Dobbiamo decidere quale Europa vogliamo. Intervista all’economista Alessia Potecchi
Nel settembre 2022 Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, dichiarava che faceva parte del suo impegnoi dare agli europei maggiore voce in capitolo su ciò che fa l’UE e su come funziona. “Ci avete detto che volete costruire un futuro migliore” diceva “mantenendo le promesse più durature del passato. Promesse di pace e prosperità, equità e progresso; di un’Europa sociale e sostenibile, attenta e audace. Ci avete detto dove volete che vada questa Europa. E ora spetta a noi prendere la strada più diretta per raggiungere questo obiettivo, sfruttando tutti i limiti di ciò che possiamo fare nell’ambito dei Trattati, oppure modificando i Trattati, se necessario”.
I giovani in particolare erano incoraggiati a partecipare e a condividere le loro idee.
Un paio di mesi fa Gideon Rachman, commentatore degli affari esteri del Financial Times, nel suo primo podcast del 2024 guardava al futuro dell’Unione Europea, che dovrà affrontare elezioni cruciali a giugno. Con lui c’era Charles Grant, che, come direttore del Centre for European Reform di Londra, segue molto da vicino la politica europea. “Guardando al futuro” diceva Gideon Rachman, “abbiamo menzionato l’ascesa dell’estrema destra”. E chiedeva a Charles Grant “Quanto pensi che rappresenti una minaccia per l’UE?“
Charles Grant ha risposto: “Sì, penso che sicuramente se la caveranno abbastanza bene alle elezioni, mentre i liberali se la caveranno un po’ meno bene e i verdi ancor meno bene. In generale il centrosinistra potrebbe non andare particolarmente bene e il centrodestra probabilmente emergerà come il partito più numeroso. È importante distinguere tra l’estrema destra leggermente più moderata, i cosiddetti ECR, Conservatori e Riformisti europei, ovvero Meloni in Italia, Democratici svedesi, Partito finlandese in Finlandia, Vox in Spagna, Legge e Giustizia in Polonia. Non credo che l’estrema destra dominerà il Parlamento europeo dopo le elezioni. Penso che le forze moderate saranno ancora predominanti e guideranno il parlamento, ma sarà più difficile per loro far approvare la legislazione rispetto a oggi”.
La situazione in Italia. Il commento di Lapo Mazza Fontana
Quasi alla vigilia delle elezioni europee il dato di fondo che pare permeare la opinione pubblica europea ed a maggior ragione italiana è la sfiducia ormai giunta a livelli se non apicali almeno di netto allarme nei confronti della (sedicente) classe dirigente.
Sedicente, poiché se è vero che una intera leadership finanziaria e politica sta governando gli attuali destini dell’Europa e dell’Occidente, è altresì vero che agisce in base ad una dottrina di fondo di radicale non-governo, se lo si intende come servizio pubblico. È ormai chiaro alla maggioranza degli elettori che vi è un servizio, che però non riguarda i cittadini nel loro complesso organico, mentre presta molto servizio ad una minoranza di speculatori. Certamente la scusa imperante, segnatamente credibile, è che la transizione dal novecento al duemila è un cimento talmente eroico da perdonare la monumentale inadeguatezza dei manovratori, data per scontata.
La verità è che tale inadempimento è esso stesso piano di governo di chi muove le pedine. La reazione istintiva dell’elettorato è una attitudine tendenziale alla astensione, che provoca proclamate lacrime di coccodrillo, mentre in realtà è decisamente utile ai medesimi manovratori. Meno persone votano e più diventa facile manipolarle, e le elezioni sono valide anche ai minimi afflussi. Purtroppo conosciamo tutti il naufragio della contrapposizione destra vs sinistra, che se prima del crollo del muro di Berlino era pure retta da fanatismi ideologici, oggi invece di aver visto un progresso è finita con una orrenda omologazione, se non su temi anche importanti, ma mai sulle risoluzioni di problemi cardinali.
Quindi oggi abbiamo una Europa, sia come Unione (per quanto disfunzionale) che come singoli paesi, che non piace praticamente a nessuno, se non ai piccoli fans delle singole fazioni. A chi piace l’Europa dell’impoverimento generale, della Sanità inaccessibile, di un ritorno persino ottocentesco ad una percentuale minima di ultraricchi che detengono la percentuale massima di ricchezza, di ben due guerre, in Ucraina e in Palestina, che l’Europa è del tutto incapace di gestire né di risolvere secondo un buon senso che pure ormai risulta sempre più riconoscibile? Allora perché andare a votare? I buoni motivi non mancherebbero.
Quale Europa vogliamo. Intevista ad Alessia Potecchi
Quale Europa dobbiamo aspettarci da giugno?
Dobbiamo decidere ora quale Europa vogliamo, perché a breve si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Gran parte di questa partita si giocherà sui temi economici, sul fisco, sul completamento del Mercato Unico Bancario, sui programmi finanziari, sulla pace.
Dobbiamo decidere se vogliamo un’Europa della solidarietà, un’Europa sociale che guardi in maniera sempre più convinta alla sua unità sui tanti temi che ancora mancano e che voglia agire in maniera sinergica sulle grandi questioni di oggi a cominciare dai processi di pace perché qui occorre essere uniti e lavorare tutti nella stessa direzione. Promuovere la pace, la democrazia per porre fine ai conflitti, all’instabilità e alle tragedie umanitarie in Medio Oriente. Dare vita ad una conferenza di pace internazionale per giungere ad una giusta soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi che rispetti i diritti e i doveri dei due popoli. Israeliani e palestinesi hanno entrambi il diritto di vivere in pace e sicurezza. L’Europa deve impegnarsi unita in questo difficile percorso.
