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Recovery Plan. Quadro finanziario pluriennale dell’Unione

  • REDAZIONE TRENDIEST
  • 21 Novembre 2020

Impasse al Consiglio europeo sul Quadro finanziario pluriennale dell’Unione e prospettive del Recovery Plan — di Carlo CURTI GIALDINO — Vicepresidente dell’Istituto Diplomatico internazionale, Ordinario di Diritto dell’Unione europea (a. r.) – Sapienza Università di Roma —-


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Era facile immaginare che il Consiglio europeo informale e straordinario, tenuto in videoconferenza il 19 novembre 2020, non avrebbe raggiunto alcun risultato concreto in merito al Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027, di 1.074 miliardi, la cui approvazione richiede l’unanimità, cui è collegato il Recovery Plan o, più esattamente, il Next Generation EU,per contrastare la pandemia da COVID-19, di 750 miliardi, pure da approvare all’unanimità, al quale i Capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri dell’Unione hanno dedicato soltanto poco più di un quarto d’ora della loro riunione.

Ad inizio settimana, infatti, l’Ungheria e la Polonia, seguiti sostanzialmente dalla Slovenia, avevano fatto conoscere al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, alla presidente pro-tempore del Consiglio dell’Unione, Angela Merkel, e alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, la propria contrarietà a collegare in modo stringente il beneficio dei fondi europei al rispetto da parte degli Stati membri dei principi fondanti dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti fondamentali, che invece va approvato a maggioranza qualificata.

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Il presidente Michel, per stemperare la querelle e cercare di comprare tempo sulla questione aveva fatto sapere ai leader europei che durante la riunione non ci sarebbe stato un vero e proprio dibattito su questo tema, dato che, tra l’altro, le videoconferenze mal si prestano a questo scopo. Così, la presidente di turno Merkel si è limitata a fare il punto sul negoziato tra Consiglio e Parlamento europeo; l’ungherese Victor Orbàn e il polacco Mateusz Morawiecki hanno ribadito che i risultati cui si è pervenuti sono andati oltre l’intesa raggiunta nel Consiglio europeo del 17 luglio scorso; lo sloveno Janez Janša ha osservato che non è possibile lasciare la decisione sul taglio dei fondi in mano alla sola Commissione, alla quale non viene riconosciuta l’imparzialità, ed è quindi necessario affidarla ad un soggetto super partes.

La realtà è che a tutti gli Stati membri interessa sia l’adozione tempestiva del Recovery Plan sia che la nuova decisione sulle risorse proprie possa iniziare quanto prima il cammino delle approvazioni nazionali (che prenderanno almeno 3/5 mesi) sia, infine, che il 2021 non inizi in esercizio provvisorio. E tra gli Stati membri, vale la pena di segnalare che nel riparto delle risorse a fondo perduto, secondo una stima provvisoria, la Polonia beneficerebbe di 33 miliardi, l’Ungheria di 9 e la Slovenia di circa 5, mentre a titolo di prestiti la Polonia potrebbe ottenere 38 miliardi, l’Ungheria 11 e la Slovenia 4.

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È difficile, a questo punto, salvo che il veto dei tre Paesi non si riveli un formidabile bluff, che la questione possa essere risolta entro il prossimo Consiglio europeo, al momento fissato in presenza a Bruxelles il 10 ed 11 dicembre prossimi. Al più, a quanto si apprende, i Capi di Stato o di governo potranno accordarsi in quella sede sul testo di una dichiarazione politica, secondo la quale i meccanismi del Recovery Plan rispetteranno la sovranità nazionale. Non pare invece possibile ipotizzare che le procedure aperte contro la Polonia e l’Ungheria ex art. 7 TUE, per violazioni gravi dei valori fondanti dell’Unione siano archiviate.

Ora la palla torna al Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri in vista del Consiglio “Affari generali” dell’8 dicembre, che preparerà il prossimo Consiglio europeo.

Resta da vedere se, nel frattempo, saranno prese in considerazione altre ipotesi per superare l’impasse nel caso in cui fosse mantenuto il veto da parte di Ungheria, Polonia e Slovenia. Come quella, caldeggiata dal presidente francese Macron, di procedere a 24 o a 25, con una cooperazione rafforzata o con un accordo intergovernativo, tipo MES. Soluzioni che, tuttavia, non sono facilmente attuabili in quanto il QFP è sicuramente a 27 e l’emissione di titoli di debito sul mercato è garantita proprio dal bilancio UE. Quanto all’esigenza di imparzialità nel taglio dei fondi, paventata dai tre Stati, la soluzione è a portata di mano in quanto la decisione della Commissione è impugnabile dinanzi alla Corte di giustizia di Lussemburgo.


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