Lo stilista Alviero Martini: il timbro della riconoscibilità sulla mappa dello stile
DALLA NOSTRA INVIATA CINZIA ALIBRANDI.
Seduta in un bar di Milano aspetto Alviero Martini, guardo dalla parte opposta quando mi giro sentendomi chiamare ‘eccomi bella Cinzia ciao!’
Mi volto, ci abbracciamo come vecchi amici ritrovati, e dopo pochi minuti di conversazione, sono letteralmente avvolta da energia pura e il rumoroso tavolo accanto al nostro come per magia pare azzittito, e il cemento infuocato di un settembre che non vuole rinunciare all’afa, si trasforma in un prato verde dove mille parole sono fili intrecciati alla storia di questo personaggio.
Immensa come un viaggio oltreoceano.
E a proposito di viaggi, Alviero ha il viaggio nella mente, ne ha fatto una filosofia di vita e un marchio di stile.
1- CHI É ALVIERO MARTINI?
R- Una persona umile, nata in campagna fuori Cuneo, da un padre che divise la magra eredità con il fratello secondo il metodo quasi tribale della pagliuzza più lunga. E beffeggiato dalla sorte, gli toccò solo la terra dove costruì la casa che io battezzai casa ‘riviera’ perché in mancanza di mare, volevo che comunque fosse il sole a illuminarla.
Eravamo talmente poveri che quando le nostre dieci mucche morirono ammorbate dalla calce, fu la prima volta che vidi singhiozzare mio padre.
Ne comprò con un prestito altre otto e ricominciare fu dura.
Mi decisi allora di trovare lavoro in città e iniziò la mia mai terminata avventura.
Quella sofferenza, legata alla mia famiglia di origine, mi ha poi fatto creare una famiglia intenzionale, costituita dai bambini adottati a distanza che vivono in una comunità indiana.
2- IL VIAGGIO PER TE HA COSTITUITO AVVENTURA DI VITA.
R- Assolutamente: da casa mia sono evaso giovanissimo, con una madre complice che andava in campagna a inforcare la zappa per consentirmi di tenere tra le mani libri e matite: ne urgeva il bisogno supportato dalla predisposizione, lottando per questo diritto contro un padre a cui tutto quello che non si concentrava sulla terra risultava inutile.
Mi chiamava ‘pelandrone’: era una perdita di tempo quello studio, quel leggere incessantemente!
Da qui, un bisogno di fuga che mi portò a soli 8 anni, rosicchiando la paghetta di nonna, ad acquistare un biglietto per Fossano, sedermi compunto sul sedile di legno e con il cuore in gola, divorare tutto!
Che sogno osservare i viaggiatori, ascoltare i loro discorsi, guardare tutto correre veloce dietro il vetro!
Ero talmente catturato che scordai il terrore che qualcuno mi apostrofasse stupito che un bambino viaggiasse da solo.
Su tutto vinceva che finalmente ero un viaggiatore a mia volta: il sogno si mutava in realtà!
3- OGGI CHE STUDIARE É UN DIRITTO ACQUISITO SEMBRA IMPENSABILE LA TUA LOTTA PER LA FORMAZIONE CULTURALE.
R- Pensa che fui mandato con rassegnazione all’avviamento industriale, come scorciatoia allo studio e mi sono diplomato al liceo artistico, sezione vetrinisti, che oggi non esiste più, frequentando le serali perché di giorno lavoravo, consegnando i miei magri guadagni a casa, e trattenendo per me l’indispensabile.
La fatica che quotidianamente portavo sui binari del treno, mi ha connaturato una filosofia personale, dove già guardare una partenza o un arrivo, rappresentava un biglietto per viaggiare con la fantasia e pensare che oltre la mia campagna esistesse un mondo che prima o poi avrei visto.
E magari conquistato.
4- COME HAI AFFRONTATO TANTI LAVORI UMILI PRIMA DI APPRODARE A QUELLO DI STILISTA?
R- Intanto con modestia.
Oggi quando mi si siede davanti un giovane e la prima cosa che chiede sono paga e ferie, lo commiato di getto.
Io ho guadagnato ogni tozzo di pane sudando per pagarmi l’estro creativo, che ribolliva dentro me come la minestra da pochi soldi che per anni ho mangiato in mensa mentre facevo di tutto, dal garzone in ferramenta dove impugnavo la sega come fosse un violino, all’edicolante.
Fino ad arrivare alla copisteria Coccarelli, dove ho iniziato a propormi come creatore di inviti, dal battesimo alle nozze: il proprietario ne fu entusiasta; li definiva dei veri capolavori di disegni e composizione dei caratteri.