I piani green
Come possiamo guidare la transizione ecologica?
La nostra attenzione deve riposta ai piani green. La transizione ecologica va gestita e governata. Ci pone davanti a questioni nuove perché se da una parte produce nuove opportunità dall’altra si rischia seriamente un calo dell’occupazione nei settori ad alta intensità energetica.
Dobbiamo agire innanzitutto in ambito europeo con gli strumenti sociali che guardano in lunga prospettiva e che affrontino il tema della transizione ecologica sul lavoro. Sul piano italiano va definito un patto nazionale per la transizione ecologica e digitale adattandolo anche ai singoli territori dove sono presenti caratteristiche particolari ed esperienze e realtà diverse per puntare ad una sinergia per quanto riguarda le politiche industriali in un momento storico e strategico con l’obiettivo che la transizione non diventi deindustrializzazione e per puntare a processi di sviluppo di attività di carattere innovativo e di rilancio. L’Unione europea ha previsto entro il 2035 lo stop alla vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio. Questi cambiamenti devono essere accompagnati da provvedimenti concreti per evitare ricadute occupazionali pericolose, si rischia la perdita di 73.000 posti di lavoro solo nel settore dell’automotive e l’aggravarsi della crisi sociale. La giustizia sociale e la giustizia climatica sono interconnesse: le persone più vulnerabili stanno pagando il prezzo più alto per l’emergenza climatica. La neutralità climatica dev’essere una forza per il progresso sociale. Bisogna attuare il Green Deal dal cuore rosso, basato sull’alleanza tra politiche sociali ed ecologiche. Occorre investire nell’energia rinnovabile e nell’efficienza energetica, per diventare neutrali dal punto di vista climatico entro il 2050.
Altro argomento molto delicato è l’Europa della solidarietà sociale, che cosa ne pensi?
Dobbiamo scegliere se vogliamo un’Europa della solidarietà sociale, che lotti contro le diseguaglianze, che si impegni sulla tassazione delle grandi multinazionali e sugli incentivi all’economia digitale, il completamento dell’unione economica e monetaria; una politica estera all’altezza dei problemi posti dalla globalizzazione
La condizione infatti anche in Europa per realizzare questa svolta di apertura incentrata sugli investimenti e sullo sviluppo economico per realizzare nel contempo il completamento dell’Unione Europea è una nuova politica fiscale, Intelligente, responsabile, equa. Questo significa armonizzare ed unificare la politica fiscale e la politica societaria. Realizzare finalmente l’Europa Sociale. Non è più accettabile, che in Europa ci siano dei paradisi fiscali e societari che consentano alle imprese di scegliere ove è più conveniente farsi tassare con la conseguenza di mettere in crisi i paesi che avendo rilevanti deficit di bilancio sono costretti a far una politica fiscale appropriata. Non è nemmeno accettabile che le multinazionali e l’economia digitale riescano ad eludere il fisco realizzando enormi profitti e aumentando a dismisura le diseguaglianze.
Molte discrepanze si trovano però ancora ben salde nelle legislazioni dei vari Paesi
Sì, hai ragione, a quanto ho detto si aggiunge anche il dumping sociale. Molti dei paesi che prima della caduta del muro di Berlino erano nell’Europa dell’Est non hanno legislazioni sociali comparabili con quelle dei paesi europei occidentali. I lavoratori sono meno tutelati, la contrattazione è molto vincolata, gli orari sono precari, la sicurezza sul lavoro soprattutto per quanto riguarda il lavoro minorile e quello femminile è fortemente trascurata.
Dobbiamo scegliere se vogliamo un’Europa che non arretri sugli strumenti economici di solidarietà e di debito comune che abbiamo introdotto in questi ultimi anni per fare fronte alla tragedia del Covid e che hanno imboccato una direzione ben precisa e su cui a mio parere dobbiamo insistere e persistere. E la partita del fisco che caratterizzerà l’Europa che deve impegnarsi per armonizzare le diverse modalità di tassazione, processo complesso ma necessario, si intreccia alla partita italiana sul tema. Il nostro paese sta scivolando sempre di più verso una forte disomogeneità e frammentazione del sistema tributario che crea iniquità. I provvedimenti introdotti in materia dal Governo spingono su questa strada, non si tratta di appellare le tasse come bellissime o bruttissime, si tratta di comprendere che le tasse pagate da tutti sono la leva per garantire servizi pubblici di qualità a partire da scuola e sanità e creare un sistema di solidarietà tra i contribuenti, non peraltro la nostra costituzione parla di attuazione di un sistema progressivo che rende omogenea la riscossione mentre da noi è l’opposto ci sono categorie di lavoratori che a parità di reddito pagano una tassazione molto inferiore. I valori sociali, i valori dell’eguaglianza e della solidarietà, i valori dell’unità si giocano in queste partite. Quando pensiamo al risparmio, al fisco, alla previdenza, alla transizione ecologica e digitale dobbiamo farlo pensando realisticamente alle persone perché questi cambiamenti hanno in primis una forte valenza sociale. E allora il paese che vogliamo quale è? A noi la parola.