Intervista con Marco Yorick Tortato, x-photographer di Fujifilm
Alla presentazione delle sue nuove meraviglie, FujiFilm ha voluto presenti alcuni fotografi. Questi hanno avuto la possibilità di provare in anteprima le macchine fotografiche per qualche tempo e portare a termine dei progetti fotografici ben pianificati.
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È il caso di Marco Yorick Tortato alla presentazione Fujifilm, che ha scelto di fotografare la sua Venezia dall’acqua e mostrarla a tutto il pubblico del mondo. Ho fatto due chiacchiere con lui per capire cosa ne pensa della fotografia e come ha gestito il suo rapporto con la fotografia.
Io sono andata a guardare un po’ il tuo sito e ho visto che fai foto che spaziano radicalmente, sono uno diverso dall’altro. Come gestisci questa moltitudine di idee?
Guarda, ultimamente sto cercando di chiudere e concentrarmi un po’ di più. Per quanto riguarda la parte commerciale sono sempre più dedicato alla parte Cibo e Vino, cercando uno spazio mio all’interno di quella nicchia.
Dal punto di vista dei progetti personali invece mi sto concentrando molto su due città in particolare che sono Matera e Venezia. Venezia per un motivo abbastanza banale, è la mia città natale. Per quanto riguarda Matera invece, me ne sono innamorato l’anno scorso e sono andato già due volte. Trovo le due città molto vicine come destino e vediamo poi cosa succederà.
Matera è una città molto viva dal punto di vista didattico e portare la gente lì per imparare la fotografia è un po’ come portarla a Venezia. Può essere una diversificazione culturale anche per me (sorride). Inoltre Matera è diventata Città della Cultura Europea su cui stanno cercando di investire con non poche difficoltà, per cui vedremo come andrà.
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Ma come fa un fotografo a scegliere con senno un progetto personale e un progetto commerciale. Li ho sentiti nominare anche dagli altri questi “progetti personali”, ma vista la mia brevissima carriera sono nella fase “lavoro, lavoro, lavoro”.
Molto semplicemente da un lato ho i clienti dall’altra ho ciò che vorrei fare io. Il 90% della mia fotografia è “il cliente chiama, io rispondo”. Che siano brochure, sito, bottiglie o rifare tutto, io sono pronto a lavorare. Dopodiché una volta in sede con il cliente capisci il tipo di narrazione che vogliono fare. Può essere che vogliano fare una narrazione sul prodotto o che vogliano fare qualcosa di più, incentrato sulla storia dell’azienda, della famiglia dietro il brand.
Dall’altro lato ho le cose mie personali, i miei progetti chiamiamoli così. Sono quelle cose su cui non ci dormi la sera. Sono quelle cose su cui pensi e ripensi e ripensi. “Oddio devo andare a fare quella foto là! No, non ho ancora avuto tempo per fare quel lavoro. Mi manca quella, quando la faccio?”. A volte hai un’idea, poi la trasformi in carta e la scrivi.
A me tra l’altro piace molto collegare un testo che sia emotivo. Perché tante foto vanno spiegate, ma se le descrivi le fotografie in maniera fredda perdono la loro forza. Oltretutto io ho fatto il letterato per quasi 20 anni, quindi cerco di metterci una descrizione che vada oltre il “ho fatto questo. Punto”. E quindi su questo lavori tanto, perché il testo ti rimane dentro e ci lavori internamente.
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Tuttavia, il segreto è non lasciarlo troppo decantare.
O tenerlo sempre molto caldo, molto attuale, oppure se inizi a perderlo poi non ha più la stessa potenza quando lo porterai a termine. E così quando hai un lavoro commerciale dietro, tu non puoi dire a un cliente “guardi ho un progetto personale, sono in ritardo ma devo finire le mie cose”.
Per fare un esempio, tante cose di Matera le ho posticipate perché purtroppo ora è periodo di vendemmia, ci sono gli ultimi budget da spendere e fino a novembre bisogna stare sul campo.
