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Pensioni: come prepararsi alla nuova soglia dopo quota 87 e strategie per non perdere diritti

  • Redazione Assodigitale
  • 24 Dicembre 2025

Pensioni: ultimo anno per quota 87 e scenari futuri

Il 2026 segna l’ultimo anno utile per accedere alla pensione secondo le regole che hanno riconosciuto la cosiddetta “quota 87”: per molti lavoratori sarà l’ultimo momento in cui si potrà andare in quiescenza con 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi, mentre i lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti manterranno fino a fine anno il beneficio dell’uscita anticipata a 66 anni e 7 mesi con 30 anni di contribuzione effettiva. Dal 2027 e poi dal 2028 sono già programmati incrementi dell’età pensionabile stabiliti dalla legge di Bilancio, che sposteranno progressivamente in avanti i requisiti anagrafici e ridisegneranno il perimetro delle deroghe previste per le categorie tutelate.

 

Indice dei Contenuti:
  • Pensioni: ultimo anno per quota 87 e scenari futuri
  • FAQ
  • ultima chiamata per la quota 87
  • cosa cambia dal 2027 e dal 2028
  • impatto sui lavoratori gravosi e usuranti
  • FAQ
  • strategie e possibili vie d’uscita
  • FAQ

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Il calendario normativo predisposto impone una finestra temporale limitata per chi ambisce a conseguire la pensione con i parametri correnti. Per il 2026 si conferma la possibilità di ottenere la pensione di vecchiaia con 67 anni di età combinati a 20 anni di contributi, configurando di fatto la cosiddetta “quota 87”. È fondamentale che i lavoratori interessati verifichino con precisione le proprie posizioni contributive e ogni eventuale periodo di contribuzione figurativa o riscattabile, poiché la tutela attuale è subordinata a condizioni specifiche e temporanee.

La decisione presa nella legge di Bilancio non si limita a un semplice adeguamento anagrafico: determina una ridefinizione delle aspettative di uscita e una contrazione delle soglie che fino ad oggi hanno consentito uscite anticipate per determinate casistiche. Per i soggetti esclusi dagli adeguamenti alla speranza di vita fino al 31 dicembre 2026, la prosecuzione della tutela dipende esclusivamente dal rispetto dei limiti temporali stabiliti, senza automatismi di proroga. Di conseguenza, il 2026 costituisce un termine di riferimento cruciale nella pianificazione previdenziale per i prossimi anni.

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Per chi non raggiungerà i requisiti entro la fine del 2026, si profilano aumenti graduali dell’età pensionabile previsti per il 2027 e il 2028, con impatto immediato sulle finestre di accesso alla prestazione. È quindi essenziale anticipare le valutazioni su possibili soluzioni alternative — che siano strumenti normativi già esistenti, percorsi di esodo aziendale o opzioni di flessibilità pensionistica — e confrontarsi tempestivamente con i consulenti previdenziali per quantificare tempi e importi futuri della pensione.

FAQ

  • Cos’è la “quota 87”? La combinazione che consente l’accesso alla pensione di vecchiaia con 67 anni di età e 20 anni di contributi, valida per il periodo antecedente al 2027.
  • Perché il 2026 è importante? È l’ultimo anno in cui operano le regole che permettono l’uscita con i parametri della quota 87 e lo sconto per i gravosi/usuranti.
  • Cosa cambia dal 2027? L’età pensionabile aumenta di un mese dal primo gennaio 2027, con ulteriori aumenti previsti nel 2028.
  • I lavoratori gravosi conservano lo sconto? Lo sconto di 5 mesi per i gravosi/usuranti è in scadenza il 31 dicembre 2026 e non sarà più vigente dopo tale data nelle stesse modalità.
  • Come verificare i propri contributi? Occorre consultare il fascicolo previdenziale sul sito dell’ente competente o rivolgersi a un CAF o consulente del lavoro per una ricognizione aggiornata.
  • Qual è la misura più urgente da adottare? Controllare la posizione contributiva e valutare soluzioni di previdenza complementare o strategie di uscita prima della fine del 2026 per chi è vicino ai requisiti.
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ultima chiamata per la quota 87

Il 2026 rappresenta l’ultima opportunità concreta per chi intende andare in pensione con i requisiti oggi noti come “quota 87”: chi raggiungerà 67 anni di età e avrà accumulato almeno 20 anni di contributi potrà lasciare il lavoro senza subire gli aumenti anagrafici programmati. La finestra temporale è stretta e non soggetta a proroghe automatiche: per questo motivo ogni mese e ogni periodo contributivo fanno la differenza nella determinazione del diritto alla prestazione. È indispensabile una verifica puntuale della posizione contributiva e dei periodi utili ai fini pensionistici per non perdere il diritto maturando entro il termine stabilito.

