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Esperti europei su disinformazione e odio online bloccati da decisione di Trump: impatto e soluzioni pratiche

  • Redazione Assodigitale
  • 24 Dicembre 2025

Impatto sulle politiche di regolamentazione

Il Dipartimento di Stato USA ha annunciato sanzioni contro esperti europei impegnati nella regolamentazione dei contenuti online, passo che rischia di modificare in modo diretto le dinamiche normative tra Unione Europea e Stati Uniti. L’azione mette sotto pressione le istituzioni e le organizzazioni che elaborano e applicano norme come il Digital Services Act, generando incertezza sulle collaborazioni transatlantiche e potenziali effetti a catena sulle strategie di conformità delle piattaforme digitali. Questa decisione potrebbe ridefinire i confini dell’influenza normativa, influenzando il dialogo istituzionale, le strategie di enforcement e i rapporti tecnico-scientifici alla base delle nuove norme sul contenuto illecìto e sulla disinformazione.

 

Indice dei Contenuti:
  • Impatto sulle politiche di regolamentazione
  • FAQ
  • Soggetti sanzionati e ragioni
  • Reazioni europee e diplomatiche
  • FAQ
  • Conseguenze per ricerca e libertà di ricerca
  • FAQ

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La scelta di inserire nella lista persone chiave della regolamentazione digitale produce un effetto deterrente immediato: consulenze internazionali, scambi di best practice e partecipazioni a tavoli tecnici rischiano di ridursi. Organismi regolatori e legislatori europei potrebbero trovare più arduo ottenere contributi esterni qualificati o vedere ridotta la collaborazione con esperti che temono sanzioni accessorie o limitazioni di movimento. In prospettiva, le istituzioni potranno essere costrette a intensificare risorse interne per compensare la perdita di scambi internazionali, con costi organizzativi e ritardi nell’attuazione delle norme.

L’effetto politico è duplice: da un lato, la mossa americana delegittima parte del lavoro normativo europeo agli occhi di chi considera la regolazione digitale come un freno alla libertà di espressione; dall’altro, rafforza chi in Europa sostiene una posizione prudente e autonoma nella definizione degli standard tecnologici. Ne consegue un possibile irrigidimento delle contromisure regolamentari europee per proteggere processi decisionali considerati strategici, e un maggior ricorso a strumenti normativi interni per limitare qualsiasi forma di influenza esterna ritenuta ingerenza.

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Sul piano operativo, le piattaforme digitali saranno poste in una posizione ancora più complessa: dovranno bilanciare compliance con il DSA e pressioni normative statunitensi, mentre la disponibilità di competenze indipendenti per audit e valutazioni esterne potrà ridursi. Le imprese tecnologiche, specialmente quelle con attività transatlantiche, rischiano di trovarsi con standard contrapposti e di dover adottare soluzioni tecniche e policy divergenti per conformarsi simultaneamente a requisiti incompatibili.

Infine, la prospettiva di allargare la lista di sanzionati introduce un elemento di imprevedibilità normativa che può influenzare anche gli investimenti in tecnologie per la moderazione dei contenuti e nelle infrastrutture di verifica delle informazioni. Investitori e enti di ricerca potrebbero ridurre iniziative con impatto globale per evitare esposizioni politiche, con potenziali ricadute sulla qualità e indipendenza delle attività di monitoraggio e prevenzione della disinformazione.

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FAQ

  • Le sanzioni influiranno direttamente sul DSA? Le sanzioni non modificano formalmente il testo del DSA, ma possono ostacolare l’attuazione pratica delle sue disposizioni incidendo sulla disponibilità di esperti e collaborazione internazionale.
  • Possono le istituzioni europee sostituire facilmente gli esperti bloccati? Non necessariamente: la sostituzione richiede tempo e risorse; molte competenze sono specialistiche e basate su relazioni internazionali consolidate.
  • Quali settori delle piattaforme saranno più colpiti? Moderazione dei contenuti, compliance legale e sistemi di fact-checking sono i settori più esposti a effetti operativi e normativi.
  • Le aziende possono adottare misure preventive? Sì: rafforzare team interni di compliance, diversificare le consulenze e aumentare trasparenza nei processi di moderazione sono azioni concrete.
  • Questa mossa può favorire l’autonomia normativa europea? Potrebbe: la ridotta dipendenza da esperti esterni può spingere verso politiche più autonome e infrastrutture regolatorie rafforzate.
  • Ci saranno ripercussioni sugli scambi accademici? Probabilmente: università e centri di ricerca potrebbero rivedere programmi di scambio e collaborazioni temendo barriere amministrative e politiche.
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Soggetti sanzionati e ragioni

