Disabile di 10 anni e mancanza di scuolabus
Tutti i giorni esce di casa il mattino presto per portare i suoi due figli a scuola prima di entrare in aula nell’istituto in cui insegna a San Luca (Reggio Calabria). In assenza di uno scuolabus, un sacrificio non indifferente per Maria, vedova, madre di Sebastiano, un bambino di 10 anni affetto da grave disabilità e costretto alla sedia a rotelle, e della sorellina di 8. “La mia auto è piccola e non è adeguata, ma non ho altra soluzione, è giusto che mio figlio vada a scuola. Dopo anni di battaglie per ottenere uno scuolabus con pedana idoneo al trasporto di una carrozzina, montata anche la pedana, tutto si è bloccato perché non c’è un autista”, denuncia all’Adnkronos Maria A.
La battaglia di una madre
Maria, con grande determinazione, si è fatta portavoce dei diritti degli studenti disabili in una situazione che definisce insostenibile. Ogni giorno, la messa in pratica di un’assistenza adeguata per Sebastiano sembra più un miraggio che una realtà. “Non è solo la mia battaglia”, afferma con vigore, “è una lotta per tutti quei bambini che hanno il diritto di vivere la loro esperienza scolastica senza ostacoli”. Crescendo in una realtà in cui le parole sembrano svanire di fronte ai fatti, Maria non può fare a meno di sentirsi frustrata da un sistema che promette inclusione ma risulta inadeguato.
La sua storia è segnata da uno spirito indefesso; ogni giorno, si sveglia con la speranza che qualcosa cambi, ma la realtà quotidiana le presenta solo nuove difficoltà. La mancanza di un servizio di scuolabus accessibile non è solo un problema pratico, ma un simbolo di un’ingiustizia più ampia, quella di una società che non riesce a garantire pari opportunità a tutti. “Perché mio figlio deve affrontare questi ostacoli? Non è giusto che venga trattato diversamente dai suoi compagni di classe”, dice, con un tono di esasperazione.
La battaglia di Maria non è solo personale ma pubblica. Ha cercato di coinvolgere la comunità, i media e le istituzioni locali, chiedendo attenzione e soluzioni. Nonostante gli sforzi, il suo appello è rimasto in gran parte inascoltato. “Ho fatto di tutto per cercare di ottenere risposte concrete, ma sembra che il nostro grido d’aiuto non arrivi a chi di dovere”, aggiunge, con il volto segnato dalla stanchezza. La sua lotta è una testimonianza della resilienza di una madre, che desidera solo la cosa più naturale: il diritto di un figlio a un’istruzione dignitosa e accessibile.
Le difficoltà quotidiane
Ogni mattina, la routine di Maria si avvia con una fatica che va oltre il semplice trasporto. Dopo aver sistemato la sorellina di Sebastiano, inizia il difficile processo di caricare il figlio sulla sua auto. “La mia auto è piccola e non è adeguata”, racconta. Questo fatto rende il trasporto un’impresa ardua e spesso stressante, non solo fisicamente, ma anche emotivamente. La ricerca di una soluzione sembra un alternarsi infinito di problematiche, dalle condizioni climatiche alle limitazioni strutturali della sua vettura.
Il senso di isolamento cresce quotidianamente; ogni volta che vede gli altri bambini salire sui pulmini davanti casa, Maria non può fare a meno di provare un profondo senso di ingiustizia. “Mio figlio si sente diverso e noto che anche lui percepisce il peso di questa situazione. Non gli è concesso il giusto accesso alla scuola, e questo gli crea dei complessi”, spiega la madre, rivelando la dimensione psicologica della disabilità. Ogni giorno, il viaggio per Sebastiano rappresenta una sfida, mentre per Maria è un’esperienza carica di ansia, preoccupazione e una continua ricerca di sistemazioni per la carrozzina.
La community scolastica non sembra sostenere adeguatamente il suo impegno. “Ho provato a contattare altri genitori”, racconta, “ma molti sono rassegnati a questa situazione. La mia speranza è che la mia storia possa servire da esempio per far emergere un problema collettivo”. Le difficoltà quotidiane non le permettono di vivere serenamente la vita familiare. Le tensioni accumulate si riflettono anche nella vita lavorativa di Maria, che si sente costantemente in conflitto tra le sue responsabilità come madre e come insegnante. “Vivo una doppia vita: quella professionale e quella da madre di un ragazzo disabile. Entrambe, talvolta, sembrano impossibili”, conclude, con lo sguardo afflitto da un mix di determinazione e stanchezza.
Le promesse non mantenute
Maria A. esprime con veemenza la frustrazione nei confronti delle promesse non mantenute da parte delle istituzioni locali. “Le mie richieste continuano a essere ignorate”, afferma, con una punta di indignazione. “Ogni volta che ci sono state delle promesse, nulla è stato realizzato, e alla fine a soffrirne è sempre la disabilità”. Dopo anni di attese e battaglie, la situazione per sua figlio Sebastiano rimane ancora irrisolta. “Dopo aver ottenuto la pedana nello scuolabus, pensavo che finalmente il problema fosse risolto, ma adesso ci troviamo di fronte a un altro ostacolo: l’autista”, spiega Maria, evidentemente stanca e delusa.
