### Infortunio sul lavoro durante lo smart working
Un episodio accaduto il 23 settembre 2020 ha sollevato interrogativi importanti riguardo alla tutela dei lavoratori in attività di smart working. Durante il suo turno lavorativo da casa, una donna, impiegata presso l’Agenzia delle Dogane, si è trovata a dover recarsi a scuola per prelevare la figlia di sette anni. Questo gesto, apparentemente semplice, si è trasformato in un infortunio per la lavoratrice. Infatti, mentre si trovava in cammino, è inciampata e ha riportato una lesione alla caviglia, identificata come “menomazione permanente”. In seguito all’incidente, la donna ha richiesto un risarcimento di 71.000 euro, cifra necessaria a coprire le spese mediche e i giorni di inabilità temporanea.
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Malgrado l’infortunio sia avvenuto nel periodo di smart working, l’Inail ha inizialmente respinto la richiesta, sostenendo che si trattasse di un incidente non legato al lavoro, bensì di una caduta che avrebbe potuto accadere a chiunque. La loro posizione si basava sul fatto che, poiché la lavoratrice aveva chiesto un permesso per allontanarsi dal lavoro e svolgere un’attività personale, non vi fosse un rischio lavorativo associato. Questa interpretazione ha portato a un conflitto tra l’istituzione e la lavoratrice, riaccendendo il dibattito su come vengano considerati gli infortuni all’interno della cornice dello smart working.
La situazione ha sollevato questioni critiche che toccano il tema della protezione dei diritti dei lavoratori e delle responsabilità delle istituzioni nei casi di infortunio avvenuto durante lo smart working. Tale contesto ha reso necessario riflettere su come le legislazioni e le politiche di salute e sicurezza al lavoro debbano adattarsi alla nuova realtà di lavoro flessibile. Con l’aumento dello smart working, la definizione di un infortunio sul lavoro è diventata un argomento cruciale, richiedendo un’evoluzione normativa che tuteli adeguatamente i lavoratori non solo negli spazi aziendali, ma anche al di fuori di essi.
### Il caso della lavoratrice
Il caso specifico che ha portato alla sentenza del tribunale di Milano è emblematico delle sfide che i lavoratori si trovano ad affrontare nel contesto dello smart working. Il 23 settembre 2020, una funzionaria dell’Agenzia delle Dogane ha interrotto il proprio lavoro per allontanarsi dall’abitazione al fine di accompagnare la figlia di sette anni all’uscita di scuola. L’impiegata, consapevole della necessità di informare i suoi superiori riguardo a questa assenza, ha intrapreso il tragitto, un percorso di circa un chilometro e mezzo. Purtroppo, durante il cammino, è inciampata e ha subito un infortunio che le ha provocato una lesione alla caviglia, condizionandola in modo permanente.
La lavoratrice, in seguito all’incidente, ha presentato all’Inail una richiesta di risarcimento che ammontava a 71.000 euro, cifra che comprendeva il rimborso delle spese mediche e il compenso per i giorni di inabilità al lavoro. La domanda di risarcimento ha messo in evidenza il persistente dilemma legato alla definizione di ciò che costituisce un “infortunio sul lavoro” in un’epoca caratterizzata da modalità lavorative sempre più flessibili. Infatti, la distinzione tra vita professionale e personale è diventata meno netta, aprendo così a interrogativi sui diritti dei lavoratori anche al di fuori degli spazi aziendali.
Nonostante la natura dell’incidente fosse chiaramente legata all’ambiente del lavoro, l’Inail ha adottato una posizione contraria, affermando che l’assenza della funzionaria fosse autorizzata per un motivo personale. Pertanto, secondo l’istituto, l’evento non poteva essere riconosciuto come un infortunio lavorativo. Questa interpretazione ha sollevato un acceso dibattito giuridico sul significato di rischio lavorativo e sull’ambito di applicazione delle regole di sicurezza sul lavoro in contesti di smart working.