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Hai un manager che ti segue?
No, al momento no. Mi piacerebbe averne uno, ma al momento no. Una sorta di agente. C’è chi ce l’ha, ma io non ho mai avuto l’occasione nemmeno di incontrarne uno, quindi non l’ho nemmeno cercato. Per come mi si sta riorganizzando il lavoro potrebbe essere interessante valutare la cosa, però al momento no.
È che, purtroppo o per fortuna, hai quei clienti che ti chiamano sempre. Quindi ti ritrovi ad avere ogni anno il lavoro che ti da una base buona. Poi ovvio, qualcuno qualche anno non fa niente, qualcuno fa di più. Però l’agente che ti procura quei due o tre nuovi con cui instauri un nuovo rapporto di lavoro più duraturo non sarebbe male.
Ti dirò comunque che non ho mai dovuto bussare ad una porta! Questa è una cosa di cui sono tutto sommato contento perché visto il momento è ottima. È davvero difficile capire quali sono le cose vincenti, perché le competenze si acquisiscono, ma forse è l’approccio che più conta.
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A proposito di competenze, anche durante la tua presentazione hai parlato di didattica. Per te insegnare fotografia è davvero importante vero?
Beh, sì. Io sono nato come insegnante negli Stati Uniti nel ’99 e insegnavo Letteratura Italiana, dopo un dottorato in cose indicibili, Lingue Medievali (sorride), quindi sono fondamentalmente un linguista che parla con gente morta.
Guarda Marco, ho il padre storico, quindi…
Quindi ci capiamo. Mi è rimasto per questo motivo il cruccio di tramandare una competenza o un pensiero. E poi per un lungo periodo di tempo, dal 2001 al 2007, io ho fatto altro. Dal 2013 poi io ho mollato tutto definitivamente e dal 2009 insegno fotografia in varie città in un modo che, se non è unica, è sicuramente diversa da molti altri ed è una cosa che mi viene riconosciuta.
Io cerco di trasferire, più che conoscenze,
un modo di guardarsi dentro e di pensare alla fotografia.
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Questo è poi il modo che mi hanno insegnato i miei maestri americani di fotografia. Io ho vissuto la fotografia subito attraverso i professionisti, non ho mai avuto la passione da fotoclub. Io facevo tutt’altro e volevo fare il musicista, ma non avendo raggiunto l’obiettivo non mi preoccupavo di fare nient’altro.
Un giorno però un fotografo americano mi invita a casa sua perché lui suonava blues e ad un certo punto mi chiede: “Fammi vedere le foto”. Io ero lì per il blues, non mi interessava niente delle foto, era la mia vacanza. Ma lui mi dice: “Guarda che devi farlo seriamente”. E questa frase ha trasformato tutta la frustrazione che avevo nella musica in un obiettivo di vita nella fotografia. Da quel momento infatti, poiché gestivo i fotografi in Manfrotto, ho imparato la fotografia direttamente dai professionisti e da nessun altro se non loro.
Ho imparato il mestiere da loro, ho imparato un mestiere. Poi che fosse un mestiere che mi gratificasse anche artisticamente o altro, era un’altra cosa. Quindi io non insegno l’approccio da regola, ma insegno un approccio da linguaggio. Questo sconvolge molti studenti, ma molti studenti si accorgono dopo la crisi che l’approccio diventa molto più personale.
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Non è più: “devo fare la foto là” bensì “cosa voglio fare io della foto“. Significa ribaltare la frittata e capire cosa vuoi te dalla tua foto. Non può più essere che vedi una cosa bella e la fotografia, ma devi andare “oltre le regole”, come si chiama infatti uno dei miei corsi.
Se ci fai caso è inutile sapere tutte le parole di una lingua o la grammatica, se poi non la sai utilizzare per comunicare con chi ti sta intorno. Vorrebbe dire essere un Accademico della Crusca che non è capace di comunicare, un dizionario da leggere.
Ti ringrazio Marco, sei stato preziosissimo.
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