimenti o ottenere garanzie reali sulla tutela del capitale.
Al momento della scoperta del crac, il 69enne si è trovato con un conto svuotato e con documentazione che, secondo la sua denuncia, non chiariva adeguatamente i rischi né la natura dei rapporti contrattuali intrattenuti. Dopo aver raccolto i documenti e le ricevute delle operazioni, ha sporto formale denuncia per truffa, indicando nomi e circostanze utili alle indagini. La sua segnalazione si è aggiunta a molte altre giunte alla Procura, che stanno cercando di ricostruire i flussi finanziari e l’eventuale responsabilità dei promotori coinvolti nello sportello di Lunata.
FAQ
- Chi ha denunciato i fatti? Il pensionato 69enne residente nella Piana ha presentato una denuncia ai carabinieri.
- Quanto ha perso? Il danno dichiarato è pari a 50mila euro, corrispondente a tutti i suoi risparmi investiti.
- Dove era situato lo sportello? Lo sportello operava in via Pesciatina a Lunata, vicino a una filiale bancaria.
- Qual era la promessa dell’investimento? Venivano promessi rendimenti elevati, indicati tra l’8% e il 14% annuo.
- Perché il pensionato si è fidato? È stato persuaso dalla figura del promotore e dall’apparenza professionale dello sportello.
- Qual è il provvedimento immediato preso dall’investitore? Ha raccolto documenti e ricevute e ha segnalato l’accaduto alle autorità competenti.
Crac della società e indagini
La società Swag, collegata alla rete dei cosiddetti “Bitcoin Point”, è stata dichiarata fallita nei mesi scorsi, evento che ha innescato una serie di segnalazioni e denunce da parte di risparmiatori in tutta Italia. Le chiusure repentine degli sportelli, tra cui quello di via Pesciatina a Lunata, e il dissolversi delle operazioni commerciali hanno alimentato sospetti sulle reali condizioni patrimoniali e sulla trasparenza dei prodotti offerti. Per molti investitori la scoperta del fallimento è coincisa con l’impossibilità di recuperare i fondi affidati alla società o alle sue filiali in franchising.
La Procura ha aperto indagini per ricostruire il giro di affari e verificare eventuali responsabilità penalmente rilevanti. Gli inquirenti stanno acquisendo documentazione contabile, contratti e flussi bancari per accertare se si sia trattato di un crac dovuto a cattiva gestione oppure di un’attività fraudolenta organizzata. Al lavoro anche i carabinieri e la Guardia di Finanza, chiamati a mappare i movimenti finanziari tra la capogruppo, le società controllate e i punti vendita in franchising, nonché a verificare la posizione dei singoli promoter coinvolti nella raccolta dei risparmi.
Tra gli elementi sotto esame vi sono la natura dei rendiconti forniti agli investitori, la verifica dell’esistenza delle criptovalute dichiarate e la tracciabilità dei trasferimenti di capitale verso wallet o conti esteri. Gli investigatori considerano altresì i rapporti contrattuali tra la società romana e la controllante estone, per capire se vi siano state operazioni tese a eludere controlli o a sottrarre risorse dagli investitori. Le denunce raccolte testimoniano una modalità operativa ripetuta: promoter che raccomandavano la conversione di risparmi in criptovalute tramite i Bitcoin Point, con promesse di profitti elevati e documentazione non sempre esaustiva.
Meccanismo della proposta e ruoli dei promoter
La proposta commerciale** si reggeva su un meccanismo strutturato per rassicurare e persuadere gli investitori meno esperti.** I promotori presentavano l’operazione come una conversione semplice e diretta dei risparmi in bitcoin, corredandola da proiezioni di rendimento e da brochure che simulavano trasparenza e solidità. L’offerta prevedeva l’apertura di conti o portafogli presso entità riconducibili alla rete Swag, con la promessa che la società si sarebbe occupata della gestione e del rendimento degli asset digitali, lasciando all’investitore un ruolo quasi passivo. Questo impianto operativo abbassava la soglia di attenzione degli utenti, dando l’impressione che si trattasse di un servizio professionale simile a quello bancario.
I **promoter**, spesso presentati come consulenti finanziari locali, svolgevano un ruolo centrale nella catena: individuavano potenziali clienti, illustravano le condizioni di investimento e assistenvano nelle procedure di versamento. La loro azione combinava tecniche commerciali di persuasione — enfatizzazione di guadagni passati, riferimenti a partner e sedi fisiche, e garanzie verbali — con la gestione pratica delle pratiche amministrative, compresa la compilazione di moduli e l’accompagnamento allo sportello. La vicinanza geografica dello sportello a una filiale bancaria e l’uso di linguaggio tecnico contribuivano a legittimare il processo agli occhi dei risparmiatori.
Dal punto di vista operativo, i fondi versati venivano in diversi casi instradati verso conti intestati a società del gruppo o a wallet riconducibili a entità estere. La documentazione fornita agli investitori spesso indicava quantità di bitcoin o rendimenti attesi senza allegare verifiche indipendenti sulla detenzione effettiva degli asset. Tale discrepanza rende difficile oggi la tracciabilità completa dei capitali e la conferma dell’effettiva conversione in criptovalute. È fondamentale notare come la presenza di sportelli fisici e di personale di riferimento abbia rappresentato un fattore determinante nel convincere clienti anziani a trasferire somme rilevanti senza richiedere garanzie concrete.
