Oro in crescita: impatto dei dazi di Trump sul mercato e la strategia contro la Svizzera

Dazi Usa e impatto sul mercato dei lingotti d’oro
Gli Stati Uniti hanno introdotto dazi significativi sulle importazioni di lingotti d’oro da un chilo, una decisione che sta scuotendo profondamente il mercato globale del metallo prezioso. Questa iniziativa non coinvolge l’oro in generale, ma mira specificamente ai lingotti prodotti principalmente in Svizzera, la quale rappresenta il principale produttore mondiale di questi formati. La Customs Border Protection statunitense ha ridefinito la classificazione doganale dei lingotti da un chilo e da 100 once, sottoponendoli a una tariffa del 39%, una misura destinata ad avere ricadute economiche rilevanti.
Indice dei Contenuti:
Il commercio internazionale di oro in barre da un chilo si basa su un sistema complesso di scambi, dove il ruolo della Svizzera è cruciale per la fusione e la trasformazione del metallo. Questi lingotti rappresentano la maggior parte dell’oro esportato oltreoceano, e la tassazione imposta rischia di alterare i flussi commerciali consolidati, incrementando i costi di transazione e modificando le dinamiche di prezzo. Gli Stati Uniti e la Svizzera, da sempre partner forti nel settore, si trovano ora in una fase di tensione a causa di questa svolta protezionistica.
Infatti il processo di commercializzazione dell’oro avviene spesso attraverso una triangolazione che vede Londra, Svizzera e New York protagoniste, con formati di lingotti diversi a seconda dei mercati: a Londra prevalgono i lingotti da 400 once, mentre negli Stati Uniti è diffuso il formato da un chilogrammo. La Svizzera è leader in questa trasformazione, un’attività che rappresenta un notevole valore economico, attestato da esportazioni per oltre 61,5 miliardi di dollari verso gli Stati Uniti nel corso dell’ultimo anno. L’applicazione dei dazi potrebbe gravare su un ammontare pari a circa 24 miliardi di dollari, influenzando non solo il settore aurifero ma l’intero sistema delle relazioni economiche tra le due nazioni.
L’evoluzione delle quotazioni e il ruolo dei metalli preziosi
Le quotazioni dell’oro stanno vivendo una fase di significativo rialzo, sostenute da un contesto geopolitico instabile e da una crescente domanda degli investitori in cerca di asset rifugio. Da inizio anno, il prezzo del metallo prezioso ha registrato un incremento del 27%, raggiungendo punte intraday superiori a 3.530 dollari l’oncia, valori che non si vedevano da decenni. Questo trend è alimentato dalla combinazione di tensioni internazionali, timori inflazionistici e una politica monetaria globale ancora incerta.
Il mercato dei metalli preziosi è strettamente correlato alle dinamiche macroeconomiche globali. L’oro, in particolare, ha ripreso a rivestire un ruolo chiave nella diversificazione dei portafogli finanziari, fungendo da barriera contro la volatilità dei mercati azionari e dalla svalutazione delle valute fiat. L’andamento delle quotazioni riflette dunque non solo fattori tecnici, ma anche una crescente percezione di rischio sistemico, che spinge investitori istituzionali e privati verso asset più sicuri.
Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS Wealth Management Italia, sottolinea come negli ultimi anni si sia accentuato il fenomeno della de-dollarizzazione. Le Banche centrali, in particolar modo quelle dei Paesi emergenti, hanno progressivamente aumentato le proprie riserve auree a scapito delle riserve in dollari americani, acquistando mediamente mille tonnellate di oro all’anno. Questa tendenza ha un impatto diretto sulle quotazioni, consolidando il metallo come uno degli strumenti principali nella ridefinizione degli equilibri finanziari globali.
Strategie di riserva e nuove sfide per le banche centrali
Il contesto attuale impone alle banche centrali un ripensamento strategico nella gestione delle riserve, riflettendo le tensioni geopolitiche e l’evoluzione dei mercati finanziari internazionali. La riduzione delle riserve in dollari da parte di molte banche centrali, soprattutto nei Paesi emergenti, ha stimolato un incremento degli acquisti di oro, che si configura sempre più come un asset fondamentale per diversificare e stabilizzare i portafogli ufficiali. Questo trend è supportato dalla decisa acquisizione di oro fisico, con volumi annui vicini alle mille tonnellate, che rappresentano un segnale chiaro di disaffezione verso la valuta americana.
La dinamica delle riserve riflette anche le mutate priorità geopolitiche e monetarie. Paesi come la Germania hanno deciso di ridurre leggermente le proprie riserve auree, passando da 3.468 a 3.350 tonnellate, mentre gli Stati Uniti mantengono stabili i propri 8.133 tonnellate di oro, confermando la loro posizione dominante. L’Italia, terza al mondo per quantità di oro detenuta dalla banca centrale, vanta circa 2.451 tonnellate, con un valore di mercato che si aggira intorno ai 250 miliardi di dollari.
Un ulteriore elemento di complessità riguarda la possibile interazione tra la politica sui metalli preziosi e l’introduzione di nuove forme di riserva, come le criptovalute stabili («stablecoin»), che recentemente sono state incluse tra gli asset ammessi dalla Federal Reserve. L’obiettivo implicito è quello di favorire una diversificazione delle riserve che possa facilitare il finanziamento del debito pubblico statunitense, la cui sostenibilità è sotto pressione a causa del rapporto debito/PIL attestato attorno al 124%. In questo senso, la tassazione dell’oro potrebbe rappresentare una mossa strategica volta a riequilibrare la composizione delle riserve globali, favorendo strumenti digitali supportati dallo stesso debito americano.
Le sfide per le banche centrali consistono quindi nel bilanciare la sicurezza offerta dall’oro con le opportunità legate all’innovazione finanziaria, mantenendo al contempo una gestione prudente di un panorama economico globale caratterizzato da incertezza e volatilità. La ridefinizione delle strategie di riserva sta dunque accompagnando un cambiamento profondo nelle relazioni monetarie internazionali, in cui l’oro rimane tuttora un pilastro imprescindibile, ma non esclusivo, delle politiche di stabilità economica.
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