Il caso ha messo in luce la necessità di una maggiore chiarezza e di una riforma normativa in questo settore, in modo che i diritti dei lavoratori siano tutelati anche quando svolgono attività lavorative al di fuori dell’ufficio. La sentenza che ha accolto la richiesta della lavoratrice potrebbe rappresentare un precedente significativo, spingendo per un riconoscimento più ampio degli infortuni verificatisi durante le normali attività quotidiane, che, sebbene personali, avvengono nel contesto di un orario di lavoro attivo.
### La posizione dell’Inail
L’Inail, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, ha sollevato obiezioni significative riguardo alla richiesta di risarcimento presentata dalla lavoratrice coinvolta nell’incidente. Secondo l’ente, l’infortunio subito dalla donna durante il suo breve tragitto per andare a prendere la figlia a scuola non poteva essere considerato un infortunio sul lavoro, in quanto si era avvalsa di un permesso specifico per un’attività personale, e tale circostanza escluderebbe la qualificazione come rischio lavorativo. L’Inail ha sostenuto che l’incidente fosse attribuibile a un “rischio generico”, comune a qualsiasi cittadino, piuttosto che a un rischio specifico legato all’esercizio delle sue funzioni lavorative.
Questa interpretazione ha rivelato tensioni tra l’approccio tradizionale dell’istituto riguardo alla sicurezza sul lavoro e le nuove dinamiche create dal lavoro remoto. L’Inail, basandosi su una visione consolidata degli infortuni sul lavoro, ha definito la situazione come al di fuori della propria responsabilità, evocando la necessità di una chiara distinzione tra vita lavorativa e attività personali, anche se svolte durante il normale orario di servizio. Tale posizione ha messo in evidenza la difficoltà di adattare le norme esistenti a un contesto di smart working, in cui i confini tra i vari ambiti della vita quotidiana si sono fatti più sfumati.
Inoltre, la risposta dell’Inail ha generato un dibattito acceso su cosa si intenda per infortunio sul lavoro e su fino a che punto anche le attività personali di un lavoratore possano rientrare sotto la copertura assicurativa. La posizione dell’Istituto ha sollevato interrogativi su come il diritto alla sicurezza sul lavoro possa essere interpretato nell’ambito di modalità lavorative flessibili e su come i cambiamenti nelle pratiche lavorative richiedano una rivisitazione delle politiche di prevenzione e protezione.
Questo conflitto ha un’importanza particolare, non solo per la funzione specifica dell’Inail, ma anche per il potenziale impatto su un ampio numero di lavoratori in smart working. La loro esperienza potrebbe, infatti, riflettere situazioni simili, in cui le responsabilità di protezione degli enti nazionali potrebbero non essere adeguatamente sintonizzate con la realtà lavorativa attuale. L’Inail, quindi, si trova in una posizione delicata, costretta a rivedere le proprie linee guida per garantire che i diritti dei lavoratori siano rispettati anche in circostanze non convenzionali, senza compromettere la propria missione di sicurezza e protezione degli infortuni sul lavoro.
### La sentenza del tribunale di Milano
Il tribunale di Milano ha emesso una sentenza significativa, accogliendo le istanze della lavoratrice e stabilendo dunque un importante precedente in materia di infortuni sul lavoro nel contesto dello smart working. La decisione, risalente al 16 settembre, ha riconosciuto il diritto della funzionaria dell’Agenzia delle Dogane a ricevere un risarcimento di circa 10.000 euro, dimostrando la volontà della magistratura di estendere le tutele dei lavoratori anche al di fuori delle tradizionali strutture aziendali.
Il giudice ha sottolineato che la protezione assicurativa per i lavoratori non si limita alle sole attività svolte all’interno degli uffici, ma si estende a tutti i momenti in cui il dipendente è impegnato in attività collegate indirettamente al lavoro. In questo particolare caso, l’uscita della funzionaria per prelevare la figlia a scuola, sebbene fosse un momento personale, si è verificato durante l’orario di lavoro. Tale aspetto ha giocato un ruolo fondamentale nell’accertare la natura lavorativa dell’infortunio, sfatando l’idea che un permesso possa automaticamente escludere un incidente da essere considerato lavorativo.
