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Lavoro uomini italiani: 8 anni e mezzo in meno rispetto agli olandesi, donne 14 anni in meno come le estoni

  • Redazione Assodigitale
  • 3 Novembre 2025
Lavoro uomini italiani: 8 anni e mezzo in meno rispetto agli olandesi, donne 14 anni in meno come le estoni

differenze nella durata media della vita lavorativa tra italiani e altri europei

Gli italiani lavorano significativamente meno anni rispetto alla media europea, un dato che emerge chiaramente dall’analisi delle statistiche dell’Eurostat. In media, un cittadino italiano trascorre 32,8 anni nel mercato del lavoro, contro i 37,2 anni medi nel complesso dell’Unione Europea. Questa differenza si accentua ulteriormente nel confronto con le nazioni più virtuose, come i Paesi Bassi, dove la durata media della vita lavorativa raggiunge i 43,8 anni, ovvero quasi 11 anni in più rispetto all’Italia.

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Indice dei Contenuti:
  • Lavoro uomini italiani: 8 anni e mezzo in meno rispetto agli olandesi, donne 14 anni in meno come le estoni
  • differenze nella durata media della vita lavorativa tra italiani e altri europei
  • cause della minore permanenza degli italiani nel mercato del lavoro
  • implicazioni delle carriere lavorative brevi sulla pensione e il rischio povertà

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L’indagine suggerisce che il divario nella durata della carriera lavorativa coinvolge sia uomini sia donne, anche se con dinamiche differenti. Gli uomini italiani lavorano in media poco più di 37 anni, circa due anni in meno rispetto alla media europea (39,2 anni). Il gap si amplia considerevolmente analizzando la componente femminile: le donne italiane trascorrono sul lavoro appena 28,2 anni, contro i 35 anni della media UE, con uno scarto di quasi 7 anni.

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Da segnalare è il caso degli uomini olandesi che vantano una carriera lavorativa media di 45,7 anni, ben 8,5 anni in più rispetto ai loro omologhi italiani. Parallelamente, le donne estoni sono quelle con la carriera professionale più lunga in Europa, con una media di 42,2 anni, ossia 14 anni più delle donne italiane.

Questi dati evidenziano una disparità strutturale nel mercato del lavoro italiano rispetto al resto d’Europa, confermata dal trend di crescita della durata lavorativa registrato tra il 2015 e il 2024 (+2,3 anni in Europa e +2,1 anni in Italia), segno che sebbene vi sia un miglioramento, il paese resta indietro a causa di un punto di partenza piuttosto basso.

cause della minore permanenza degli italiani nel mercato del lavoro

La ridotta durata della carriera lavorativa degli italiani trova spiegazione in un insieme complesso di fattori strutturali e sociali. Partendo dall’ingresso ritardato nel mercato del lavoro, l’Italia registra un tasso di occupazione giovanile estremamente contenuto, al 17,9% per la fascia di età 15-24 anni a settembre. Questa realtà determina un accesso tardivo al lavoro con conseguente compressione complessiva degli anni lavorati.

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Oltre al ritardo iniziale, la permanenza dei lavoratori italiani è frequentemente interrotta da contratti di breve durata e periodi di inattività, in particolare per motivi legati alla maternità per le donne. Questo spezzettamento delle carriere contribuisce a ridurne la continuità e la lunghezza effettiva.

Va inoltre considerato che, storicamente, il sistema previdenziale italiano ha favorito uscite anticipate dal lavoro, riducendo il tasso di occupazione nella fascia degli over 60, anche se recentemente vi è stato un lento recupero in questo segmento. A ciò si aggiunge il grave fenomeno del lavoro nero, diffuso soprattutto nel Sud Italia, con circa 3 milioni di lavoratori non regolari che non entrano nelle statistiche ufficiali e non accumulano alcun diritto contributivo.

Questi elementi combinati spiegano come la durata inferiore delle carriere lavorative italiane derivi non solo da condizioni economiche, ma anche da strutture del mercato del lavoro che penalizzano la continuità e la regolarità occupazionale.

implicazioni delle carriere lavorative brevi sulla pensione e il rischio povertà

Le carriere lavorative più brevi in Italia hanno conseguenze dirette e significative sulla sostenibilità economica delle future pensioni e rappresentano un fattore di rischio crescente per la povertà tra gli anziani. L’entrata ritardata nel mondo del lavoro, la frequenza di interruzioni e la natura precaria di molti contratti riducono la quantità di contributi versati nel corso della vita lavorativa, incidendo negativamente sull’ammontare dell’assegno pensionistico, calcolato principalmente secondo il metodo contributivo.

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In un sistema che premia la continuità e la durata della carriera, le carriere spezzate e ridotte nel tempo producono pensioni ridotte, insufficienti a garantire un tenore di vita dignitoso. Questo fenomeno alimenta un circolo vizioso, poiché l’impossibilità di accumulare adeguati diritti pensionistici obbliga molti futuri anziani a dipendere da forme di assistenza pubblica o a vivere in condizioni di vulnerabilità economica.

Il rischio di povertà pensionistica è particolarmente acuto per le donne, che oltre ad avere carriere più corte, spesso sono penalizzate dalle interruzioni legate alla maternità e da minori opportunità di sviluppo professionale. Senza interventi strutturali che favoriscano l’inclusione stabile nel mercato del lavoro e l’allungamento delle carriere lavorative, la prospettiva di una crescente quota di pensionati impoveriti appare inevitabile.

Di fronte a questi dati, appare chiaro come sia imprescindibile un ripensamento delle politiche occupazionali e previdenziali, finalizzato a contrastare la precarietà e a promuovere percorsi di lavoro più lunghi e continuativi, imprescindibili per la tutela sociale delle future generazioni di pensionati.

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