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Giornalista vittima: hacker entra e ruba accesso PSN per tre volte consecutive

  • Redazione Assodigitale
  • 24 Dicembre 2025

Falla nella procedura di recupero account

Nel caso di Nicolas Lellouche emerge una criticità specifica nella procedura di recupero account di PlayStation Network: la richiesta del numero di transazione come unico elemento probatorio si è rivelata insufficiente a garantire la proprietà effettiva dell’account. Questa circostanza dimostra come informazioni apparentemente innocue, facilmente reperibili o condivise online, possano essere sfruttate per aggirare misure di sicurezza come la verifica in due passaggi e il passkey. L’episodio solleva interrogativi sulla robustezza dei protocolli di autenticazione secondaria adottati dai servizi digitali e sulla necessità di introdurre controlli multilivello che bilancino tempestività e affidabilità nel processo di recupero.

 

Indice dei Contenuti:
  • Falla nella procedura di recupero account
  • come è avvenuto il triplo furto
  • rischi legati alla condivisione di screenshot
  • FAQ
  • mancata risposta di Sony e possibili contromisure
  • FAQ

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La procedura attuale privilegia la rapidità di verifica, basandosi su elementi statici e non contestuali come il codice di transazione. In assenza di verifiche incrociate — ad esempio l’analisi dell’indirizzo IP di provenienza, l’orario e la geolocalizzazione della richiesta o un codice temporaneo inviato al dispositivo registrato — il sistema resta vulnerabile a ingegneria sociale e alla divulgazione involontaria di dati. Un singolo identificativo finanziario, se reperito, diventa sufficiente per riprendere il controllo di un account, consentendo poi la modifica di email, password e metodi di pagamento senza che vengano attivate misure di allerta o blocco preventivo.

La natura monodimensionale della prova richiesta mette l’utente in una posizione di estrema fragilità: anche strumenti avanzati di protezione attivabili dall’utente risultano vanificati quando il processo di recupero non richiede controlli aggiuntivi. Inoltre, l’assenza di notifiche chiare a seguito di tentativi di recupero o cambi di credenziali impedisce all’intestatario legittimo di intervenire tempestivamente. In termini pratici, la procedura dovrebbe considerare elementi dinamici e contestuali per validare una richiesta, piuttosto che basarsi su dati che possono essere esposti in screenshot o comunicazioni pubbliche.

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come è avvenuto il triplo furto

Il triplo furto si è consumato attraverso una concatenazione di errori procedurali e comportamentali che ha reso vana ogni barriera di sicurezza apparente. L’attaccante ha sfruttato un codice di transazione ottenuto da uno screenshot condiviso pubblicamente, impiegandolo come unico elemento probatorio nella procedura di recupero account. Una volta accettato quel numero come prova sufficiente, l’hacker ha potuto richiedere il reset delle credenziali, sostituendo l’indirizzo email di riferimento e la password, azioni che di fatto hanno escluso il legittimo proprietario dal profilo.

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Il metodo adottato non si è limitato a un singolo accesso: l’aggressore ha ripetuto la procedura in tre momenti distinti. Dopo ogni recupero l’hacker ha lasciato apparentemente libere alcune modifiche, permettendo a Nicolas Lellouche di ristabilire temporaneamente il controllo; tuttavia, poiché le contromisure del servizio non prevedevano blocchi o notifiche efficaci, è stato semplice per il malintenzionato rilanciare la stessa richiesta e riaffermare il possesso dell’account. Questo ciclo ha evidenziato l’assenza di una verifica contestuale che mettesse in relazione le richieste successive tra loro oppure che imponesse passaggi aggiuntivi dopo ripetuti tentativi.

