Dalla nostra inviata CINZIA ALIBRANDI.
Solo Andrea G. Pinketts poteva fare allestire il 21 giugno alle Trottoir, un vero e proprio palco prospiciente la darsena, per presentare il suo nuovo romanzo “La capanna dello zio Rom”.
Il mitico ritrovo milanese sta ad Andrea come la casa a un comune mortale, tanto che al piano superiore gli è stato dedicato il leggendario “Spazio Pinketts” dove il più geniale autore italico, ricordo per i pochi sparuti che non lo sapessero che “G” sta per “genio”, si rintana per scrivere i suoi romanzi e odorare la frenesia di un mondo in libertà che magistralmente imprigiona nelle sue pagine.
Andrea ha così esordito accanto al giornalista del “Corriere della Sera” Antonio D’Orrico, critico letterario assai temuto, e che ha per lui una “motivata venerazione assoluta”.
“Intanto inizio con i ringraziamenti, e per primo ringrazio me stesso, perché senza me questo libro non avrebbe visto la luce!”
Inutile aggiungere che un boato degno di una rockstar ha attraversato il selciato fino a risuonare nelle placide acque del Naviglio!
Così, si diventa un mito.
1- Chi è Andrea G. Pinketts? Cosa dici a uno sconosciuto che stranamente non ti ha riconosciuto?
Andrea Pinketts è il fratello minore di Franco Califano e l’unico figlio unico tra i fratelli Grimm.
2- Dici che lo sconosciuto a tale risposta, chiamerà la neurodeliri o avrà capito di trovarsi di fronte l’inimitabile Pinketts?
La seconda ipotesi: però te la spiego la risposta!
Califano perché, oltre a essere stato un playboy inguaribile, occorre definirlo poeta malato per la bellezza delle canzoni che ci ha regalato.
I fratelli Grimm perché quello che scrivo ha toni fiabeschi che come ogni fiaba che si rispetti contempla la zuccherosità della magia ed insieme i suoi tratti crudeli.
3- Perché il noir secondo te ha così successo, è brutto dire che è un genere di moda?
Semplicemente funziona molto perché come sosteneva Claude Chabrol il noir è un “mezzo di trasporto” a cui io aggiungo che è un camion clandestino dove lo stesso trasportatore sconosce il contenuto del mezzo.
Procede da Marsiglia a Samarcanda, magari con una ruota sgonfia, ma prima o poi giungerà a destinazione, con il suo carico che può essere tutto e il contrario di tutto: piume di struzzo o nitroglicerina.
Ecco il fascino del mistero e quindi spiegato il successo del genere noir: è tutto e niente perché puoi inserirvi di tutto!
4- È uscito sempre per Mondadori il tuo nuovo romanzo “La capanna dello zio Rom”, come sempre i tuoi titoli sono strabilianti: spieghi questo?
In realtà la risposta arriva leggendo il romanzo. “La capanna dello zio Rom” è un luogo non luogo che può essere Gardaland come un limbo, come il castello dell’orrore.
Un luogo che spezza tutti i luoghi comuni, che di questi tempi vanno per la maggiore.
Per esempio non contro i Rom o lo stesso razzismo, quanto contro l’ignoranza che per me costituisce il peggiore dei razzismi.
Io restituisco al girovagare del Rom, la fissa dimora dentro il mio libro, un asilo cartaceo, senza pre e post giudizi.
E questo è un romanzo politicamente scorretto.
Ecco una capanna: può diventare un lager o un eden; sta a noi come ci giochiamo la partita con i Rom e come loro la giocano con noi.
Aggiungo che questo è un romanzo sofferto perché chiuderà le vicende del personaggio di Lazzaro Santandrea.
5- Certo in un momento in cui il tema dell’immigrazione è discusso fino al collasso, si dibatte se tenere aperte o chiuse le frontiere, il tuo nuovo libro appare molto attuale. Mi ha colpito l’esposizione particolare nella vetrina della libreria Mondadori di via Pietro Verri qui a Milano.
In realtà è stata concordata con il direttore Carlo, amico di lunga data che con me ne ha fatte tante e mi segue da vent’anni; quindi siamo giunti all’idea di mettere in vetrina “la capanna dello zio Rom” accanto al libro “Secondo Matteo” di Salvini.
Come dire che gli opposti della diversità ideologica trovano entrambi visibilità in una libreria, quale massimo esempio di integrazione!
6- Cosa ti aspetti che dica il lettore di questo libro quando arriverà alla parola “fine”?
