La Costituzione italiana oggi. È ancora viva e vegeta?
La Costituzione secondo uno dei Padri di questo testo così importante per la nostra vita democratica, Piero Calamandrei, non era “l’epilogo di una rivoluzione già fatta, ma il preludio, l’introduzione, l’annuncio di una rivoluzione, nel senso giuridico e legalitario, ancora da fare”. Per questo motivo oggi affrontare una riflessione su di essa non è pura retorica ma costituisce lo spunto per ragionare anche alla luce dei tempi mutati, in modo approfondito e serio, su quello che è il valore del dettato costituzionale e la sua influenza sulle vicende economiche e sociali che vanno fronteggiate in tempi di continui cambiamenti.
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Oggi la politica e la società devono misurarsi sul lavoro, che è il legame più stretto fra il testo costituzionale e i cittadini, in particolare i giovani. Lavoro e libertà sono i valori che si traducono nel dovere di un impegno dal quale dipende il futuro del Paese per sottrarlo ai rischi di declino e di marginalità politica e culturale. Anzi, si può dire che, forte delle conquiste del passato, il testo costituzionale è oggi in grado di parlare al presente ed anche di rivolgere un appello per il futuro, ci può quindi essere di aiuto.
La Costituzione è tuttora viva e capace di interloquire in particolare con i giovani del nostro paese, ai quali si deve affidare l’attuazione dei suoi principi. La Costituzione italiana è stata concepita e scritta secondo la tradizione europea. La nostra carta non è stata emanata da un potere superiore, come per esempio lo Statuto Albertino, ma ottenuta attraverso l’espressione della volontà popolare e dei suoi rappresentanti eletti. I principi che contiene vanno mantenuti perché sono quelli che hanno garantito unità nel paese, assicurando ai contenuti della Carta il massimo dei consensi. Questi valori, questi dettami nascevano dalla riconquistata libertà, dalla sconfitta di una dittatura e, come un po’ ovunque in Europa, dal legame ideale all’impegno per la libertà. Anche per questo è capace di porsi in modo aperto di fronte ad un mondo in continua trasformazione.
E’ sufficiente osservare le difficoltà dell’Europa a ritrovare coesione e programmi politici comuni per esempio sulle imponenti emigrazioni che determinano disorientamento e divisioni ma rivalutano anche il valore della solidarietà, sulle ambizioni di nuovi protagonisti mondiali come la Cina determinata a conquistare il primato dei paesi economicamente e tecnologicamente più forti.
INTERVISTA AD ALESSIA POTECCHI
Chiediamo ad Alessia Potecchi, Presidente dell’Assemblea del PD di Milano, la sua opinione in merito: “Bisogna affrontare il problema dell’Europa. Così come è l’Europa è difficilmente difendibile. C’è troppa retorica. Bisogna riscoprire l’Europa sociale. I lavoratori non si esaltano se gli parli del 3%. Vogliono sapere invece quali cambiamenti sono possibili per garantire a loro e ai loro figli migliori prospettive, per ridurre le troppe incertezze che li fanno vivere senza la fiducia necessaria. L’Europa deve affiancare alla politica monetaria la politica sociale e fiscale. La costruzione europea è stata paragonata alla bicicletta : per non cadere bisogna continuare a pedalare. Dobbiamo, ricercando le necessarie alleanze a livello internazionale, formulare proposte per ridurre gli squilibri interni, per decidere con rapidità, per definire una politica estera comune, per stabilire il prima possibile una strategia condivisa sulle politiche migratorie e per valorizzare il lavoro dei giovani.”
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E il sovranismo, di cui tanto si parla oggi?
Potecchi: “Rinchiudersi in un sovranismo autoreferenziale è un grandissimo errore. Occorre invece valorizzare la visione aperta dei grandi principi che informano la vita civile ed economica, per essere all’altezza dell’attuale situazione. Si è aperta una contesa forse decisiva per le sorti dell’Europa fra due visioni molto diverse del suo ruolo: quella aperta e solidale e comunque in sicurezza immaginata da Eugenio Colorni e da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, e quella del ripristino dei muri in nome di una visione egoistica e razzista dei movimenti che si ispirano al sovranismo e a pericolose forme di neorazzismo che oggi sono molto di moda”.
Chi ha giocato un ruolo importante, oltre ai “padri costituenti” nella stesura del testo?
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“Il sindacato ha avuto un ruolo fondamentale nella stesura della Costituzione. Il sindacato, ricostituito nel giugno del 1944 era unitario. All’epoca non si era ancora ricostituita la situazione esistente prima del fascismo. I cattolici non avevano rifatto la CIL confessionale. C’era un solo sindacato, la CGIL che metteva assieme i democristiani, i comunisti e i socialisti. I lavoratori si sentivano a tutti gli effetti partecipi della Repubblica, erano stati protagonisti di primo piano nella Resistenza e avevano sconfitto il nazifascismo, avevano difeso le fabbriche del Nord dalla distruzione, erano impegnati a ricostruire il Paese. I più autorevoli dirigenti sindacali erano stati nominati nella Consulta Nazionale e poi eletti nell’Assemblea Costituente”.
Scriveva Piero Calamandrei: ”La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo”.
Nella Carta Costituzionale c’è l’uguaglianza come valore concreto. E, di conseguenza attualissimo, per due ragioni.