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La soglia della quota 87 non è un meccanismo automatico ma il risultato di condizioni anagrafiche e contributive ben definite. Chi si trova a ridosso dei requisiti deve effettuare immediatamente le verifiche formali presso l’INPS o tramite un consulente del lavoro per accertare la completezza dei versamenti e l’inclusione di eventuali periodi figurativi, riscatti o ricongiunzioni. Ogni mese di contribuzione effettiva può incidere sulla maturazione del diritto e sulla decorrenza della pensione, pertanto la precisione nella ricostruzione del montante è fondamentale.

La limitazione temporale imposta dalla normativa richiede anche attenzione alle finestre di decorrenza e alle modalità di domanda: presentare la pratica per tempo evita ritardi che potrebbero costringere il lavoratore a posticipare l’uscita. Le aziende e gli uffici del personale devono collaborare fornendo la documentazione necessaria senza indugi, mentre chi opera in proprio o con posizioni contributive frammentate deve procedere a una ricostruzione accurata per evitare sorprese. L’azione preventiva è l’unico strumento concreto per consolidare il diritto alla pensione nei termini della quota 87.

cosa cambia dal 2027 e dal 2028

Dal 1° gennaio 2027 entra in vigore un primo adeguamento anagrafico che sposta in avanti la soglia di accesso alla pensione di vecchiaia: l’età richiesta aumenta di un mese rispetto ai parametri attuali e, successivamente, di ulteriori due mesi dal 1° gennaio 2028. Questi scatti, decisi nella legge di Bilancio, non sono meri aggiustamenti tecnici ma modificano in modo concreto la tempistica di uscita per milioni di lavoratori, incidendo su anzianità contributiva, finestre di decorrenza e calcolo dell’assegno pensionistico. Chi non maturerà i requisiti entro il 2026 dovrà adeguare i propri piani di uscita e considerare l’effetto cumulativo degli adeguamenti.

La prima variazione prevista comporta che, dal 2027, l’età minima per la pensione di vecchiaia salga a 67 anni e 1 mese; dal 2028 si arriverà a 67 anni e 3 mesi. Questo rialzo non altera il requisito contributivo minimo di 20 anni per la vecchiaia, ma sposta in avanti la data effettiva di decorrenza della prestazione. Per i lavoratori in prossimità della maturazione dei requisiti significa dover attendere mesi aggiuntivi prima della liquidazione dell’assegno, con impatto diretto sulla capacità di pianificazione finanziaria e sulla sostenibilità del reddito nei mesi di attesa.

L’incremento non è isolato: modifica inoltre il calendario per le opzioni di uscita anticipate e per le forme di previdenza integrativa. Gli scatti anagrafici riducono il peso di eventuali finestre di anticipo e possono comportare variazioni nella contribuzione necessaria per raggiungere pensioni di importo comparabile. Pertanto, la scelta tra proseguire l’attività lavorativa, richiedere vie alternative di esodo o incrementare i versamenti volontari richiede un’analisi economico-previdenziale accurata e personalizzata.

L’adeguamento interessa anche le regole transitorie: le deroghe e le esclusioni dagli adeguamenti alla speranza di vita, in vigore sino al 31 dicembre 2026, cessano il loro effetto. Ciò significa che categorie finora protette dovranno fare i conti con l’uniformazione dei requisiti anagrafici a partire dal 2027, ridimensionando tutele temporanee e aumentando la necessità di soluzioni contrattuali o normative a livello aziendale e settoriale.