Il Dipartimento di Stato ha indicato con precisione i soggetti coinvolti, motivando le esclusioni con azioni ritenute ostative agli interessi statunitensi nella comunicazione digitale. Tra i nominativi figurano figure riconosciute per il loro ruolo nella definizione delle politiche e nella ricerca sulla disinformazione: *Thierry Breton*, ex commissario europeo e principale promotore del Digital Services Act; *Imran Ahmed*, direttore del Center for Countering Digital Hate; *Anna-Lena von Hodenberg* e *Josephine Ballon*, esponenti di HateAid; e *Clare Melford*, responsabile del Global Disinformation Index. Il provvedimento impedisce loro l’ingresso negli Stati Uniti e apre la strada alla loro possibile espulsione se già presenti sul territorio.

I motivi addotti dal Dipartimento si concentrano su presunte interferenze nella libertà di espressione e nel funzionamento delle piattaforme digitali, con riferimenti specifici a comunicazioni e iniziative pubbliche ritenute coercitive verso operatori privati. Nel caso di *Breton* la nota amministrativa cita una lettera inviata a Elon Musk, interpretata come un richiamo alla responsabilità legale delle piattaforme secondo il DSA; per *Ahmed* si richiama invece il suo ruolo nel denunciare comportamenti delle piattaforme che, secondo le autorità statunitensi, avrebbero avuto effetti punitivi e scoraggianti verso determinati attori politici o commerciali.

La scelta dei soggetti non è casuale: combina personalità istituzionali e leader di ONG attive nel monitoraggio dell’hate speech e della disinformazione, selezionando chi ha prodotto analisi, denunce e raccomandazioni operative percepite come minacciose da ambienti politici statunitensi. Le sanzioni si presentano come strumento di deterrenza verso chi, a giudizio di Washington, eserciti pressioni indebite sulle piattaforme o promuova pratiche di moderazione giudicate discriminatorie.

Dal punto di vista procedurale, il provvedimento si basa su strumenti amministrativi di controllo dei visti e delle autorizzazioni di ingresso. Le persone coinvolte vengono ora considerate a rischio di rifiuto di visto o di revoca delle autorizzazioni già concesse, con conseguenze immediate per la partecipazione a conferenze, indagini sul campo e collaborazioni con università o centri di ricerca statunitensi. Sul piano pratico, gli effetti si estendono anche alle organizzazioni che rappresentano: finanziamenti, partnership e programmi con controparti americane possono essere sospesi o rinegoziati per evitare esposizioni legali e reputazionali.

Reazioni europee e diplomatiche

Le reazioni ufficiali europee e le manovre diplomatiche scatenate dalle sanzioni USA verso esperti della regolamentazione dei contenuti online combinano condanne formali, richieste di chiarimenti e misure pratiche volte a preservare l’autonomia istituzionale e la libertà accademica. Tra prese di posizione politiche, interventi delle rappresentanze diplomatiche e possibili contromisure normative, l’Unione Europea si trova a dover bilanciare pressione transatlantica e tutela delle reti di ricerca e collaborazione internazionale, valutando risposte che possano proteggere esperti, ONG e processi legislativi senza trasformare il conflitto in una rottura definitiva delle relazioni tecniche e commerciali.

La reazione diplomatica dell’UE è stata immediata e composta: uffici della Commissione e del Servizio Europeo per l’Azione Esterna hanno richiesto spiegazioni formali al Dipartimento di Stato, sottolineando come la decisione impatti la cooperazione scientifica e la libertà di espressione. Bruxelles ha ribadito la necessità di dialogo e trasparenza nelle misure che coinvolgono cittadini europei, richiamando il principio di reciprocità e la protezione delle attività legittime di ricerca e policy-making. I rappresentanti europei hanno inoltre espresso preoccupazione per il possibile effetto intimidatorio sulle ONG e sui ricercatori che operano in campo digitale.