Mi aspetto che tra il soddisfatto e deluso dica ‘già finito?! Non me ne sono accorto!‘
7- Hai presentato la tua nuova creatura a “Le Trottoir”, di Milano, il ritrovo milanese tuo quartier generale: hai altri incontri con i lettori per quest’estate?
Un firmacopie presso la libreria milanese “Verso” in corso di Porta Ticinese: amo le librerie indipendenti perché oggi sono coraggiose come soldati in trincea. Sono stato a Cattolica membro di giuria al Mystfest e al contempo Carlo Lucarelli ha presentato il mio nuovo romanzo.
Dopo sarò a Andora, dove dirigo un festival, a Recanati, a Positano, a settembre qui a Milano prevedo una doppietta con Enrico Ruggeri in una vicendevole presentazione dei rispettivi libri. Girerò davvero tutta l’Italia.
8- Qual è, oltre il tuo ovviamente, il libro che ti è più caro, verso cui passando davanti alla libreria di casa dedichi uno sguardo d’affetto?
Senza esitare rispondo “Fiorirà l’aspidistra” del grande George Orwell.
L’aspidistra è una pianta da appartamento molto usata in Inghilterra specie per gli uffici. Il protagonista deve scegliere tra un’esistenza artistica o da impiegato, ammirando in un anonimo ufficio sulla propria scrivania l’aspidistra.
È il bivio della vita, in cui mai ho avuto esitazione su quale strada imboccare.
9- Racconta un ricordo della tua infanzia legato a tuo padre, che per te è rimasto indelebile.
In realtà è difficile avere ricordi nitidi perché papà è mancato quando avevo appena 6 anni. Era un ingegnere e tornando dal lavoro mi portava ogni giorno il fumetto Kinowa, un western quasi horror.
Io ho iniziato a leggere a 5 anni e questo rituale mi ha consacrato a questo mondo. Il problema era che papà mai si accorse che Kinowa avesse uscita settimanale, per cui mi ritrovavo per 7 giorni a collezionarne l’identica copia.
Non glielo ho mai fatto notare: a me piaceva così e il mio amore per il noir è scoccato da lì.
10- È nota la tua disponibilità verso chiunque ti chieda consigli sul mondo della scrittura. Oggi quali daresti a chi vuole diventare scrittore professionista?
L’editoria è la linea Maginot purtroppo non immaginaria, di una guerra non a caso mondiale: sembrava invalicabile e bastava aggirarla.
Così è questo mondo, per cui sempre più non occorre solo possedere l’ingegno. L’ingegno va aguzzato diventando un pugnale che s’infigge dentro la fontana di pietra. L’incisività aiuta a andare oltre il consenso dei pochi lettori familiari e diventare pubblici.
11- Qual è il tuo nuovo progetto: stai già pensando a un prossimo romanzo?
Non penso affatto di scrivere un altro libro, anche se sto scrivendo ancora di più per un’ idea che si snoderà su più assi multimediali.
Credo nella scrittura come totalizzante quindi mai potrei abbandonarla, però oggi si viaggia sempre più verso la contaminazione dei generi, e io stesso mi sto dirigendo in tal senso con un progetto che avrà sede ad Hong Kong e di cui altro ancora non posso confessare.
12- Mi dici il nome di un collega scrittore che ti piace particolarmente?
Questa è una domanda più complicata rispetto a quella in merito a un libro per me importante.
Un autore ha una produzione ampia: cito Raul Montanari perché mi piace il suo modo di narrare, forse perché antitetico al mio.
13- Mi racconti un’uscita tra amici, magari curiosa?
Più che un’uscita ti racconto di quando a Cattolica al teatro “La regina” mentre si rappresentava un’opera di Lucarelli, in modo affascinante quanto improbabile, ho ritenuto di esprimere la mia approvazione/disapprovazione togliendomi una scarpa e lanciandola sul palco tra l’osannazione del pubblico che in quel “teatro nel teatro” ha vissuto un imperdibile momento di stampo futurista!
14- Tu sei circondato spesso da personaggi singolari, che ti adorano e di cui sei una sorta di grande padre: ami pure la fragilità dei perdenti.
Amo i perdenti perché portatori di poesia e perché nella perdita è insito il riscatto di chi, cadendo, può rialzarsi.
E dal selciato, diciamo che aiuto l’emarginato ad abbattere i margini, a trovare un inserimento.
Tacco e stacco: e a tutti auguro di avere in libreria un libro irripetibile come ‘La capanna dello zio Rom’
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