La madre, la recensione dell’horror con Jessica Chastain, prodotto da Guillermo Del Toro
Tutto ebbe inizio qualche anno fa quando, sotto lo sguardo di Guillermo del Toro, è passato un cortometraggio di tre minuti realizzato nel 2008 da un giovane regista argentino, Andrés Muschietti. Mamá, un piccolo horror che racchiude alcune delle tematiche care al regista de Il labirinto del fauno (il punto di vista dei bambini, la presenza nella storia di creature soprannaturali, l’infanzia violata) con qualità tecniche e narrative che hanno colpito la sua fervida fantasia. La favola gotica delle due sorelline, Victoria e Lily, scomparse nei boschi il giorno che la loro madre fu uccisa, avrebbe potuto diventare tranquillamente una delle sue. E così quel corto è diventato un lungometraggio, La madre (Mama in originale, nelle sale dal 21 marzo), diretto dallo stesso Andrés Muschietti, ma con la supervisione di Guillermo del Toro, che ha seguito il progetto in veste di Produttore Esecutivo.
Veniamo immediatamente catapultati in una storia da brivido. Da cinque anni ormai, delle due bambine scomparse si è persa ogni traccia. Lo zio Lucas e la sua fidanzata Annabel non hanno mai smesso di cercarle, ma invano. Poi un giorno, per caso, Victoria e Lily vengono incredibilmente ritrovate vive in una baracca nel bosco. Come hanno fatto a sopravvivere tutti questi anni da sole, nella foresta? Mentre Annabel e Lucas cercano di ricreare una vita normale per le piccole, cresce in loro la convinzione che in casa aleggi un’inquietante presenza.
Una ghost story di impianto classico, che se da un lato non punta a stravolgere le convenzioni appartenenti al genere, dall’altro le rinfresca con un buon cast (perfette le due sorelline, inquietanti al punto giusto, un po’ meno Nikolaj Coster-Waldau e Jessica Chastain nei panni dello zio e della sua fidanzata rockettara) e con un assunto forte e primitivo come quello dell’amore materno, elemento solido ed ancestrale come pochi altri attorno al quale far ruotare una storia. Il ritmo serrato con cui si susseguono gli eventi e la capacità di comporre scene funzionali sia esteticamente che narrativamente, rendono meno evidente la prevedibilità di alcuni passaggi, soprattutto nella seconda metà del film. Nonostante le premesse più che buone, però, La madre non riesce a far propria quella profondità che da sempre caratterizza i migliori thriller soprannaturali (pensiamo a Il sesto senso, The Others o La spina del diavolo, diretto proprio da Del Toro). Difficile, poi, riuscire ad attribuire le scelte stilistico-narrative che vediamo svilupparsi all’interno della vicenda, interamente all’esordiente Andrés Muschietti.
Ogni cosa, sembra infatti suggerire che gli interventi di Guillermo Del Toro siano stati piuttosto energici nel delineare il percorso della storia. Il mantenersi costantemente sul labile confine che separa visibile e invisibile, così come la scelta di lasciare che il fantasma entri in contatto con il mondo dei vivi, arrivando ad interagire con i protagonisti in carne e ossa, unito al voler associare il Male non tanto alle creature soprannaturali, quanto agli esseri umani, sono tutti tratti ben riconoscibili della poetica del regista messicano. Interessante notare come, a dodici anni da La spina del diavolo, tetra e visionaria storia in cui i fantasmi venivano descritti come anime sospese in cerca di aiuto, Del Toro non abbia affatto cambiato idea a riguardo.
“Che cos’è un fantasma?
Un evento terribile condannato a ripetersi all’infinito.
Forse solo un istante di dolore.
Qualcosa di morto che sembra ancora vivo.
Un sentimento sospeso nel tempo,
Come una fotografia sfocata
Come un insetto intrappolato nell’ambra“.
(La spina del diavolo, Guillermo Del Toro, 2001)