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impatto sui lavoratori gravosi e usuranti

Il venir meno della tutela per i lavoratori impegnati in mansioni gravose e usuranti modifica in modo significativo il profilo di uscita dal lavoro per una platea che finora poteva contare su requisiti più favorevoli: dal 2027 l’età minima si uniforma progressivamente a quella della generalità dei lavoratori, eliminando lo sconto di cinque mesi che permarrà solo fino al 31 dicembre 2026 per chi possiede 30 anni di contributi effettivi. Il cambiamento incide non soltanto sul calendario di cessazione dell’attività ma anche sul montante contributivo e, quindi, sull’importo atteso della pensione.

I lavoratori gravosi e usuranti si trovano a dover ricalcolare i tempi di uscita: chi non consegue i requisiti entro il 2026 vedrà slittare la data di pensionamento di almeno un mese nel 2027 e di ulteriori due mesi nel 2028. Questo slittamento comporta la necessità di effettuare scelte operative immediate relative alla prosecuzione dell’attività lavorativa, all’aspettativa non retribuita o a eventuali accordi di esodo concordati con il datore di lavoro. L’effetto economico è duplice: più mesi di contribuzione possono migliorare il montante e l’assegno, ma nel breve termine si tradurranno in un prolungamento dell’attività lavorativa e in un ritardo del reddito pensionistico.

Dal punto di vista normativo, la condizione che aveva escluso l’adeguamento alla speranza di vita era contingentata alla presenza di almeno 30 anni di contributi effettivi, senza considerare contributi figurativi o riscatti. Questa specificità rende cruciale la verifica della qualità della contribuzione per stabilire chi effettivamente mantiene il beneficio sino a fine 2026. Molti lavoratori, soprattutto con carriere discontinue o con periodi di lavoro parasubordinato, potrebbero scoprire differenze rilevanti tra la situazione attesa e quella reale, con impatti su tempistiche e importi pensionistici.

Sul versante operativo, aziende e sindacati sono chiamati a riorientare le politiche di gestione del personale: vanno valutate possibilità di esodi incentivati, piani di riconversione per alleggerire la componente di lavoro usurante e misure di tutela della salute per contenere la perdita di capacità lavorativa. Gli accordi aziendali dovranno tenere conto dell’ulteriore onere che la prosecuzione dell’attività comporta per i lavoratori più anziani, contemperando esigenze produttive e diritti previdenziali.

Infine, la dimensione finanziaria personale richiede interventi immediati: la refrigerazione dello sconto invalida alcune pianificazioni precedentemente condivisibili. È pertanto fondamentale che i lavoratori interessati richiedano una ricognizione formale della propria posizione contributiva, valutino l’opportunità di versamenti volontari per colmare buchi contributivi e considerino strumenti di previdenza complementare per attenuare il rischio di un assegno ridotto o di un ritardo nell’entrata in godimento della pensione.

FAQ

  • Chi sono i lavoratori considerati “gravosi e usuranti”? Sono coloro che svolgono attività caratterizzate da particolari condizioni di lavoro che incidono sulla salute o sulla capacità lavorativa, definite dalle normative vigenti per l’accesso a tutele specifiche.
  • Lo sconto di 5 mesi rimane per chi ha 30 anni di contributi? Solo fino al 31 dicembre 2026: dopo quella data la deroga cessa e l’età di uscita si uniforma a quella generale prevista dalla legge di Bilancio.
  • Qual è l’impatto economico dello slittamento dell’età pensionabile? A breve termine comporta rinvio dell’entrata in pensione e ritardo del reddito; a medio-lungo termine può aumentare il montante contributivo e quindi l’importo dell’assegno.
  • Quali azioni pratiche devono intraprendere i lavoratori interessati? Richiedere una verifica della posizione contributiva, valutare versamenti volontari ed esaminare soluzioni di previdenza integrativa o accordi aziendali di esodo.
  • Le aziende possono proporre soluzioni per mitigare l’impatto? Sì: esodi incentivati, riconversioni professionali, riduzione o modifica delle mansioni usuranti e piani di tutela della salute sono strumenti praticabili.
  • Come verificare se si ha diritto allo sconto fino al 2026? Occorre consultare il fascicolo previdenziale INPS o rivolgersi a CAF/consulente del lavoro per accertare la presenza di 30 anni di contributi effettivi e l’esclusione dei periodi figurativi.
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strategie e possibili vie d’uscita

Questo paragrafo analizza le opzioni pratiche rimaste a disposizione dei lavoratori davanti all’inevitabile rialzo dei requisiti pensionistici e indica interventi concreti adottabili entro la scadenza del 2026 per mitigare il rischio di uscita forzata più tardiva o di assegni ridotti.