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Dal punto di vista tecnico, la procedura ha dimostrato di poter essere aggirata senza necessità di compromettere dispositivi o di superare la 2FA/passkey: bastava provare un dettaglio finanziario corrispondente ai record di PlayStation Network. L’hacker, disponendo di quel dato, ha potuto anche sfruttare la mancanza di alert verso il titolare e l’assenza di controlli come la conferma tramite dispositivo registrato o la verifica vocale. In pratica, la sicurezza basata su elementi statici e isolati ha permesso una escalation ripetuta, trasformando un singolo dato esposto in una leva per il controllo completo dell’account.

rischi legati alla condivisione di screenshot

Condivisione di screenshot e superficie d’attacco: la pratica diffusa di pubblicare immagini che mostrano ricevute, conferme di pagamento o dettagli di acquisto amplifica il rischio di compromissione degli account digitali. Uno screenshot apparentemente innocuo può contenere informazioni sufficienti per superare procedure di verifica se queste ultime si basano su elementi statici come un numero di transazione. La permanenza di tali immagini su social, forum o servizi di cloud rende il dato facile da reperire per chi cerca bersagli vulnerabili.

La divulgazione involontaria di dati sensibili non è solo una questione di privacy personale, ma diventa un vettore operativo per attacchi mirati. Gli aggressori aggregano informazioni raccolte da diverse fonti — post pubblici, streaming, immagini condivise — per ricostruire profili utili al furto d’account. In questo contesto, ogni elemento visibile (email, frammenti di ricevute, numeri identificativi) può costituire un tassello del puzzle necessario per convincere un sistema di supporto a cedere il controllo dell’account.

Dal punto di vista pratico, l’errore è duplice: da un lato la leggerezza dell’utente nel condividere immagini senza oscurare dettagli sensibili; dall’altro la politica di molti servizi che continua a considerare quei dettagli come prova sufficiente. L’assenza di una classificazione del rischio associata a contenuti pubblicati pubblicamente significa che non viene applicata alcuna presunzione di esposizione. Pertanto, elementi esposti in maniera pubblica dovrebbero essere considerati invalidanti come prova e i processi di recupero dovrebbero richiedere ulteriori verifiche contestuali prima di autorizzare cambi di credenziali o metodi di pagamento.

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In termini operativi, gli utenti devono applicare pratiche semplici ma efficaci: oscurare dati sensibili negli screenshot, evitare la pubblicazione di conferme di pagamento e utilizzare canali privati per comunicazioni legate a transazioni. Le piattaforme, di contro, devono aggiornare le loro politiche: rigettare come prova elementi reperibili pubblicamente, introdurre validazioni multiple e fornire notifiche immediate e comprensibili al titolare al primo tentativo di recupero. Solo combinando consapevolezza individuale e procedure di verifica più robuste si riduce la superficie d’attacco derivante dalla condivisione di immagini.

FAQ

  • Come può uno screenshot mettere a rischio un account? Uno screenshot può contenere numeri di transazione, email o altri dettagli che alcuni sistemi accettano come prova di proprietà; se reperiti da terzi, consentono di superare procedure di recupero basate su elementi statici.
  • Quali elementi negli screenshot sono più pericolosi? Numeri di transazione, indirizzi email completi, identificativi di acquisto e dettagli di metodo di pagamento sono particolarmente sensibili.
  • Come devo modificare il mio comportamento online? Evitare di condividere conferme di pagamento o riceverle pubblicamente, oscurare informazioni sensibili negli screenshot e limitare la diffusione di immagini che mostrano dati personali.
  • Cosa possono fare le piattaforme per ridurre il rischio? Rigettare come prova elementi pubblici, richiedere verifiche contestuali (IP, dispositivo registrato) e inviare notifiche immediate al titolare al primo tentativo di recupero.
  • La verifica in due passaggi è inutile se condivido screenshot? La 2FA rimane utile, ma può essere aggirata se il processo di recupero dell’account accetta prove reperibili pubblicamente; pertanto è necessaria la combinazione di buone pratiche utente e procedure server più rigorose.
  • Cosa fare se penso che il mio screenshot sia stato usato per rubare un account? Contattare immediatamente l’assistenza del servizio, segnalare la possibile esposizione di dati sensibili e, ove possibile, fornire prove aggiuntive non pubbliche per validare la proprietà dell’account.

mancata risposta di Sony e possibili contromisure

La reazione di Sony è finora assente: non esistono dichiarazioni ufficiali che chiariscano se PlayStation Network intenda correggere la procedura di recupero o avviare indagini su possibili abusi. Questa omissione genera incertezza su scala globale: senza un intervento pubblico, milioni di titolari di account non possono valutare l’entità del rischio né adottare misure consapevoli suggerite dall’operatore. L’assenza di comunicazione istituzionale amplifica la percezione di vulnerabilità e limita la possibilità di coordinare risposte tecniche e legali a tutela degli utenti.

