Roger Abravanel. Dal concetto di Meritocrazia (sempre importante) a quello di ARISTOCRAZIA 2.0.
—- di Greta V. Galimberti – Trendiest News —-Si parla tanto di Recovery Fund. Ma questa rivoluzione finanziaria non basta. In realtà abbiamo bisogno di sostituire la vecchia classe dirigente 1.0 con la nuova aristocrazia del sapere.2.0. Nel suo libro appena uscito per l’editore Solferino l’autore approfondisce mirabilmente il concetto
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Governo dei migliori
Aristocrazia significa in origine «governo dei migliori» ma nei secoli è passata a indicare il potere dei privilegiati per nascita. L’Italia di oggi soffre di una cronica mancanza di ricambio meritocratico nella sua classe dirigente, imprenditoriale e politica, che la sta condannando al declino. Aristocrazia 2.0 è il progetto possibile di una nuova élite del talento e della competenza che può portare finalmente il nostro Paese fuori dalla palude di impoverimento e decadenza in cui si trova da quarant’anni a questa parte, resa ancora più profonda dalla pandemia di Covid. Per vincere la sfida della rinascita l’Italia deve introdurre la cultura del merito a scapito dei privilegi delle rendite che insieme agli eccessi dell’egualitarismo e alla furbizia anti-regole hanno costituito un blocco che ha frenato finora lo sviluppo e le opportunità.
Nel suo nuovo libro Roger Abravanel analizza i vizi del sistema economico e sociale nazionale e ricostruisce i passaggi della storia imprenditoriale italiana degli ultimi decenni, spiegando perché abbiamo accumulato un ritardo non solo economico ma di pensiero rispetto ai Paesi leader in Occidente e nel mondo asiatico. Per salvare un’economia che negli ultimi trent’anni ha perso 32 punti di Pil, sarà necessario mettere in moto un nuovo capitalismo, con al centro una fucina di idee nelle università d’eccellenza, e un riequilibrio dei poteri pubblici a partire da quello giudiziario. Un’analisi spietata che avanza proposte concrete per una svolta non più rimandabile.
Il commento di Beniamino A. Piccone
Secondo Abravanel, “se la meritocrazia ha fallito nel realizzare le pari opportunità, ha però creato milioni di buone opportunità per una generazione di giovani che hanno cercato la migliore istruzione e ottenuta una vita più agiata di quella dei propri genitori”. Dare la colpa dell’ineguaglianza alla meritocrazia è ingeneroso poiché non tiene conto del contributo dato dal merito alla mobilità sociale, fortissima nel XX secolo e ai milioni di posti di lavoro creati dagli aristocratici 2.0, fondatori delle imprese più innovative del mondo.
L’Italia ha avuto successo nel Dopoguerra perché il sistema industriale ha funzionato molto bene, sia nel pubblico che nel privato. Ma siamo stati incapaci di passare all’economia dei servizi ed oggi all’“economia della conoscenza”. Le imprese – spesso familiste e non familiari – non sono in grado di creare “high value jobs”, quelli pagati bene. E infatti in Italia con la produttività bassa le imprese pagano salari ben inferiori a quelli europei. In Corea il 70% delle persone sono laureate e vengono assorbite tutte dal sistema economico, che è fondato sui talenti.
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L’Italia ha una classe dirigente inadeguata, definita da Abravanel “aristocrazia 1.0”, una classe privilegiata, con tratti feudali e corporativi, dove i genitori passano immobili, denaro e imprese ai figli. Quella descritta magistralmente da Edward Banfield (“Le basi morali di una società arretrata”, cit.). Domina il familismo amorale, gli individui massimizzano unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo.
Il mondo politico italiano
Beniamino A. Piccone, Presidente di APE, Associazione per il Progresso Economico, è ancora più crudele nel contestualizzare il fenomeno nel mondo politico italiano. Traiamo queste sue considerazioni da un pezzo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno – La rinascita dell’Italia parte dalle sue élite.
“Mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi cerca il sostegno delle forze parlamentari necessarie alla fiducia, ci sono alcuni soggetti che vivono ancora in un universo parallelo. Uno di questi è Alessandro Di Battista, co-leader del MoVimento 5 Stelle, il quale ha definito Draghi – il cittadino italiano più stimato al mondo – l’“apostolo delle élite”. Come dire, un soggetto da denigrare.
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E’ l’occasione quindi per parlare del disastro culturale portato dal grillismo che ha consentito l’ascesa del prestigio sociale data dall’ignoranza. La massima nefandezza sesquipedale è il motto “uno vale uno”. Si, come no, Ciampi vale Salvini, Draghi vale Di Maio. Senza sapere non si evolve e per sapere bisogna studiare.”
E conclude “L’élite di cui abbiamo bisogno è una classe meritocratica, il più possibile responsabile e aperta, inclusiva, non egoista e distante dai bisogni della nazione. Se ci pensiamo bene, Mario Draghi, che ha perso presto entrambi i genitori, e ha studiato come un forsennato dai gesuiti, poi alla Sapienza con Federico Caffè e poi al Mit a Boston con Stanley Fischer, Robert Solow e Franco Modigliani è proprio un “aristocratico 2.0”.
Passare dalla “Cretinocrazia” grillina all’”Aristocrazia 2.0” non sarà facile. Gli oppositori sono numerosi, per esempio i docenti universitari, che non accettano di essere valutati, o la magistratura che non accetta “check and balances”, o la burocrazia, vera e propria nemica delle imprese. Ma non esistono scorciatoie per tornare ad avere fiducia in un Paese che oggi, purtroppo, incentiva i suoi giovani migliori ad andarsene.”
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