Irene Pivetti condannata per evasione fiscale
Irene Pivetti, ex presidente della Camera dei Deputati, è stata condannata a quattro anni di carcere per evasione fiscale e autoriciclaggio. La sentenza è stata pronunciata dalla quarta Sezione penale del Tribunale di Milano e riguarda un processo che coinvolge anche altri tre imputati. Le accuse si riferiscono a una serie di operazioni commerciali effettuate nel 2016, che complessivamente avrebbero avuto un valore di circa 10 milioni di euro.
In particolare, il procedimento giuridico è incentrato sulla compravendita di tre Ferrari Granturismo, per cui l’accusa sostiene che l’obiettivo fosse quello di riciclare i proventi provenienti da illeciti fiscali. Oltre alla pena detentiva, i giudici hanno disposto la confisca di 3,4 milioni di euro, cifra già sequestrata durante le indagini, che sarà definitiva solo quando la sentenza diverrà esecutiva.
In aggiunta, Pivetti è stata interdetta da ricoprire pubblici uffici per un periodo di cinque anni e dall’esercizio di attività imprenditoriali per un anno. La condanna rappresenta un momento significativo non solo nella carriera di Pivetti, ma anche nella storia legale delle figure politiche in Italia, portando alla luce il tema della responsabilità e della trasparenza finanziaria nel settore pubblico.
La sentenza del tribunale
La sentenza del tribunale di Milano ha fatto emergere diversi aspetti inquietanti riguardanti la condotta di Irene Pivetti e i suoi soci. In particolare, il pubblico ministero Giovanni Tarzia ha sottolineato, durante la sua requisitoria, la “sostanziale mancanza di collaborazione” mostrata dall’ex presidente della Camera durante le indagini. Pivetti ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere sia in sede di interrogatorio che durante il processo, nonostante le gravi accuse a suo carico.
In aula, ha respinto le accuse avanzando una “ricostruzione confusa”, secondo le parole del pm, il quale ha evidenziato la scarsa chiarezza nella difesa presentata da Pivetti. La richiesta di quattro anni di reclusione, formulata dal pubblico ministero, si allineava alle gravi risultanze emerse dall’inchiesta, in cui si sostiene che l’imputata abbia ottenuto guadagni occulti attraverso strategie commerciali illecite.
La sentenza ha previsto anche la confisca di 3,4 milioni di euro, già oggetto di sequestro durante il corso delle indagini. Questa cifra potrà diventare definitiva solo al termine di eventuali gradi di giudizio successivi, qualora la decisione del tribunale venga confermata dalle corti superiori. Altra misura importante è l’interdizione di Pivetti dai pubblici uffici, che durerà cinque anni, oltre all’interdizione dal esercizio di attività imprenditoriali per un anno.
Questa sentenza, con la sua portata punitiva e le implicazioni finanziarie, potrebbe segnare un cambiamento nel modo in cui le figure di alto profilo politico e imprenditoriale vengono perseguiti per reati economici in Italia, contribuendo al dibattito sulla trasparenza e sull’integrità nel settore pubblico.
Le accuse contro Pivetti
Le accuse formulate contro Irene Pivetti si concentrano su una presunta evasione fiscale e autoriciclaggio legati a operazioni commerciali di ingente valore. Il pubblico ministero Giovanni Tarzia ha delineato il quadro accusatorio, evidenziando la “sostanziale mancanza di collaborazione” da parte dell’ex presidente della Camera durante le indagini. Pivetti ha scelto, infatti, di avvalersi della facoltà di non rispondere sia durante gli interrogatori, sia in aula.
Dai documenti del processo emerge che l’accusa ha presentato una serie di testimonianze e prove che sostengono l’idea che Pivetti non solo fosse consapevole delle operazioni illecite, ma, al contrario, fosse attivamente coinvolta nel progettare strategie per occultare guadagni derivanti da attività non dichiarate. La requisitoria del pm ha descritto le modalità attraverso cui i proventi illeciti venivano mascherati e reinvestiti in attività apparentemente lecite.
In particolare, si è fatto riferimento a come Pivetti possa aver beneficiato economicamente da queste strategie commerciali, lucrando da operazioni che coinvolgevano la vendita fittizia di beni di lusso, come le Ferrari Granturismo. L’accusa ha anche menzionato un guadagno occulto attraverso l’acquisto e la successiva rivendita di beni, qualificando tali manovre come tentativi deliberati di eludere le normative fiscali.
La difesa di Pivetti ha cercato di contestare le evidenze presentate, sostenendo che le operazioni in questione fossero legittime e trasparenti. Tuttavia, le affermazioni del pubblico ministero hanno evidenziato la discrepanza tra la versione fornitale dall’ex politica e le prove raccolte durante l’inchiesta, suggerendo così una condotta che, secondo l’accusa, avrebbe compromesso l’integrità non solo di Pivetti, ma del sistema stesso.
Le operazioni commerciali e le Ferrari
Centro dell’attenzione durante il processo sono state alcune operazioni commerciali realizzate nel 2016, tra cui la compravendita di tre Ferrari Granturismo, considerate dal pubblico ministero strumenti per riciclare proventi illeciti. Secondo l’accusa, i beni di lusso erano stati venduti fittiziamente al gruppo cinese Daohe, mentre in realtà dovevano essere trasferiti in Spagna per una reale vendita successiva. Questo operato, se confermato, avrebbe rappresentato un chiaro tentativo di nascondere beni al fisco, dato che il Team Racing, di cui Isolani era il fondatore, si trovava già in difficoltà economiche con un debito da 5 milioni di euro.