Ma ancora giravo attorno alla mia professione definitiva di stilista di moda, fino a quando approdo da ‘Miroglio’ di Alba, grandissimo negozio tessile che oggi ha ceduto a Zara.
5- LA MODA ENTRAVA DI DIRITTO COME LAVORO NELLA TUA VITA ?
R- Nuovamente fui suggeritore di me stesso.
Per la gravidanza della vetrinista, il cui lavoro avevo seguito struggendomi perché consapevole che avrei fatto con maggiore estro, mi proposi come sostituto con un riscontro immediato di plauso e aumento di vendite.
Continuavo a fare il fattorino, portando i capi per le modifiche dai vari sarti, in un porta a porta che mi fa pure imbattere nella generosa vitalitá dei signori Mirarchi di Reggio Calabria, che mi aprono casa, e vedendo il mio interesse, mi insegnano a cucire il primo orlo, poi mi tastano con l’impervietà delle spalle ed infine mi mettono in grembo un pezzo di stoffa.
E per chi dal grembo mi aveva partorito, disegno e cucio il mio primo abito per mamma, cucendo insieme stoffa, sogni e autonomia, che mi portano appena diciottenne a vivere nella prima casa da solo a Cuneo.
6- QUINDI FINALMENTE AVEVI LAVORATO DA STILISTA.
R- Certo; tuttavia il bisogno viaggia su strade tortuose, e per me fu una conquista raccattare il lavoro degli altri sarti e fare le modifiche a casa assieme a mia madre: era una preziosa risorsa economica.
E mentre sulla mia vita si appuntava come un prezioso ricamo la prima lettera della parola successo, la mia smania di viaggio mi fa partecipare a un concorso dell’Alpitour.
Chi avesse venduto piú abbonamenti per gli impianti sciistici, sarebbe volato a Palma di Majorca.
Quel viaggio fu vinto due volte: dalla mia forza persuasiva nel piazzare i contratti, e dal mio sconfinato desiderio di evasione.
Palma erano i miei tropici e da lá inutile dirti che per 8 mila lire mi spostai a Ibiza.
7- LA TUA VITA A CUNEO COMINCIAVA A ESSERE MOLTO VIVA.
R- Eccome! Sempre inquieto mi iscrivo al Teatro Stabile di Torino diretto dal grande e compianto regista Aldo Trionfo che ravvede in me un vero talento attoriale.
Stabiliamo che il teatro Toselli di Cuneo produrrà uno spettacolo l’anno sotto la sua egida. Ovvio che tutto era privo di paga e ognuno avesse un altro lavoro.
Divenni fatalmente il costumista e usavo le mie conoscenze per farmi regalare scampoli di stoffa.
Bucandomi letteralmente le dita con della lana di vetro bianca confezionai foderando gli abiti, dei capolavori che fecero scalpore.
La mia modesta casa divenne il cuore pulsante degli artisti di Cuneo o di quelli che arrivavano da noi.
Riempivo in cene fantasiose la tavola con patate condite in ogni salsa, ma l’energia che correva sul desco mi fece diventare una leggenda cittadina.
8- QUANDO HAI SENTITO IL BISOGNO DI SPROVINCIALIZZARTI? IMMAGINO CHE GLI ‘ABITI’ DI UN PICCOLO CENTRO FOSSERO ORMAI STRETTI.
R- Infatti. E l’occasione arriva con il vicesindaco di Cuneo che mi spedisce a Roma da suo cognato Duilio del Prete che mi ospitò a casa sua dove viveva con Edmonda Aldini.
Dividevo camera con Roberto Benigni e Francesco Nuti.
Iniziai a lavorare per sei mesi al pre allestimento della ‘Cristina di Svezia’, ma quello che doveva essere un sì sicuro si trasformò al provino con Peppino Patroni Griffi in un no.
Come spesso accade, da quella porta sbattuta in faccia si aprì il portone di Vittorio Gassman che mi volle al suo fianco per ‘Affabulazione‘ al teatro Tenda di Roma e poi in una lunga tournée.
Recitai con Bramieri, Corrado, Gian MariaVolontè, e in oltre 50 pubblicità: ti cito la Plasmon dove facevo il marito di Barbara D’Urso.
9- E IL TUO PROGETTO DI STILISTA DI MODA ?
R- Continuavo a proporre i miei disegni, lavoravo come vignettista da Mondadori, creavo loghi per infiniti negozi, mi occupavo di diverse aziende del centro/nord, a cui suggerivo di volta in volta le novità portate dai miei lunghissimi e avventurosi viaggi.
