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Ruling della Corte Europea su Android Auto potrebbe accelerare le richieste di interoperabilità per le app.

  • Redazione Assodigitale
  • 25 Febbraio 2025
Ruling della Corte Europea su Android Auto potrebbe accelerare le richieste di interoperabilità per le app.

Ruling sulla gestione dell’interoperabilità

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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJEU) ha confermato che la negazione dell’interoperabilità in un contesto di posizione dominante può essere considerata un abuso ai sensi delle leggi antitrust. Nel caso specifico di Google e della sua piattaforma Android Auto, la corte ha stabilito chiaramente che il rifiuto di consentire l’integrazione di app terze può arrecare danno alla competitività di altre aziende.

Indice dei Contenuti:
  • Ruling della Corte Europea su Android Auto potrebbe accelerare le richieste di interoperabilità per le app.
  • Ruling sulla gestione dell’interoperabilità
  • Analisi del caso Enel vs. Android Auto
  • Implicazioni future per le richieste di interoperabilità


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Il giudizio emesso dalla corte sottolinea che un rifiuto di interoperabilità può essere giustificato solo in determinate circostanze. Ad esempio, se al momento della richiesta di accesso non esiste un modello per la categoria di app interessata o se la concessione dell’interoperabilità comprometterebbe la sicurezza o l’integrità della piattaforma.

Inoltre, la CJEU ha individuato che un’istanza di accesso tecnicamente impossibile è un motivo valido per la negazione. Se nessuna di queste eccezioni si applica, l’operatore della piattaforma ha l’obbligo di soddisfare la richiesta di interoperabilità entro un termine «ragionevole e necessario». Il giudizio della corte prevede anche che potrebbero essere richiesti compensi finanziari appropriati.


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Quando si parla di costi associati a tali richieste, la corte ha dichiarato che occorre considerare le esigenze dell’azienda terza che richiede lo sviluppo, i costi effettivi di tale sviluppo e il diritto dell’impresa dominante a trarne un appropriato beneficio. Questa decisione pone dunque le basi per una gestione più equilibrata delle pratiche di interoperabilità nel settore tecnologico.

Analisi del caso Enel vs. Android Auto

Il caso Enel contro Google rappresenta un’importante pietra miliare nella regolamentazione delle pratiche di interoperabilità nel settore tecnologico. Nel 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana ha inflitto a Google una sanzione di 100 milioni di euro per aver ostacolato l’integrazione di un’app per la ricarica di veicoli elettrici sviluppata da Enel X Italia con la piattaforma Android Auto. Questo intervento è scaturito dall’accusa di abuso di posizione dominante, poiché Google ha negato l’accesso ritenendo necessarie alcune restrizioni per non distogliere l’attenzione dei conducenti.

Tuttavia, il contrasto tra la posizione di Google e quella di Enel si è rivelato particolarmente significativo, in quanto l’azienda tecnologica aveva già approvato l’interoperabilità di migliaia di altre app per Android Auto. La posizione dell’Autorità italiana evidenziava che il rifiuto iniziale di consentire a Enel di integrare la sua app non era giustificato e influiva negativamente sulla competitività dell’azienda, limitandone la capacità di attrarre consumatori.

La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha fatto eco a questa valutazione, stabilendo che un rifiuto di interoperabilità, in un contesto di dominio di mercato, potrebbe configurarsi come un abuso, anche quando la piattaforma non è considerata indispensabile per il funzionamento commerciale dell’app. Questa interpretazione giuridica stabilisce un importante precedente che potrebbe influire su richieste future di interoperabilità in altri contesti e settori, fornendo un quadro normativo più chiaro per le aziende coinvolte.

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In seguito alla denuncia di Enel, Google ha risposto sviluppando un modello per le app di ricarica di veicoli elettrici, che ha successivamente reso disponibile. Questo segnale indica che la pressione normativa può indurre i giganti della tecnologia a rivedere le proprie politiche di accesso e sviluppo delle applicazioni, potenzialmente aprendo la strada a una maggiore cooperazione con sviluppatori terzi.

Sebbene il caso avesse già trovato una soluzione prima della sentenza della CJEU, le linee guida stabilite dal giudizio potrebbero avere un impatto significativo sulle future interazioni tra aziende tecnologiche e sviluppatori di app. La necessità di giustificare rifiuti di interoperabilità in scenari complessi è diventata un aspetto centrale di discussione riguardo ai diritti delle aziende minoritarie di competere in mercati dominati da leader consolidati.

Implicazioni future per le richieste di interoperabilità

La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rappresenta un punto di svolta per le relazioni tra le piattaforme dominanti e gli sviluppatori di app. Stabilendo in modo chiaro che la negazione dell’interoperabilità può costituire un abuso, la corte ha indicato che le richieste di accesso devono essere trattate con maggiore attenzione, specialmente in un contesto di concorrenza leale.

Con l’affermazione che le piattaforme devono rispondere entro un periodo «ragionevole e necessario» alle richieste di interoperabilità, i giganti della tecnologia potrebbero trovarsi a dover rivedere le loro strategie operative e le modalità di interazione con i soggetti terzi. Questo potrebbe spingere le aziende a stabilire procedure più trasparenti per gestire le richieste di integrazione delle app.

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La Corte ha anche sottolineato che, nel caso in cui una piattaforma non possa giustificare validamente un rifiuto, le imprese dominanti sono tenute a fornire accesso alle loro infrastrutture tecnologiche, aumentando così la concorrenza nel mercato. Le aziende minori, in particolare, potrebbero trovare maggiori opportunità per inserirsi in mercati precedentemente inaccessibili, dato che potrebbero avere accesso a strumenti e risorse che consentono loro di competere più efficacemente.

Inoltre, la necessità di fornire un’adeguata compensazione finanziaria potrebbe diventare un elemento importante da considerare. Questa dimensione economica potrebbe portare ad un equilibrio migliore tra i diritti delle piattaforme dominanti e le necessità di sviluppo degli sviluppatori terzi, evitando così situazioni di sfruttamento. Tali compensazioni dovranno tener conto delle spese e delle esigenze specifiche di chi richiede l’interoperabilità.

Resta da vedere come queste indicazioni saranno implementate nella pratica, ma è chiaro che la normativa appena sancita potrebbe fungere da deterrente contro comportamenti opportunistici delle grandi piattaforme, stimolando al contempo un ambiente più propizio per l’innovazione tecnologica. I prossimi mesi saranno cruciali per osservare come i vari attori del mercato reagiranno a queste nuove linee guida e quale impatto avranno sulla dinamica competitiva negli ecosistemi digitali.


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