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La prima riguarda il crescere, dopo la lunga recessione e la rivoluzione tecnologica delle diseguaglianze sociali. A questa considerazione si aggiunge il fatto che in Italia ci sono almeno 5 milioni di persone in povertà assoluta e si deve anche tenere presente che dalle regioni meridionali è in corso una incessante fuga di giovani in cerca di una prospettiva di vita e lavoro. Lo stesso progresso tecnologico se non tenuto sotto controllo produrrà una divaricazione fra le professionalità che porterà a nuove diseguaglianze.
La seconda ragione riguarda l’intervento dello Stato, oggi si torna a comprendere che uno Stato completamente avulso dalla vita economica è un non senso. Certo non si deve tornare alla statalizzazione forzata, né si devono continuare i vizi burocratici, ma non si può negare che la modernizzazione del Paese, la messa in sicurezza del territorio, un’azione di politica economica nel momento in cui la crescita si attenua, non possono non guardare ad un intervento pubblico. L’Italia ha bisogno di dotarsi di politiche attive del lavoro che siano all’altezza dei tempi e che non si possono realizzare senza direttive, e impegno che solo lo Stato può mettere in campo.
Chiediamo ancora ad Alessia Potecchi che cosa ne pensa.
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“Le parole di Calamandrei ci illuminano anche e soprattutto a fronte dell’esito delle elezioni dello scorso 4 marzo. Ci metteva infatti in guardia da leggi che abbiano un suono falso. All’epoca per ambiguità oggi per eccesso di propaganda. Diceva: “i giornalai avevano l’uso di gridare per le strade le notizie più importanti; quello nel silenzio della strada deserta gridava a voce altissima: terza edizione, la grande vittoria degli italiani. Ma poi aggiungeva in tono più basso: non è vero nulla”. Come in quel contesto questo costume poteva impedire l’avviarsi di un vero cambiamento, anche oggi le forze politiche dovrebbero evitare quel distacco che ha già originato anche in parte il fenomeno del populismo, dettato da uno scetticismo generale sulle reali intenzioni di chi governa. “Non è vero nulla” sono le parole con le quali non si cambia nulla”.
Come si può reagire al populismo? Bisogna rimuovere le barriere? A chiederlo paradossalmente oggi è il populismo stesso.
“Sì, però loro lo chiedono con accenti che vanno dall’insulto verbale, ai toni nazionalisti, alla denuncia di un nuovo pauperismo che vuole spingere a istinti di vendetta. Siamo in presenza di gravi errori: in primis perché affidarsi alle nazionalizzazioni copre in realtà la mancanza di politiche industriali che giovano al Paese e poi perchè l’assistenzialismo mette in secondo piano il bisogno di uno sforzo per creare nuovo lavoro e rinnovare il welfare. I Padri Costituenti avevano immaginato un cammino ben diverso che porta ad alcune riflessioni. C’è un percorso comune da riprendere, e che va proposto su questioni concrete. La Costituzione ha davanti a sé un cammino che deve essere ancora completato”.
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Occorre non dimenticare coloro che hanno reso possibile la stesura della Carta. Diceva ancora Calamandrei: “Quando si parla della Costituzione sì ci sono dei padri conosciuti, ma ci sono persone di cui non sappiamo il nome, ma che hanno dato un tributo di sangue e di passione che ha permesso di avere questa Costituzione, e li trovate su targhe che ricordano il loro sacrificio, sui monti dove hanno sacrificato la loro vita…”.
Ma riscontriamo, soprattutto in molti giovani, una disaffezione alla politica.
“Una delle necessità fondamentali oggi è di ricreare la coesione che viene dalla partecipazione alla politica, una partecipazione che per essere reale deve disfarsi dell’opportunismo, della mancanza di valori, dell’identificazione governo e potere. Governare vuol dire guardare e programmare il futuro perché sia migliore soprattutto per le giovani generazioni. Puntare al potere significa ignorare l’importanza del progetto di società, il ruolo della solidarietà, lo spazio da offrire con proposte adeguate alle nuove generazioni”.
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E nel mondo del lavoro?
“La Carta è attualissima a proposito del lavoro, i principi che lo riguardano debbono conservare una centralità che oggi c’è solo a parole. Dobbiamo fare in modo che il lavoro sia per tutti e di qualità, che ci sia una giusta retribuzione, che ci sia la possibilità dell’accesso alla scuola per tutti, e che sia salvaguardata la dignità della persona. E’ necessario affrontare la questione degli anziani superando l’idea che anziani vuol dire solo pensioni e pensioni solo problemi di cassa e di quadratura dei conti”.
Quale futuro allora?
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“Ci dovrebbe essere maggiore impegno e determinazione, conclude Alessia Potecchi, per affrontare, con il concorso di tutte le forze in campo, il grande problema di ottenere un saldo attivo fra lavoro che si perde e quello che si crea, per collegare le retribuzioni alla crescita, per ridare slancio e innovazione alla scuola perché sia in grado di preparare al lavoro i ragazzi e formare buoni e onesti cittadini. Si deve pensare ai posteri, ai nipoti e consacrare quei principi che sono oggi soltanto velleità e desideri, ma che tra venti, trenta, cinquant’anni diventeranno leggi”.
Dobbiamo – diceva Calamandrei – illuminare la strada a quelli che verranno.
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