I problemi della distribuzione dei guadagni di Spotify che con Artists cerca di superare le lamentele degli artisti
Fino a questo momento, Spotify si è sempre e soltanto occupata degli amanti di musica, intesi nel senso di consumatori, adoperandosi per offrire loro la possibilità di ascoltare brani che possono essere scelti a partire da un ampio database. Nulla di strano, fin qui, dato che si tratta di una piattaforma di streaming musicale. La novità arriva adesso con un nuovo strumento, Spotify Artists, in aggiunta ad altre funzionalità di carattere analitico, anche queste messe a disposizione degli artisti.
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Il fine che questi nuovi strumenti si propongono, è quello di illustrare con maggiore chiarezza, a consumatori e addetti ai lavori, le modalità attraverso cui la piattaforma manda avanti il suo business, ma anche di consentire ai cantanti la possibilità di farsi pubblicità e di compiere attività di merchandising. Attraverso gli strumenti analitici, Spotify sarà inoltre in grado di fornire agli artisti informazioni sulle modalità con cui i consumatori si servono della piattaforma per ascoltare le loro canzoni.
In questo modo, Spotify avrà anche la possibilità di far capire come funziona il suo modello di monetizzazione, che ha suscitato svariate critiche. Essenzialmente, la modalità di monetizzazione utilizzata dalla piattaforma di streaming musicale è quella del freemium: è possibile cioè ascoltare i brani in maniera gratuita, con intermezzi pubblicitari e un tetto massimo di dieci ore, trascorsi sei mesi dal primo utilizzo. Tale versione, denominata Spotify Free, può essere tramutata in altre due versioni, quella Premium e quella Unlimited, che non prevedono spot o limiti di ascolto, ma sono a pagamento. Queste ultime sono utilizzabili anche da dipositivi mobili.
La piattaforma svedese si è vista denigrare in maniera feroce soprattutto dagli stessi artisti: il frontman dei Radiohead, Thom Yorke, ha infatti ha preso di mira l’inconsistenza delle royalties destinate ai cantanti, mentre invece David Byrne dei Talking Head ha additato lo strumento come un “mezzo insostenibile come supporto del lavoro creativo di qualsiasi tipo”. Spotify ha però ribattuto, per quel che concerne la questione royalties, di aver devoluto ai cantanti, a partire dall’anno 2008, compensi per un ammontare complessivo di ben 383 milioni di euro, pari a circa 500 milioni di dollari; una somma cospicua che, tra l’altro, sembra destinata ad andare incontro ad un raddoppiamento, grazie ai pagamenti dell’ultimo anno.
Da adesso in poi, Spotify potrà garantire una maggiore trasparenza, illustrando ad ogni cantante, con un semplice calcolo, il modo in cui determina la retribuzione di ogni brano che viene ascoltato servendosi della piattaforma. Secondo tale calcolo, ogni canzone viene pagata dai 0,006 ai 0,0084 centesimi di dollaro; ciò vuol dire che, ad esempio, un artista che ottiene con una traccia un successo planetario, può arrivare a guadagnare, in un mese, fino a 425 mila dollari.
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