Elezioni: la politica italiana ha l’occasione di fare cassa con bitcoin (ma sembra non interessarsene)
Nei programmi elettorali il mondo cripto è uno dei grandi assenti. Se ne fa cenno nei programmi di Lega e di M5S. Il M5S aveva anche presentato un disegno di legge sulla tassazione nella precedente legislatura.
Ed è il tema fiscale la grande opportunità che rischiamo di perdere: a oggi manca una legge che definisca in modo chiaro e trasparente la tassazione su bitcoin.
Riempire questo gap normativo porterebbe un gettito fiscale aggiuntivo nel bilancio pubblico e potrebbe attrarre investimenti nel Paese
A cura di Andrea Medri, Founder & CFO di The Rock Trading
La politica italiana ignora le criptovalute. Se c’è un tema quasi del tutto assente nei programmi elettorali delle prossime politiche del 25 settembre è l’universo delle criptovalute: una mancanza che rischia di trasformarsi in una occasione persa.
Perché gli italiani si stanno sempre più avvicinando agli investimenti in cripto negli ultimi anni: secondo una media che emerge analizzando i dati di una serie di studi (Consob 2% nel 2021, Prx l’8% e Finder 21%) possiamo ragionevolmente supporre che più del 10% degli italiani abbia investito una parte del proprio patrimonio in bitcoin e dintorni.
Ad oggi non esiste una legge che delinei con chiarezza il trattamento fiscale delle cripto. L’unica indicazione su come pagare le tasse per chi detiene bitcoin è stata finora la nota risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 2016 che equipara le criptovalute alle valute estere (in controtendenza con la Banca d’Italia che non le considera tali) e dunque, in caso di plusvalenza generata dal trading, prevede su di essa un’aliquota del 26% per importi superiori all’equivalente di 51.645,69 euro, se detenuti per almeno 7 giorni.
Ma una risoluzione del Fisco non è legge e questo buco normativo crea confusione. Oltre a privare lo Stato di un gettito fiscale aggiuntivo. Ed è questa l’occasione persa: una legge chiara sulla fiscalità di bitcoin porterebbe liquidità nelle casse dello Stato e, se strutturata bene, potrebbe attrarre investimenti come ogni volta che la situazione fiscale è chiara e trasparente.
Cosa dicono i candidati su bitcoin
A parlare di finanza digitale nei programmi delle prossime politiche sono solo il Movimento 5 Stelle e la Lega. La Lega propone “l’introduzione di un quadro normativo che preveda una specifica definizione e classificazione delle criptovalute e dei token, al fine di svilupparne l’utilizzo e considerata l’esigenza di stabilire anche sul mercato italiano regole per le infrastrutture e gli attori di questo nuovo mondo della finanza digitale”.
Obiettivo, esplicitato a pagina 29 del programma leghista: “individuare misure per il trattamento fiscale delle valute virtuali, superando la mera equiparazione delle criptovalute alle valute tradizionali, al fine di dare certezza a tutti gli operatori del settore”.
Quanto al Movimento 5 Stelle, a pag. 11 delle 13 complessive dello snello programma del partito guidato da Giuseppe Conte, c’è la proposta “di definire un piano industriale basato sulle tecnologie strategiche per il futuro”, tra cui annovera “manifattura digitale, fintech, valute digitali, intelligenza artificiale e robotica, agrifoodtech, aerospazio, web3, semiconduttori, scienze della vita, creazione di contenuti digitali, metaverso, nanotecnologie e quantum computing”.
Cosa servirebbe per rendere trasparente il mondo delle cripto
Con tutta probabilità entrambi gli schieramenti porteranno alla prossima finanziaria di novembre una proposta di legge sulla tassazione delle criptovalute. Il Movimento 5 Stelle non sarebbe nuovo, avendo già presentato un disegno di legge a firma di Davide Zanichelli.
Ed è questa la strada da seguire: se da una parte una regolamentazione – che classifica le cripto in una categoria o in un’altra – può essere superflua, una legge moderna che non miri a penalizzare i detentori di bitcoin, ma solo a farli emergere, con una tassazione corretta, può portare solo benefici.
Le piattaforme italiane, o con stabile organizzazione in Italia, sono già tenute, dal maggio 2022, a registrarsi nel Registro OAM degli intermediari finanziari. Sul fronte fiscale andrebbero portate avanti due strade.
Cristallizzare il pregresso e stabilire un’aliquota sul capital gain
Ovvero cristallizzare il pregresso e stabilire un’aliquota per il presente e per il futuro.
Il primo punto è il più difficile da trattare, perché chi detiene già un patrimonio in bitcoin potrebbe non riuscire a ricostruire un quadro adeguato di com’è stato creato e come si è valorizzato questo patrimonio nel tempo. Per trovare una soluzione, nell’attuale quadro giuridico, possiamo riferirci a come viene trattato l’oro.
In questo caso una proposta fair potrebbe consistere nello stabilire una tassazione forfettaria (per esempio la stessa aliquota che si applica ai redditi finanziari, pari al 26%, su una quota fissa del patrimonio detenuto in bitcoin alla fine dell’ultimo anno fiscale). In questo modo il contribuente viene blindato e si protegge dal punto di vista giuridico, pagando una tassazione non penalizzante.
A partire dal primo gennaio 2023 la tassazione potrebbe essere dunque normalizzata al 26% sul capital gain, con il valore di carico che si ricava in maniera immediata grazie a un’operatività che nel frattempo è diventata tracciabile.