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LA TRANSIZIONE GREEN RICHIEDE UNA NUOVA RIORGANIZZAZIONE GLOBALE DI INTERI SETTORI

  • Paolo Brambilla
  • 10 Febbraio 2023

Alessia Potecchi ci parla di transizione green — 

Indice dei Contenuti:
  • LA TRANSIZIONE GREEN RICHIEDE UNA NUOVA RIORGANIZZAZIONE GLOBALE DI INTERI SETTORI
  • La lotta al cambiamento climatico
  • Il tema dei salari
  • L’industria dell’auto


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La crisi pandemica e la guerra in Ucraina hanno ulteriormente acuito la questione sociale e il tema delle diseguaglianze perché la crisi, il caro bollette, l’inflazione, il caro vita colpiscono in maniera particolare le imprese e le famiglie che già si trovano in una situazione di difficoltà e di disagio economico.

“Oggi occorre mettere al centro il valore del lavoro, la dignità delle persone, per cambiare un modello sociale ed economico sbagliato che ha aumentato la sofferenza delle persone e ha svalorizzato le professionalità. Bisogna fare le Riforme” dichiara l’economista Alessia Potecchi (nella foto).

La lotta al cambiamento climatico

La lotta al cambiamento climatico è prioritaria e la transizione ecologica va realizzata. La transizione green ci pone davanti a questioni nuove perché se da una parte produce nuovi posti di lavoro dall’altra produce anche un calo dell’occupazione nei settori ad alta intensità energetica e quindi la necessità di un adeguamento importante su queste questioni e una nuova riorganizzazione globale di interi settori.

“Occorre valorizzare e incentivare il nostro comparto manifatturiero che ha delle eccellenze importanti e di valore” precisa Alessia Potecchi “Ed evitare che le fasce più deboli paghino il prezzo più alto rispetto a questi processi per quanto riguarda l’occupazione, il reddito e la sicurezza sociale.  Dobbiamo agire innanzitutto in ambito europeo con gli strumenti sociali che guardano in lunga prospettiva, questa è la nostra piattaforma di azione, e affrontare il tema della transizione ecologica sul lavoro. Sul piano italiano va definito un patto nazionale per la transizione ecologica e digitale adattandolo anche ai singoli territori dove sono presenti caratteristiche particolari ed esperienze e realtà diverse per puntare ad una sinergia per quanto riguarda le politiche industriali in un momento storico e strategico con l’obiettivo che la transizione non diventi deindustrializzazione e per puntare a processi di sviluppo di attività di carattere innovativo e di rilancio. Ci vuole una politica industriale seria e costruttiva che si occupi delle tante crisi industriali aperte per rilanciare le nostre aziende e sfruttare al meglio le opportunità che ci offrono i cambiamenti”.

Il tema dei salari

E’ importante tornare ad occuparci dei salari che sono i più bassi d’Europa. Il lavoro stabile vale di più e deve costare meno di quello precario: bisogna intervenire con un taglio strutturale del cuneo contributivo in particolare per i giovani in ingresso nel mercato del lavoro a cui aggiungere il recupero del Fiscal Drag, il drenaggio fiscale reso possibile indicizzando la detrazione all’inflazione, che servirebbe a recuperare almeno una mensilità all’anno.

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Interviene ancora Alessia Potecchi: “Occorre un patto tra politica e parti sociali per rimettere al centro il lavoro e la questione salariale rafforzando la contrattazione collettiva e detassando gli aumenti per i lavoratori. Un salario minimo legale per i settori non coperti dalla contrattazione. Bisogna spingere perché tutti i contratti siano rinnovati al fine di aumentare  il valore reale dei salari. Dobbiamo contrastare senza sosta la precarietà che è il motivo principale dei bassi salari. La riproposizione dei voucher in Manovra di Bilancio è una scelta sbagliata così come l’estensione dei contratti a termine, si allarga l’insicurezza e si mercifica il lavoro. Gli incentivi alle imprese devono essere dati in maniera accurata e non a pioggia, vanno dati a chi incentiva la produzione nel Paese e a chi valorizza e tutela il lavoro e i lavoratori intervenendo maggiormente sugli extra profitti: i soldi vanno presi li dove sono”. 