Il suo racconto è un susseguirsi di speranze infrante. “Una volta era il collaudo, un’altra volta la pedana, ora l’autista. Sembra un gioco al rimando continuo e nulla mai si concretizza.” La realtà è che, mentre l’attenzione pubblica si concentra su diverse tematiche, Sebastiano è relegato nell’ombra, privato di un diritto fondamentale: quello all’istruzione. “Lo scuolabus dovrebbe essere un diritto garantito per tutti, eppure la mia storia testimonia il contrario”, lamenta, sottolineando quanto sia sconfortante vedere come le promesse di inclusione rimangano solo parole vuote.
Basta guardare il suo vissuto quotidiano per comprendere il peso di queste promesse non mantenute. “La mia speranza è che qualcuno si faccia carico della situazione e che Sebastiano possa finalmente avere quello che gli spetta”, afferma, mentre i suoi occhi riflettono una miscela di determinazione e amarezza. Maria non si arrende e continua a lottare per una causa che non è solo la sua, ma che riguarda tutti i bambini e le famiglie in situazioni simili. “È scandaloso che in un paese civile ci si debba battere per diritti che dovrebbero essere garantiti per legge”, conclude, lasciando un eco di indignazione e una richiesta di attenzione che rimane in sospeso.
Appello alle istituzioni
Maria A. non si stanca di lanciare un appello accorato a tutte le istituzioni locali e nazionali, affinché prendano coscienza della gravità della situazione. “È fondamentale che coloro che operano nelle istituzioni ascoltino le nostre voci e comprendano il dramma che viviamo ogni giorno”, afferma con fervore. La sua richiesta non è soltanto per suo figlio, ma per tutti i bambini disabili che meritano di avere un accesso adeguato all’istruzione.
Nel suo tentativo di far emergere questa triste realtà, Maria ha cercato di coinvolgere direttamente il Commissario e altre figure istituzionali, ma purtroppo, senza successo. “Ho chiesto di essere ricevuta, di portare alla luce le difficoltà quotidiane che affrontiamo, ma l’indifferenza è ciò che ho riscontrato”, dichiara con tono rassegnato. La mancanza di dialogo e di reali iniziative di supporto la rendono ancora più frustrata, facendole sentire come se fosse abbandonata a se stessa in una battaglia che dovrebbe essere di tutti.
Il suo sogno è quello di vedere le istituzioni finalmente allineate alle esigenze delle famiglie con bambini disabili. “Chiedo che ci siano servizi adeguati, scuolabus attrezzati e personale formato per accompagnare i nostri figli”, sottolinea. Maria spera che il suo appello possa essere accolto e che qualcun altro, oltre alla Chiesa e ad alcune associazioni, possa prendere a cuore la causa, contribuendo a sbloccare questa situazione dolorosa che dura da troppo tempo.
Ogni volta che si siede durante le riunioni scolastiche o parla con altri genitori, il suo messaggio resta invariato: “La disabilità non deve essere vista come un ostacolo, ma come una possibilità di inclusione. È ora che le istituzioni dimostrino di essere veramente impegnate in questo processo”. Maria A. trova nella sua battaglia quotidiana la forza di continuare a sperare, anche quando le sue richieste sembrano svanire nel nulla. La sua storia è una luce che può illuminare un cammino ancora oscuro, quello di molti altri come lei.
La situazione attuale
Ad oggi, la situazione per Maria e suo figlio Sebastiano è ancora precaria. Nonostante la buona volontà e l’impegno della madre, il trasporto scolastico adeguato rimane un miraggio. “Abbiamo fatto grandi progressi nel discutere di inclusione, ma nella pratica ci troviamo ancora a combattere per diritti fondamentali”, afferma Maria, evidenziando un contrasto tra le parole e le azioni delle istituzioni. Le difficoltà legate alla mancanza di uno scuolabus attrezzato non sono soltanto un problema pratico; rappresentano un indicativo di una carenza di attenzione verso le necessità delle famiglie con disabilità.
La lotta di Maria racconta una storia di indifferenza a livello locale. “Ho assistito a incontri e progetti che promettevano cambiamenti, ma nulla si è tradotto in realtà. Il sistema è troppo lento e poco reattivo ai bisogni urgenti”, spiega. Sebastiano, intanto, continua a risentire delle conseguenze di questa mancanza di supporto. Ogni mattina, l’assenza di uno scuolabus diventa un’ulteriore barriera al suo diritto all’istruzione. “Mio figlio non comprende perché non possa andare a scuola come i suoi amici. Questa realtà lo ferisce”, racconta Maria, rivelando il costo emotivo di questa situazione insostenibile.
La comunità, purtroppo, non ha ancora trovato le modalità per emergere e sostenere la madre e il suo bambino. “Spesso sento il peso della solitudine”, confida Maria. Anche il supporto della Chiesa e di alcune associazioni è incoraggiante, ma non basta. “Ho bisogno che le istituzioni ascoltino il nostro grido e rispondano concretamente; è fondamentale per il futuro di Sebastiano e di tanti altri”. La battaglia di Maria è simbolica di una lotta più grande per il riconoscimento dei diritti delle persone disabili, una lotta che deve essere condotta non solo da privati cittadini, ma anche dalle autorità competenti.