In questo contesto, l’unico bene reale effettivamente ceduto sarebbe stato il logo della Scuderia Isolani, che era abbinato al marchio Ferrari. Le indagini hanno rivelato che Pivetti non si limitò a un ruolo passivo, ma cercò attivamente di nascondere la sua identità nel processo di commercializzazione, mirando ad acquistare il logo a 1,2 milioni di euro e a rivenderlo per una cifra esorbitante, stimata in 10 milioni agli acquirenti cinesi.
Questa strategia avrebbe potuto determinare un guadagno in modo occulto, contravvenendo così alle normative fiscali italiane. Al fine di dare un’idea più chiara della portata delle operazioni, la Procura ha illustrato come queste manovre di dissimulazione della reale proprietà dei beni avessero come scopo principale la sottrazione al fisco, a detrimento di una corretta trasparenza nelle transazioni commerciali.
Un ruolo particolarmente significativo è stato svolto da Only Italia, una società riconducibile a Pivetti, che ha operato come intermediaria nelle vendite, suggerendo ulteriormente un piano premeditato per eludere le autorità fiscali. Le testimonianze raccolte hanno gettato luce su un complesso intreccio di vendite fittizie, mascheramenti e manovre di riciclaggio, contribuendo così a costruire il quadro accusatorio presentato durante il processo.
Le dichiarazioni di Pivetti e il ricorso in appello
Irene Pivetti, al termine della sentenza, ha dichiarato di essere totalmente innocente, sostenendo che questa condanna sia il risultato di un’ingiustizia e di un processo che ha creato risonanza mediatica a suo discapito. «Vivo con mille euro al mese, per un anno ho messo lo stesso paio di jeans», ha affermato con toni carichi di emozione, rivelando le difficoltà economiche che sta affrontando dopo le pesanti accuse mosse contro di lei e la condanna appena ricevuta.
Pivetti ha confermato la sua intenzione di ricorrere in Appello, sottolineando che il suo legale sta già preparando la strategia per contestare la sentenza. «Questa è solo la fine del primo tempo. Ricorreremo in Appello, ora attendo le motivazioni perché sono davvero curiosa di capire come abbiano fatto a non tenere conto dei fatti e delle prove che abbiamo elencato», ha detto Pivetti, manifestando fiducia nel poter dimostrare la sua innocenza in un successivo grado di giudizio.
Il ricorso, come indicato dall’ex presidente della Camera, si baserà su elementi probatori che, secondo la sua versione, avrebbero dovuto scagionarla. La sua difesa si è focalizzata principalmente sulla presunta mancanza di fondamento delle accuse elevategli e sulla contestazione della ricostruzione dei fatti presentata dall’accusa. Entro i termini previsti, Pivetti e il suo team legale presenteranno le motivazioni dettagliate del ricorso, mentre l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica rimane rivolta a questa vicenda che coinvolge una figura così nota della politica italiana.
Dettagli sull’inchiesta e sugli altri imputati
L’inchiesta su Irene Pivetti ha rivelato un complesso sistema di operazioni commerciali che solleva interrogativi significativi sulla legalità delle transazioni effettuate. Pivetti è stata accusata non solo di evasione fiscale, ma anche di autoriciclaggio, in un contesto che ha coinvolto numerosi attori. Oltre all’ex presidente della Camera, sono stati imputati Leonardo “Leo” Isolani, pilota di rally e fondatore del Team Racing, e Giorgia Giovannelli, figlia di Pivetti, assolta con formula piena poiché il fatto non sussiste.
I soggetti coinvolti nell’operazione avevano un obiettivo apparentemente chiaro: dissimulare la reale proprietà di beni di valore, in particolare le tre Ferrari Granturismo, attraverso vendite fittizie destinate a eludere le autorità fiscali italiane. L’agenzia di intermediazione associata a Pivetti, Only Italia, ha avuto un ruolo cruciale nel facilitare queste operazioni, creando una rete di transazioni commerciali che avrebbero permesso un occultamento mirato dei proventi illeciti.
Isolani, condannato a due anni di reclusione e una multa di quattromila euro, è stato descritto dall’accusa come un attore chiave nel piano, avendo tentato di trasferire in modo fraudolento i beni attraverso una finta vendita a un gruppo cinese. Il tentativo di occultare beni in debito con il fisco, pari a circa 5 milioni di euro, ha contribuito a rafforzare le accuse contro di lui e i suoi soci. Anche se la figlia di Pivetti è risultata innocente, la sua presenza nel caso ha aggiunto un ulteriore strato di complessità alla vicenda, richiamando l’attenzione sui legami familiari e le implicazioni legali associate.
La sentenza ha dunque sottolineato l’importanza della trasparenza nelle attività imprenditoriali, evidenziando come la scarsa collaborazione di Pivetti con le indagini abbia aggravato la sua posizione. Il contesto in cui si sono svolte le operazioni commerciali deve essere letto alla luce delle norme fiscali italiane, che sono state chiaramente violate secondo la ricostruzione presentata dalla Procura.