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Referendum licenziamenti illegittimi impatti e conseguenze vincesse sì o no alle urne italiane

  • Redazione Assodigitale
  • 28 Maggio 2025
Referendum licenziamenti illegittimi impatti e conseguenze vincesse sì o no alle urne italiane

Licenziamenti illegittimi e contestualizzazione storica

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Il referendum sugli licenziamenti illegittimi si inserisce in un contesto normativo profondamente modificato dal Jobs Act del 2015, che ha radicalmente innovato le tutele riguardanti i licenziamenti senza giusta causa. Prima di questa riforma, i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti licenziati illegittimamente godevano del diritto automatico al reintegro nel posto di lavoro, una misura prevista dallo Statuto dei Lavoratori del 1970 e moderata nel tempo. Con l’introduzione del Jobs Act, tuttavia, tale diritto è stato sostituito dall’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere un’indennità economica, eliminando il reintegro come sanzione standard.

Indice dei Contenuti:
  • Referendum licenziamenti illegittimi impatti e conseguenze vincesse sì o no alle urne italiane
  • Licenziamenti illegittimi e contestualizzazione storica
  • Implicazioni del voto favorevole al sì
  • Conseguenze del voto contrario o del mancato raggiungimento del quorum


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Va precisato che per le aziende con meno di 15 dipendenti il reintegro non è mai stato previsto, né prima né dopo il Jobs Act, confermando una differenziazione significativa nelle tutele a seconda della dimensione aziendale. I promotori del referendum, guidati in particolare dalla CGIL di Maurizio Landini, chiedono di eliminare quanto stabilito dal Jobs Act per ripristinare una protezione più stringente verso i lavoratori, ritenendo che l’indennizzo monetario non sia sufficiente a contrastare efficacemente i licenziamenti senza giusta causa.

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Secondo questa prospettiva, la possibilità per le aziende di pagare un risarcimento senza reintegro rischia di incentivare comportamenti arbitrari e di indebolire complessivamente la tutela del lavoro, creando un clima di insicurezza e “far west” nei rapporti lavorativi. La questione appare quindi centrale non solo per i diritti dei lavoratori ma anche come riflesso della filosofia normativa che guida le politiche del lavoro in Italia, tra flessibilità e garanzie.

Implicazioni del voto favorevole al sì


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Un eventuale successo del “sì” rappresenterebbe un cambiamento normativo rilevante, riportando la disciplina dei licenziamenti illegittimi a una versione riformata dello Statuto dei Lavoratori, in vigore prima del Jobs Act del 2015. Questo comporterebbe il ripristino del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa in aziende con più di 15 dipendenti, sebbene con alcune eccezioni introdotte dalla legge Fornero del 2012. Non si tornerebbe dunque a un reintegro automatico, ma questo sarebbe previsto in specifiche situazioni giuridiche, rafforzando la posizione del lavoratore licenziato in modo ingiustificato.

Dal punto di vista procedurale, perché il referendum produca effetti concreti, è essenziale il raggiungimento del quorum, cioè la partecipazione di almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto, e che la maggioranza voti “sì”. Al momento, però, le proiezioni indicano una partecipazione ben al di sotto di questa soglia, mettendo in discussione l’effettiva possibilità di abrogazione della normativa vigente.

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Il fronte del “sì” vede schierati sindacati come la CGIL e diverse formazioni politiche di centrosinistra e sinistra, mentre il centrodestra, attualmente al governo, predilige l’astensione, considerandola strategica per il mantenimento dello status quo. Questa polarizzazione politica evidenzia un dibattito complesso, dove ideologie e interessi economici si intrecciano, sottolineando l’importanza cruciale del voto.

In ambito economico e occupazionale, il ritorno a una normativa più rigida sui licenziamenti potrebbe influenzare la percezione di rischio da parte delle imprese nell’assunzione di nuovi lavoratori, soprattutto in un tessuto produttivo composto prevalentemente da piccole e medie imprese, da sempre sensibili alla flessibilità normativa per poter adattare la propria forza lavoro alle esigenze di mercato.

Conseguenze del voto contrario o del mancato raggiungimento del quorum

Se il referendum non raggiungerà il quorum o prevarrà il “no”, la vigente normativa introdotta dal Jobs Act del 2015 resterà in vigore senza modifiche. Ciò significa che i datori di lavoro di imprese con oltre 15 dipendenti manterranno la possibilità di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con il pagamento di un’indennità economica in caso di licenziamento giudicato illegittimo, senza obbligo di reintegro del lavoratore. Questa situazione conferma un modello di tutela orientato più alla flessibilità, ritenuto dagli imprenditori necessario per favorire la competitività e le assunzioni.

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I dati aggregati evidenziano come, dall’entrata in vigore della riforma, il mercato del lavoro italiano abbia registrato un aumento consistente dell’occupazione con oltre 2,3 milioni di nuovi posti di lavoro e una crescita del tasso di occupazione dal 55,6% al 63%, nonostante permangano difficoltà strutturali con il confronto europeo. Il Jobs Act ha prodotto, in larga misura, contratti stabili e un più ampio accesso al lavoro, soprattutto per le donne, i cui indici si sono migliorati significativamente.

Il mantenimento dello status quo rappresenta una scelta che riflette la volontà di bilanciare la tutela dei diritti dei lavoratori con una legislazione che tenga conto delle esigenze del sistema produttivo italiano, caratterizzato prevalentemente da PMI che necessitano di maggiore flessibilità di gestione del personale. La rigida applicazione del reintegro automatico nei licenziamenti potrebbe innescare un effetto disincentivante sulle assunzioni e sulla dinamicità occupazionale, elementi critici per l’economia nazionale.

Di conseguenza, la conferma del Jobs Act si traduce in una continuità normativa che punta a sostenere un mercato del lavoro più adattabile e meno soggetto a contenziosi giudiziari estesi, lasciando però aperto il dibattito sulla necessità di un equilibrio più efficace tra diritti e flessibilità, questione che rimane al centro del confronto politico e sociale in Italia.


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