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Governi nazionali e parlamentarismo hanno reagito in modo coordinato ma con toni differenti: alcuni Stati membri hanno convocato gli ambasciatori americani per ottenere chiarimenti; altre capitali hanno emesso note di condanna più durature, enfatizzando il carattere sovrano delle proprie scelte regolatorie. Nei parlamenti nazionali e a Strasburgo sono partite interrogazioni, mentre commissioni parlamentari hanno annunciato audizioni con esperti per valutare l’impatto sulle politiche nazionali. L’obiettivo dichiarato è tutelare la possibilità di progettare norme autonome senza subire ingerenze che possano limitare la libertà scientifica e il controllo democratico sui processi normativi.

Azioni pratiche delle istituzioni europee comprendono la predisposizione di linee guida per la protezione del personale accademico e dei partner delle ONG, nonché il rafforzamento delle garanzie legali per conferenze internazionali ospitate in territorio UE. Si stanno inoltre valutando meccanismi per assicurare la continuità delle collaborazioni internazionali via remoto e per ridurre la dipendenza da trasferimenti fisici di esperti verso gli USA, mantenendo aperti canali tecnici e scientifici attraverso piattaforme digitali sicure e protocolli di accesso che tutelino la libertà di ricerca.

Diplomazia bilaterale e canali informali restano attivi: ambasciate e uffici commerciali hanno avviato contatti con controparti americane per evitare escalation e chiarire criteri di applicazione delle sanzioni. Si segnalano colloqui riservati tra funzionari tecnici volti a stabilire regole di ingaggio che permettano scambi professionali non ostacolati da misure politiche. Queste interlocuzioni mirano a prevenire ritorsioni sui cittadini o sulle imprese europee impegnate in progetti transatlantici nel settore digitale.

Posizione delle organizzazioni della società civile e delle università europee è stata netta: ONG e centri di ricerca hanno definito la misura come un attacco alla libertà di indagine e alla responsabilità pubblica nella lotta contro l’hate speech e la disinformazione. Molte organizzazioni hanno richiesto garanzie sulle rispettive collaborazioni internazionali e auspicano la creazione di fondi di emergenza per sostenere legalmente i ricercatori colpiti. Le università hanno nel contempo ribadito la necessità di proteggere scambi accademici e di resistere a pressioni che possano limitare il dibattito scientifico.

Effetti diplomatici potenziali includono l’avvio di procedimenti di protesta formale a livello UE e la possibilità di misure di risposta mirate, come revisioni delle procedure di visto per personale straniero, restrizioni selettive su programmi di cooperazione o controlli più stringenti per attività di lobbying esterno. Tuttavia, le istituzioni europee mostrano prudenza: l’intento prevalente è evitare un’escalation che comprometta necessarie relazioni commerciali e di sicurezza con gli Stati Uniti, preferendo un approccio multilivello che combini pressione politica, tutela istituzionale e soluzioni pratiche per proteggere ricercatori e processi normativi.

FAQ

  • Qual è stata la prima risposta ufficiale dell’UE? La Commissione e il Servizio Europeo per l’Azione Esterna hanno chiesto chiarimenti formali al Dipartimento di Stato USA, evidenziando impatti su ricerca e cooperazione.
  • I governi nazionali hanno reagito allo stesso modo? No: reazioni coordinate ma con variazioni di tono; alcune capitali hanno convocato ambasciatori, altre hanno emesso note più incisive o avviato audizioni parlamentari.
  • Quali misure pratiche sono state adottate in Europa? Linee guida per proteggere personale accademico e ONG, rafforzamento di garanzie legali per eventi internazionali e soluzioni per collaborazioni da remoto.
  • Le università possono essere direttamente colpite? Sì: restrizioni ai visti e pressioni possono compromettere scambi accademici, progetti con partner USA e partecipazione a conferenze/statistiche.
  • Esiste il rischio di contromisure europee? Potrebbero esserci procedimenti di protesta formale e misure mirate, ma l’UE tende alla prudenza per evitare una rottura commerciale o di sicurezza con gli USA.
  • Come possono le ONG tutelarsi? Rafforzando protezioni legali, diversificando partnership internazionali e utilizzando strumenti digitali sicuri per garantire continuità nella ricerca e nella comunicazione.
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Conseguenze per ricerca e libertà di ricerca

Le sanzioni statunitensi verso ricercatori e attivisti del contrasto alla disinformazione producono effetti immediati e di medio termine sulla qualità, l’indipendenza e la circolazione del sapere in materia di moderazione dei contenuti. La privazione dell’accesso fisico a networking, conferenze e laboratori sul suolo statunitense comporta limitazioni concrete per progetti con partner oltreoceano, scambi di dati sensibili e opportunità di finanziamento. Parallelamente, l’intimidazione implicita associata alla lista nera può indurre ricercatori a esercitare autocensura, riducendo l’ampiezza delle indagini e la pubblicazione di analisi critiche che potrebbero generare contraccolpi politici o giuridici.

