La crisi della “classe creativa” e della teoria delle “Tre T”
Richard Florida, uno dei più influenti opinionisti americani, autore del famoso libro pubblicato da Mondadori con il titolo “La nascita della nuova classe creativa” ne ha pubblicato ora un altro per dire che la sua teoria delle “tre T” (Tecnologia, Talento e Tolleranza) era sbagliata.
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Quindici anni fa sosteneva che un continuo afflusso di ciò che chiamava “classi creative” – artisti, fricchettoni, impiegati nei settori tecnologici e informatici, ecc. – era il seme della crescita economica in luoghi come la Bay Area intorno a San Francisco. Tolleranza, flessibilità ed eccentricità ammorbidivano le rigide strutture della produzione industriale e le sostituivano con tipi di lavoro, luoghi e quartieri che attiravano più giovani e, soprattutto, più investimenti.
Le sue osservazioni costituirono la base di un insieme di soluzioni innovative per le strutture cittadine. Per sopravvivere le città dovevano aprire “open cool bars, shabby-chic coffee shops, and art venues”, per attrarre residenti giovani, istruiti e tolleranti.
Oggi anche Richard Florida riconosce che il suo pensiero era sbagliato. L’aumento della classe creativa in luoghi come New York, Londra e San Francisco ha creato una crescita economica solo per chi era già ricco, a spese dei poveri e delle classi lavoratrici, spostando nei sobborghi i problemi che un tempo affliggevano il centro-città.
Allora per rassicurare i lettori del suo libro affermava che sì, tutti gli esseri umani sono animali fondamentalmente creativi, ma solo un terzo di noi può vivere in questo modo. Le classi creative erano rappresentate da categorie come giornalisti, professori universitari, tech workers, graphic designer e artisti di qualsiasi tipo: cioè chiunque non lavora nei settori manifatturiero o dei servizi tradizionali.
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Dopo quindici anni di piani di sviluppo pensati da sindaci e politici americani per attrarre le classi creative, ci troviamo di fronte a un paesaggio urbano in rovina. Quando i ricchi e i giovani riscoprirono la città, crearono una pesante speculazione immobiliare, per cui la “classe creativa” erano solo i ricchi o tutt’al più i figli dei ricchi.
Nel 1979, Pierre Bourdieu, sociologo, antropologo e filosofo francese, scriveva che il “consumo” dell’arte dava alle classi medio-superiori un “sogno di volo sociale”, una sensazione che i loro gusti e le loro convinzioni erano in qualche modo inestimabili e che conseguentemente le scelte delle classi creative delle grandi città occidentali erano meglio di quelle di chiunque altro.
Nel suo ultimo libro, The New Urban Crisis, Richard Florida esprime chiaramente il pentimento per quanto aveva affermato allora. Sostiene che le classi creative hanno preso a strangolare molte delle grandi città del mondo e le hanno soffocate. Di conseguenza, le cinquanta grandi aree metropolitane ospitano solo il 7% della popolazione mondiale, ma generano il 40% della sua crescita. Queste città “superstar” stanno diventando comunità chiuse, la loro vivacità sostituita con strade senza più storia e piene di case per affitti brevi o addirittura vuote.
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Nel frattempo la tossicodipendenza e la violenza delle bande urbane si sono diffuse nei sobborghi. “Molto di più di una crisi della città”, scrive, “la nuova crisi urbana è la crisi centrale del nostro tempo, una crisi dei sobborghi, dell’urbanizzazione stessa e del capitalismo contemporaneo”.
Richard Florida forse aveva ragione quando diceva che l’economia creativa è il nuovo modo di esprimersi del mondo. Ma il suo sviluppo non ha seguito le linee che aveva immaginato. Piuttosto che lanciare l’umanità in una nuova fase di prosperità, la nuova economia tiene insieme i diversi elementi del tardo capitalismo, rendendola gradevole per alcuni, ma approfondendo gli elementi di crisi e le contraddizioni per gli altri.
Le soluzioni offerte a questo punto da Richard Florida sono modeste. Dal realizzare abitazioni private a costi più abbordabili, all’investimento in infrastrutture, a remunerazioni più elevate per chi fornisce i servizi. Per concludere con un vago “impegnarsi in uno sforzo globale per costruire città più forti e più prospere nelle aree urbane in rapida evoluzione” e “potenziare le comunità e consentire ai leader locali di rafforzare le proprie economie “.
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