Infine, la rete commerciale sembrava articolata su più livelli: una capogruppo che sviluppava il marchio e i prodotti, società intermedie che gestivano i rapporti contrattuali e i Bitcoin Point in franchising che operavano sul territorio con promoter locali. Questa frammentazione complicava la comprensione dei rapporti di responsabilità e ha reso più agevole la dislocazione di flussi finanziari, aumentando la difficoltà per gli investitori e per le autorità di ottenere chiarezza immediata sulla destinazione dei loro risparmi.
FAQ
- Come venivano presentati gli investimenti? Con proiezioni di rendimento elevate e documentazione che dava un’apparente struttura professionale simile a quella bancaria.
- Qual era il ruolo dei promoter? Identificare clienti, illustrare l’offerta, assistere nelle pratiche e facilitare i versamenti presso lo sportello.
- Dove finivano i soldi versati? I versamenti venivano instradati verso conti riconducibili alla rete Swag o wallet collegati a società del gruppo, con scarsa prova della reale conversione in criptovalute.
- Perché la presenza dello sportello era importante? Lo sportello fisico aumentava la percezione di affidabilità e riduceva la diffidenza degli investitori, soprattutto anziani.
- La documentazione fornita era esaustiva? Spesso no; mancavano verifiche indipendenti sull’esistenza degli asset dichiarati e sulla tracciabilità dei flussi.
- Come era strutturata la rete commerciale? Su più livelli: capogruppo, società intermedie e punti in franchising gestiti da promoter locali.
Prospettive di recupero e azioni legali
Le possibilità di recuperare anche solo una parte dei capitali perduti appaiono limitate e sottoposte a molte incognite procedurali. Sul fronte giudiziario, la strada più immediata per il risparmiatore è la costituzione di parte civile nel procedimento penale avviato dalla Procura: ciò può consentire di concorrere al riparto dell’eventuale massa patrimoniale recuperata tramite sequestri o confische. Tuttavia, l’efficacia di questa azione dipenderà dalla disponibilità di beni riconducibili alla società e dai risultati delle investigazioni finanziarie volte a individuare flussi illeciti e destinatari finali dei trasferimenti di denaro.
Dal punto di vista civile, l’investitore può intentare azioni per responsabilità contrattuale o extracontrattuale nei confronti dei soggetti che hanno raccolto i versamenti: promotori, gestori del punto vendita e società del gruppo. Tali azioni richiedono una precisa ricostruzione documentale delle operazioni, inclusi mandati, ricevute, comunicazioni scritte e eventuali contratti sottoscritti. La complessità aumenta se i fondi sono stati trasferiti all’estero o disciolti tra entità societarie diverse, circostanza che può rallentare la procedura esecutiva e incrementare i costi legali per il creditore.
Un elemento chiave per ottenere un recupero è il successo delle misure cautelari disposte dall’autorità giudiziaria: sequestri preventivi di conti correnti, il blocco di patrimoni immobiliari e il sequestro di asset digitali qualora individuati. L’esistenza e la tempestività di tali provvedimenti possono limitare la dispersione delle risorse e aumentare le probabilità di soddisfacimento delle pretese risarcitorie. Se invece i beni risultano insufficienti o già trasferiti, la soddisfazione del credito potrebbe essere solo parziale o inesistente.
In parallelo, gli strumenti di tutela amministrativa e di vigilanza offerti da Consob e Autorità di vigilanza bancaria possono risultare utili per segnalare pratiche commerciali scorrette e sollecitare verifiche sulla condotta dei promoter. Sebbene tali interventi non garantiscano rimborsi diretti, possono contribuire a raccogliere prove utili nelle azioni giudiziarie e a orientare eventuali provvedimenti sanzionatori contro le società coinvolte.
Infine, la partecipazione collettiva degli investitori — attraverso denunce coordinate, azioni di classe o organismi di tutela dei consumatori — può rendere più efficiente l’attività di ricostruzione dei fatti e ridurre i costi legali individuali. Tuttavia, la riuscita di tali iniziative dipende dalla coesione dei creditori, dalla disponibilità di prove consolidate e dalla presenza di beni aggredibili nel patrimonio del gruppo societario o dei soggetti responsabili.
FAQ
- Qual è la prima azione consigliabile per recuperare i fondi? Costituirsi parte civile nel procedimento penale e raccogliere tutta la documentazione delle operazioni effettuate.
- Le azioni civili sono efficaci se i beni sono stati trasferiti all’estero? Sono possibili ma più complesse e costose; l’efficacia dipende dalla rintracciabilità dei beni e dalla cooperazione internazionale.
- Quali misure cautelari possono favorire il recupero? Sequestri preventivi di conti, beni immobili e asset digitali riconducibili alla società o ai responsabili.
- Le autorità di vigilanza possono obbligare al rimborso? Non prevedono rimborsi diretti, ma possono avviare sanzioni e fornire elementi utili alle azioni giudiziarie.
- Conviene aderire a un’azione collettiva? Può ridurre costi e aumentare la forza probatoria, ma il successo dipende dalla qualità delle prove e dalla disponibilità patrimoniale del debitore.
- Quali documenti sono essenziali per le azioni legali? Ricevute dei versamenti, contratti o moduli firmati, comunicazioni con promoter e qualsiasi rendiconto ricevuto.