Il tribunale ha sostenuto che “il lavoratore è tutelato tutte le volte che si allontani dall’azienda e vi faccia ritorno in occasione della sospensione dell’attività lavorativa dovuta a pause, riposi e permessi”. Questa affermazione pone accento sull’interpretazione ampia della nozione di rischio lavorativo. Inoltre, il giudice ha evidenziato che tale sospensione non può essere considerata come una scelta di natura personale, ma deve essere giustificata dalla necessità di tutelare i diritti del lavoratore, un aspetto essenziale in un contesto lavorativo moderno e flessibile.
La sentenza ha dunque messo in evidenza come sia fondamentale che le normative vigenti si adeguino alle nuove forme di lavoro, specialmente in un periodo in cui lo smart working ha assunto una posizione preminente. Questa evoluzione giuridica crea un dibattito significativo riguardo all’adeguatezza delle leggi attuali e necessità di chiarificazioni su come i diritti dei dipendenti debbano essere garantiti in situazioni diverse rispetto al passato.
La decisione del tribunale potrebbe non solo influenzare il caso specifico della lavoratrice coinvolta, ma anche avere ripercussioni più ampie, fungendo da catalizzatore per future riforme che assicurino una protezione adeguata per i lavoratori in smart working. Ciò potrebbe includere l’implementazione di linee guida più chiare riguardanti le responsabilità delle aziende e dell’Inail nel riconoscere e gestire gli infortuni avvenuti in contesti non convenzionali, promuovendo così una cultura della sicurezza che si adatti alle realtà del lavoro contemporaneo.
### Implicazioni e considerazioni future
Le implicazioni della sentenza del tribunale di Milano rappresentano un punto di svolta significativo non solo per i diritti dei lavoratori, ma anche per la definizione stessa di cosa costituisce un infortunio sul lavoro nell’era dello smart working. La crescente diffusione di modalità lavorative flessibili ha reso necessario rivedere le normative esistenti e le politiche di sicurezza sul lavoro, per garantire una protezione adeguata in situazioni che oggi possono apparire ambigue o atipiche.
In primo luogo, la sentenza riconosce esplicitamente che i momenti in cui un lavoratore si allontana dalla propria postazione, anche per motivi personali, devono essere considerati nel contesto della sua attività lavorativa. Questo cambio di paradigma potrebbe portare a una riformulazione della legislazione, affinché possa includere anche circostanze che prima erano marginalizzate o ignorate. È fondamentale che le istituzioni, come l’Inail, aggiornino le loro linee guida per garantire una copertura completa ai lavoratori, indipendentemente dal luogo in cui si trovano o dalle attività che svolgono.
Inoltre, questa sentenza ha il potenziale di stimolare una discussione più ampia sulle responsabilità delle aziende in relazione alla sicurezza dei dipendenti che lavorano da remoto. Le aziende potrebbero essere spinte a rivedere le loro politiche di salute e sicurezza, prendendo atto delle nuove dinamiche della forza lavoro moderna, e implementare misure preventive che possano ridurre il rischio di incidenti anche al di fuori delle tradizionali aree di lavoro. Ciò include la formazione dei dipendenti riguardo ai rischi potenziali anche in contesti quotidiani.
La sentenza suggerisce che vi siano cambiamenti da apportare a livello legislativo, orientati a garantire che i diritti dei lavoratori siano sempre tutelati. La protezione contro gli infortuni sul lavoro deve essere concepita in modo da rispondere equamente alle esigenze di un ambiente lavorativo in continua evoluzione. Ciò potrebbe significare l’adozione di un approccio più olistico, dove la salute e la sicurezza dei lavoratori siano considerate non solo in relazione al luogo fisico in cui si svolge l’attività lavorativa, ma anche in relazione alle circostanze che caratterizzano la loro vita quotidiana.