Sul piano operativo, la ricerca empirica sulla disinformazione si regge su dataset transnazionali, accesso alle piattaforme e collaborazioni interdisciplinari: tutte risorse che rischiano di soffrire. La difficoltà di partecipare a studi congiunti, esperimenti sul campo o workshop tecnici degrade la possibilità di validare metodi, riprodurre risultati e sviluppare strumenti condivisi per l’audit delle piattaforme. Le limitazioni di mobilità possono inoltre interrompere tirocini, scambi accademici e visite di studio, impoverendo il capitale umano e la formazione pratica dei giovani ricercatori.

Gli istituti di ricerca e le università europee saranno costretti a ripensare governance e protocolli di sicurezza dei progetti internazionali: maggiore enfasi su archiviazione locale dei dati, cifratura end-to-end e patti di collaborazione che prevedano modalità di lavoro totalmente remote. Questo adattamento tecnico-finanziario comporterà costi aggiuntivi e possibili ritardi nella produzione scientifica. Fondazioni e finanziatori internazionali potrebbero rivedere criteri di allocazione per minimizzare l’esposizione legale o diplomatica, con conseguente compressione delle risorse disponibili per studi indipendenti.

L’effetto reputazionale sulle organizzazioni colpite e sui loro partner è rilevante. ONG e centri di ricerca potrebbero incontrare maggiori difficoltà nel reperire sponsor privati o pubblici che temono ritorsioni politiche. Allo stesso tempo, la polarizzazione del contesto politico può favorire la nascita di reti alternative di collaborazione intra-europee e multidisciplinari che puntino all’autosufficienza metodologica e alla condivisione di best practice in ambiti non dipendenti dagli Stati Uniti.

Infine, la libertà accademica rischia di essere compressa da meccanismi di deterrenza indiretti: la prospettiva di ostilità diplomatica o di esclusione dal mercato statunitense può spingere istituzioni e singoli a evitare ricerche su temi sensibili, sulla base di valutazioni di rischio legate a perdita di accesso a fondi, pubblicazioni o partnership strategiche. In risposta, si osserva già un rafforzamento delle misure difensive europee volte a proteggere la libera indagine e garantire continuità nella produzione di conoscenza contro l’hate speech e la disinformazione.

FAQ

  • In che modo le sanzioni limitano l’accesso a dati e piattaforme? Le restrizioni di mobilità e i timori di ripercussioni regolamentari ostacolano accordi diretti con piattaforme statunitensi e la partecipazione a studi che richiedono accesso a API o dataset ospitati negli USA.
  • I progetti europei perderanno finanziamenti internazionali? Alcuni finanziamenti con componenti transatlantiche potrebbero essere rinegoziati o ridotti per evitare esposizioni legali, con conseguente riallocazione di risorse o ridimensionamento di studi.
  • Come possono i ricercatori proteggere la libertà di pubblicazione? Consolidando archivi e protocolli di sicurezza locali, privilegiando collaborazioni multi-sede e formalizzando garanzie contrattuali che tutelino la pubblicazione dei risultati.
  • Le università possono sostituire le collaborazioni con partner non statunitensi? Sì, molte istituzioni cercheranno alternative regionali o globali; tuttavia, alcune competenze e dataset rimangono concentrati negli USA, rendendo la sostituzione non immediata.
  • Vi è il rischio di autocensura nella comunità scientifica? Sì: la possibilità di perdere accesso a fondi, visti o partnership può indurre a evitare tematiche percepite come politicamente sensibili.
  • Quali misure pratiche possono mitigare l’impatto? Rafforzare infrastrutture di ricerca europee, finanziare progetti indipendenti, adottare soluzioni tecniche per lo scambio sicuro di dati e istituire fondi di emergenza legale per i ricercatori colpiti.
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