L’industria dell’auto

Ancora oggi, pur a fronte di una caduta della produzione nazionale di autoveicoli, il settore automotive ha, nel suo complesso, un peso molto importante nell’economia italiana. L’industria dell’auto vale in Italia un fatturato di 93 miliardi di euro, pari al 5,6% del Pil e, nel solo comparto della fabbricazione di autoveicoli, operano oltre 2mila imprese e 180mila lavoratori: si realizza il 7% delle esportazioni metalmeccaniche nazionali per un valore di 31 miliardi di euro. In quest’ambito, dove gli effetti della crisi pandemica e delle misure di contenimento messe in atto hanno particolarmente pesato sulla domanda e sulla produzione di autoveicoli, si sommano anche i pesi dei ritardi negli approvvigionamenti di componentistica elettronica e la rivoluzione elettrica.

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Torniamo a sollecitare il parere di Alessia Potecchi anche su questo punto: “Aggiungo che lo scenario è drammaticamente cambiato con l’invasione russa dell’Ucraina, la sicurezza nazionale ed europea deve diventare fattore centrale nelle scelte di politica energetica e industriale e deve farci riconsiderare alcune scelte strategiche tenendo conto di quello che sta accadendo. Il rischio occupazionale è elevato: se un autoveicolo tradizionale con motore endotermico è composto da 7mila componenti, uno elettrico arriva a un massimo di 4mila, per cui si prevede che il 40-45% degli occupati italiani, ovvero tra i 110 e i 120mila lavoratori, sarà impattato dal passaggio all’elettrico. Bisogna intervenire per consolidare e rafforzare la produzione nazionale per rimanere competitivi sul mercato e finanziare una nuova fase di formazione a supporto del personale che deve affrontare un nuovo e diverso ciclo produttivo. Gli incentivi alla domanda servono (il parco veicolo italiano è vecchio e inquinante: il 12% delle auto e il 39% dei veicoli commerciali sono Euro 0), ma noi dobbiamo investire molto anche sull’offerta, sostenendo il sistema industriale dell’ automotive appunto su tre versanti: Ricerca e sviluppo; Formazione; Accompagnamento della riconversione delle imprese.”

Nei prossimi cinque anni serviranno nuove figure professionali da destinare ai processi produttivi  (62%), all’automazione e ai sistemi meccatronici (53%), ai prodotti e materiali (48%), alla sostenibilità ambientale (47%). E’ un lungo e complesso lavoro ma dobbiamo essere pronti e non arrivare impreparati, la data dl 2035 che è stata decisa dall’Europa per lo stop alle auto ad emissione di carbonio deve essere un traguardo rispettato e non più eludibile.

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“Dobbiamo supplire alla mancanza di una programmazione e strategia nazionale, di progetti e investimenti concreti” conclude Alessia Potecchi “Bisogna ritornare a rimettere al centro la salvaguardia occupazionale e del patrimonio industriale, a partire dalle imprese piccole e medie. La transizione rivoluzionerà interi settori, per questo bisogna verificare le caratteristiche di ogni lavoratore in ogni contesto, per poi programmare ogni iniziativa concreta per adeguare le competenze per vincere le sfide future”.

Foto di copertina david-vives-TZdh8NdfIfs-unsplash


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Paolo Brambilla

Paolo Brambilla, bocconiano, ha seguito il mondo economico-finanziario per molti anni. Consigliere dell'Ordine dei Giornalisti di Lombardia, scrive di finanza, cultura e innovazione digitale su varie testate. E' direttore responsabile de La Mia Finanza green www.lamiafinanza.com e dirige l’Agenzia di stampa Trendiest Media www.trendiest.it E' editor in chief di www.assodigitale.it Rotariano, è stato Assistente del Governatore del Distretto 2041.

 


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