L’URLO RIBELLE LIBERALE DI GIAMPAOLO BERNI FERRETTI
Giampaolo Berni Ferretti, già consigliere anziano dell’opposizione in Municipio 1 alle ultime elezioni amministrative, il più votato tra i consiglieri di Forza Italia, è entrato nel partito guidato da Silvio Berlusconi nel lontano novembre 1993, annus horribilis della politica italiana, provenendo dal PLI e seguendone uno dei 5 fondatori.
Nella sua attività politica Giampaolo Berni Ferretti (nella foto) ha portato un cospicuo contributo al partito non solo in termini elettorali ma anche dal punto di vista della produzione legislativa .Già dal 1997 al 2001 si contraddistinse, seppur giovanissimo, nell’essere determinante, durante la prima Giunta Albertini, per la restituzione alla città dei monumenti del Parco Sempione e del Foro Bonaparte: La Torre Branca, il Castello, il Teatro Strehler, l’Arena e La Fabbrica del Vapore (l’ex area Carminati e Toselli di via Procaccini).
Nel precedente mandato amministrativo la sua azione legislativa ha contributo all’ottenimento, nell’interesse generale, e dopo un incessante lavoro con la Maggioranza Dem, le delibere sul Restauro delle 5vie e dell’asse di Porta Romana e Vigentina. Proprio per rilanciare un modello liberale di metropoli, dopo avere presentato nel settembre 2020 con Mariastella Gelmini e Gabriele Albertini il suo libro www.milano21puntozero.it, con un appello pubblico sulla stampa nazionale, candidò Gabriele Albertini a Sindaco di Milano in quanto massimo emblema e garante del modello sociale, urbanistico e di sviluppo di Milano.
“Ricordo quel terribile 1993, quando nel novembre aderii a Forza Italia, provenendo dall’ appena disciolto P.L.I., seguendone uno dei suoi 5 fondatori. Allora feci quella scelta nel nome di Einaudi per restare liberale. Oggi, a malincuore, faccio la scelta di seguire Maria Stella Gelmini in Azione per la medesima ragione di libertà”
Da liberale non posso che avversare il populismo il quale, scomodando una metafora crociana usata in tempi passati, è una vera e propria “malattia della democrazia”. Il populismo è infatti una versione ingannevole e mistificatrice della democrazia. Quest’ultima, attraverso un subdolo richiamo alla sovranità popolare, viene svuotata delle proprie ragioni esistenziali, in primo luogo, dal punto di vista procedurale. Da qui discende l’idiosincrasia del populismo verso tutti i meccanismi di pluralismo deliberativo, i quali vengono modificati in conformità alle esigenze temporanee di un popolo omogeneo, concepito come puro, unico degno tutore della verità, contrapposto al “popolo cattivo “delle corrotte élite oligarchiche liberali.
Una visione manichea, radicalmente differente dalla natura concertativa della democrazia, che annulla le ragioni popperiane della società aperta fondata sulla mediazione degli interessi e sul mutuo riconoscimento dialettico e deliberativo. Di conseguenza il fenomeno populista costituirebbe una manifestazione di un democratismo estremo, che riduce il momento elettorale ad un plebiscito ratificante scelte fatte precedentemente dall’oligarchia dominante.
Come già citato in precedenza il rapporto con la democrazia liberale è problematico e contradditorio in quanto il populismo nega il ruolo e l’apporto delle minoranze al processo democratico. Seppur formalmente e proceduralmente “democratico “il populismo presenta, in nuce, un carattere plebiscitario. Vengono formalmente dichiarate le elezioni per rispecchiare la volontà popolare ma questa, in realtà, appartiene ad una parte circoscritta della popolazione: la “parte sana della nazione “che trasforma la propria arbitrarietà di pensiero in verità assoluta e insindacabile. Le elezioni in questa concezione non sono altro che dei “rituali confermativi “funzionali alla “tirannide della maggioranza “. La concretizzazione politica del fenomeno può essere rintracciata in tanti leader delle diverse epoche storiche, lontane e vicine. Il populismo, difatti, non è un fenomeno recente ma ha radici antiche che possono essere individuate quando la collegialità democratica dell’esempio della polis greca degenerò nell’esaltazione ideologica della democrazia diretta, saldamente ancorata, in un rapporto paternalistico, al leader di turno.
Oggi sia il panorama europeo (le “democrazie illiberali “dell’est europeo) che extra europeo (si pensi al caso dell’America Latina, vera e propria fucina di leader populisti) sono contraddistinti da fenomeni di questo tipo che rischiano di compromettere l’equilibrio democratico futuro. Il momento di popolarità del populismo, che sembrava archiviato con la sconfitta dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sembra ancora oggi un significativo contendente dell’egemonia democratica. In conclusione, “quando la voce della maggioranza vuole imporsi come la ‘vera’ voce sovrana, il risultato è che una parte pretende di essere il tutto e così la democrazia rischia pericolosamente di diventare un regime della maggioranza contro la minoranza.”