Ruzzle SuperMario Angry Birds le nuove regole del videogaming: gamers di tutto il mondo unitevi (o smettete di fare la guerra)!
Ho sempre pensato di avere una spiccata fantasia, ma da quando ho scoperto che esiste un personaggio dei videogame dodicenne, suora, transessuale e combattente al fianco di un orsacchiotto con mitra, ho capito che la mia fantasia non ce la può fare.
La mia è tutta analogica, sono senza speranza, a confronto è qualcosa di banalmente borghesuccio, i miei voli pindarici sono troppo estetizzanti! Ho capito anche perché non gioco ai videogame.
E, badate bene, è quell’essere “suora combattente a dodici anni” che ha distanze abissali con le mie fantasie….già l’orsacchiotto col mitra è decisamente plausibile. Che la dodicenne sia transessuale poi, è altamente auspicabile: che almeno in quel mondo (peraltro notoriamente sessista) non si facciano distinzioni di questo tipo, ovvia! Ma suora bambina no, cavolo. Suora bambina no! Ma perché?
E allora capisci che forse davvero il mondo dei videogame è un po’, solo un po’, maschilista (53% maschietti e 47% femminucce, non una differenza abissale) e concepito per essere principalmente uno strumento di divertimento maschile. Le ragazze ci giocano, certo, e mica poche. Ma mai quanto i maschietti, sin dalla tenera età. Teneri, quando li senti sparare tutto il giorno! Solo che continuano anche dopo, per parecchio. Oggi il consumatore tipo di videogame ha oltre 30 anni (il 37% è over 36, mentre il 31% ha tra i 18 e i 35 anni).
Cioè, intendiamoci, a me piacciono parecchio i videogame, li trovo superlativi alcuni. Giocare fa bene al cervello, questo è risaputo! Grafica ed effetti, se hai un grande schermo, sono davvero spettacolari, per non parlare del suono. Lo sapete che un personaggio di un noto videogame ha la voce di Gary Oldman? Nientemeno, uno degli attori più bravi e trasformisti di Hollywood. Ho sempre avuto una fissa per Gary Oldman, uno che con la voce fa cosa gli pare… ma vabbè, torniamo a noi!
E allora, che cosa avete fatto durante queste feste natalizie? Magnato? Riposato? Viaggiato e condiviso un po’ di tempo con i vostri amici? Visitato parenti lontani? Approfittato del tempo libero per fare un po’ di sport invernali? Vi siete -soprattutto- barcamenati tra regali low cost e bollette e Imu e chi più ne ha più ne metta? Bene, allora non siete in quella percentuale di persone che ha passato le proprie vacanze davanti ai videogame. Tanti, tantissimi impoltronati dopo cotechini e panettoni con la videofissazione di completare il livello. Ma non tanti quanti negli anni passati. A sorpresa, non siete più una specie in via d’estinzione. Ebbene si, questo 2012 di crisi è stato un anno difficile anche per il mercato dei videogame.
E se gli Stati Uniti celebrano la categoria con show e red carpet degni della migliore industria dello spettacolo, c’è da dire che in generale, anche oltreoceano, il mercato ha subito una notevole contrazione. Le vendite sono calate per il terzo anno consecutivo e, soprattutto, sono calate quelle del supporto tradizionale, quello “inscatolato” per intenderci, che fa il grosso del fatturato globale.
Ma sono calate anche quelle, che invece si prevedevano più fruttuose nel futuro, legate al digitale ovvero mobile, social ed online games.
Quello che colpisce però, è l’incredibile discesa creativa dei giochi. I titoli delle top ten sono sempre gli stessi, con Super Mario che li batte tutti quanto a presenzialismo: è all’ottantaseiesimo capitolo, un veterano. I più richiesti sono sempre loro, quelli dove si ammazza parecchio, e sono sempre i soliti titoli arrivati al terzo, quinto, persino dodicesimo episodio. Prequel, sequel, inspiration game, remake e persino giochi già usciti e rimasterizzati, rimandano agli usi consolidati nel cinema, prima vera ispirazione del mondo tecnoludico. Non è un caso che i grandi attori doppino i personaggi più noti delle game series (no, Gary Oldman non è il solo) e che l’effetto più ricercato e promosso dai vari game, sia proprio quello di simulare una sorta di cinema interattivo dove l’utente (complice la raffinatezza e l’alto livello raggiunto da hardware e software) possa entrare letteralmente nella storia per farne parte.
Insomma, è un po’ un voler entrare dentro lo schermo e vivere la finzione da protagonisti. Il problema, è che è come giocare sempre alle stesse cose. Già la differenza di soggetto tra i vari giochi è minima (nel 90% dei casi il plot è quello: devi uccidere, devi essere scaltro ed uccidere, veloce ed uccidere, furbo ed uccidere, etc., chiaro no?), se poi i titoli si ripetono all’infinito, il rischio di non distinguere più a che gioco stiamo giocando è alto. Altissimo. E questo forse non è proprio il massimo del divertimento. I tentativi dell’industria di settore di “fregarci” vendendoci lo stesso gioco ma su piattaforme diverse sembra non aver funzionato.
Bravi, non ci siamo fatti infinocchiare! O meglio, un po’ si ma non così tanto ed è chiaro ormai, anche a loro, che declinare lo stesso gioco su ogni singolo device disponibile al mondo, non è la salvezza del business. E allora? Allora per fortuna è solo un gioco (oddio, smuove 8,8 miliardi di dollari solo nel comparto tradizionale, e con un calo del 6% sul 2011!), sicuramente qualcuno si inventerà qualcosa per contrastare la tendenza negativa degli ultimi anni. Magari rivolgendosi ad un nuovo target con altri gusti? Magari sfruttando altre tecnologie? Magari inventando giochi adatti ad un pubblico più trasversale? Eh…magari!
Io intanto, imbranata come poche, gioco a Ruzzle. E perdo anche lì!