La prima azione imprescindibile è la verifica puntuale della posizione contributiva: ottenere il prospetto aggiornato dal fascicolo previdenziale INPS o tramite CAF/consulente del lavoro consente di capire esattamente quali periodi sono accreditati come effettivi, figurativi o riscattabili. Solo con questa ricognizione è possibile decidere se procedere con riscatti o versamenti volontari per colmare lacune e anticipare la maturazione dei requisiti entro la finestra utile del 2026.

Per chi dispone di contribuzione non continua o di anni mancanti, il riscatto degli anni di studio o la ricongiunzione fra gestioni può rappresentare una soluzione valida; tuttavia è indispensabile valutare il rapporto costo/beneficio, poiché i versamenti hanno un impatto economico immediato e producono effetti differenziati sul montante e sulla futura prestazione pensionistica. È consigliabile simulare scenari con strumenti ufficiali o con il supporto di un consulente per quantificare il ritorno previdenziale degli investimenti effettuati.

Parallelamente, la previdenza complementare assume un ruolo centrale: incrementare i versamenti al fondo pensione o attivare piani individuali può compensare eventuali ritardi nell’accesso alla pensione pubblica o riduzioni dell’assegno. Questa strategia è particolarmente utile per chi prevede di non raggiungere i requisiti entro il 2026 ma vuole comunque contenere la perdita di reddito al momento dell’uscita. Occorre però considerare vincoli fiscali, disponibilità di liquidità e orizzonte temporale dell’investimento.

Negoziazioni aziendali e accordi di esodo restano strumenti praticabili: imprese e sindacati possono concordare uscite incentivanti, transizioni verso attività meno gravose o piani di lavoro part-time che agevolino la progressiva uscita dal lavoro. Queste soluzioni richiedono interlocuzioni tempestive e ben strutturate a livello aziendale, con valutazioni economiche che bilancino il costo per l’impresa e il beneficio per il lavoratore.

Infine, per i lavoratori in settori con rischi fisici elevati è opportuno promuovere la certificazione delle mansioni gravose e la raccolta documentale sulle condizioni di lavoro: una documentazione solida può essere decisiva per dimostrare il diritto a tutele residuali o per agevolare accordi di riconversione. In ogni caso, la tempestività è cruciale: le decisioni prese nei prossimi mesi, tra verifica contributiva, eventuali riscatti e scelte di previdenza integrativa o negoziale, determineranno l’efficacia delle misure di protezione rispetto agli incrementi anagrafici programmati.

FAQ

  • Qual è il primo passo concreto da fare? Richiedere il prospetto contributivo aggiornato al fascicolo INPS o tramite CAF/consulente per conoscere esattamente la propria posizione e individuare eventuali buchi contributivi.
  • Conviene riscattare gli anni di studio? Dipende dal rapporto costo/beneficio: va simulato l’effetto sul montante pensionistico e confrontato con altre opzioni come la previdenza complementare.
  • Come può aiutare la previdenza complementare? Incrementando i contributi a fondo pensione si può compensare un’uscita ritardata o ridurre il rischio di un assegno inferiore, migliorando il reddito complessivo da pensionato.
  • Gli accordi aziendali sono una soluzione praticabile? Sì: esodi incentivati, part-time e riconversioni possono essere negoziati con l’azienda, ma richiedono tempismo e accordi formali per essere efficaci prima del 2027.
  • Quando conviene versare contributi volontari? Quando la verifica contributiva evidenzia periodi utili mancanti; è necessario valutare la sostenibilità economica e l’impatto sulla pensione finale con simulazioni personalizzate.
  • Come documentare il lavoro gravoso? Conservare contratti, certificazioni mediche, documentazione di mansioni e comunicazioni aziendali per dimostrare l’esposizione e valutare possibili tutele o accordi specifici.
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