Facevo senza esserne consapevole, in tempi non sospetti, marketing puro di assoluta qualità.
Intanto, era il 1987, mi chiamano in un negozio di Roma alle spalle di piazza del Popolo, con una clientela ricca ma di dubbio gusto, in qualità di direttore.
Sparai una cifra assurda per non essere preso, e con sommo stupore, visto che il mio nome, a proposito di marchi, era una garanzia nell’ambiente, venni ingaggiato.
Un giorno piazzai in vetrina come complemento d’arredo una vecchia valigia di cartone rivestita con una carta geografica comprata a Mosca, dove avevo risanato e riallestito gli arredi devastati da un incendio dell‘Ambasciata del Brasile.
Da lì, la folgorazione del mio marchio.
10- ERA NATA LA GRIFFE ‘ALVIERO MARTINI PRIMA CLASSE’.
R- Correva il 1989 e fino al 2005 questo brand è stato il mio, poi le logiche imprenditoriali, dato il successo planetario, hanno imposto una virata aziendale, quando il brand è stato acquistato dalla ricca ereditiera Angelini.
All’ennesima riquotazione di una casa da me creata mattone su mattone, dove mi sentivo ormai ospite, sono uscito fuori con lo stile di sempre.
Mai rinnegherò questa azienda che ho partorito figlia, ed è diventata troppo grande per sopportare il vecchio padre.
Ma non dispero.
Magari un giorno sentirà il bisogno di riapprodare nell’antico suolo natio, da chi le ha soffiato addosso l’arte dello stile, e l’inafferrabilità del glamour innato, impossibile da riprodurre in serie.
A me piace ricordare l’aspetto eroico di ‘Alviero Martini prima classe’.
Quando impiantai totalmente sprovveduto nell’hotel The Mark in Madison Avenue a New York, uno show room che mi valse l’osanna della stampa con colonne sulle testate domenicali, giorno in cui i quotidiani sono letti in tutto il continente.
Quando in pochi giorni mi piovvero ordini per migliaia di pezzi.
Quando dovetti lottare con il primo contraffattore, vincendo la causa grazie a un errore sulla mia mappa prototipo, dove dimostrai avevo di mio pugno scritto ‘isole Farkland’ invece di Falkland.
Quando aprivo boutique in tutto il mondo, e a Milano, in quella di via Monte Napoleone aperta nel 1996, entravano e ricevevo le celebrIties internazionali; da Richard Gere a George Clooney.
Su tutti, permetti l’emozione di ricordare Rosanna Schiaffino Falck, che a una festa mi confidò che aveva tentato invano di comprare nella vetrina romana il prototipo della mia prima valigia mappata!
11- NEL 2005 E’ NATO IL BRAND ‘ALV’ CHE SEMPRE IN ONORE AL PREDILETTO TEMA DEL VIAGGIO LASCIA LE CARTE GEOGRAFICHE IN FAVORE DEI TIMBRI.
R- Intanto il logo è costituito dalle prime 3 lettere del mio nome.
‘ANDARE LONTANO VIAGGIANDO’, che è quel che sono io, che tanti chilometri ho macinato di ore di viaggio e di vita, da quando presi, piccolo ragazzino in fuga, quel treno per Fossano.
Ma sta anche per ‘AMO LAVITA’, che mi sembra un acrostico che rappresenta la mia spiritualità nel vivere e intendere il fare moda.’
I timbri sono il tatuaggio del viaggiatore sul passaporto, ne indicano il passaggio da uno Stato all’altro.
Rimiravo da viaggiatore incallito ogni nuovo timbro sul mio documento, come un fresco fiore all’occhiello.
Anche quando non timbravano più, chiedevo al doganiere la cortesia di imprimerlo sul mio passaporto.
Sai cosa significano sulle mie creazioni?
Che in qualunque parte del mondo si trovi il mio acquirente che ha scelto ‘ALV’, si senta accolto dai miei modelli, rimpatriato in quella terra ideale che è l’eterno ed infallibile stile.
Il mio timbro, mi riconosce e riconosce un’anima a me affine.
Questa è la visione di Alviero Martini, rimasto come quel bimbo che confessò alla zia ‘da grande voglio fare qualcosa che mai nessuno ha fatto’.
Ecco: ho inventato la riconoscibilità del mio stile, marchiato dal fuoco di un’arte adorata, riprodotta in timbri su abiti e pelletteria, dove indossare equivale a mettere le ali.
TACCO E STACCO: E A TUTTI AUGURO DI AVERE UN TIMBRO INDELEBILE SUL PASSAPORTO CHIAMATO VITA.