Dal punto di vista operativo, la mancata risposta lascia scoperti tre fronti critici: la verifica dei processi interni di autenticazione, l’implementazione di sistemi di allerta proattivi e la definizione di protocolli di supporto clienti adeguati a furti reiterati. La prassi consigliabile prevederebbe un audit interno sui criteri accettati come prova, la sospensione temporanea di richieste sospette e la pubblicazione di linee guida chiare per chi subisce il blocco dell’account. L’inerzia aziendale, invece, sospende qualsiasi miglioramento fino a potenziali ulteriori casi.

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Sul piano tecnico esistono contromisure immediate e realizzabili senza stravolgere l’infrastruttura: introdurre la validazione multivariata delle richieste di recupero (incrociando indirizzo IP, device fingerprinting e orari delle transazioni), inviare notifiche istantanee al precedente indirizzo email e al dispositivo registrato, e richiedere una conferma out-of-band per cambi di email o metodi di pagamento. Queste misure ridurrebbero la possibilità di sfruttare dati esposti pubblicamente e fornirebbero al titolare strumenti per reagire tempestivamente.

Sul piano procedurale-servizi clienti, è fondamentale istituire percorsi privilegiati per casi ripetuti: escalation automatica dopo più tentativi, blocco proattivo degli account con prove parziali e la possibilità di richiedere verifiche manuali approfondite con elementi non pubblici (documenti d’identità, prove d’acquisto non condivise). Infine, la trasparenza nei confronti degli utenti — tramite avvisi periodici e aggiornamenti pubblici sulle modifiche alla sicurezza — è cruciale per ricostruire fiducia e ridurre il rischio di abusi sistemici.

Dal punto di vista normativo e di responsabilità, una presa di posizione formale da parte di Sony dovrebbe includere la predisposizione di report delle anomalie, la cooperazione con le autorità competenti e la predisposizione di rimedi per gli utenti danneggiati, come il ripristino dell’account e il rimborso per transazioni fraudolente comprovate. Senza questi elementi, la sola correzione tecnica non è sufficiente: serve un quadro di governance che obblighi a pratiche di sicurezza aggiornate e risposte tempestive in caso di compromissione massiva.

FAQ

  • Perché è importante una dichiarazione pubblica da parte di Sony? Una comunicazione ufficiale chiarisce l’entità del problema, guida le azioni degli utenti e mostra l’impegno dell’azienda nel risolvere la vulnerabilità.
  • Quali contromisure immediate può adottare PlayStation Network? Validazione multivariata delle richieste, notifiche out-of-band, blocco automatico dopo tentativi ripetuti e audit dei criteri di prova accettati.
  • Come dovrebbe cambiare il supporto clienti per casi ripetuti? Deve prevedere escalation automatica, verifiche manuali approfondite e percorsi privilegiati per il ripristino sicuro degli account.
  • Le misure tecniche risolvono completamente il problema? Sono necessarie ma non sufficienti: servono anche trasparenza, rimedi agli utenti colpiti e collaborazione con le autorità.
  • Cosa può fare un utente in attesa di una risposta aziendale? Limitare la condivisione di screenshot, abilitare tutte le protezioni disponibili, monitorare transazioni e contattare il supporto con prove non pubbliche.
  • Qual è il ruolo delle autorità in questi casi? Indagare frodi informatiche, coordinare la risposta legale e supportare gli utenti nelle richieste di risarcimento e recupero dei danni.
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