Insulti via Facebook, e’ diffamazione anche se anonimi. Cassazione
Gli insulti via Facebook costituiscono diffamazione anche se anonimi. Lo stabilisce la prima sezione penale della Cassazione (sentenza 16712) con una recente sentenza con la quale ha annullato l’assoluzione di un finanziere che aveva offeso un collega senza farne il nome, perché la reputazione è lesa se la vittima è riconoscibile anche da poche persone.
Tale principio per chi si occupa di privacy da anni non puo’ che apparire ovvio. I dati sono infatti da considerarsi personali E NON ANONIMI tutte le volte che dal loro insieme o comunque con un procedimento di ragionevole difficoltà sia possibile identificare l’interessato.
Sul web ed in particolare sui social come Facebook si può diffamare anche senza fare nomi: e’ sufficiente che la persona offesa sia identificabile e che gli insulti possano essere percepiti da una cerchia, puranco ristretta, di persone.
Lo evidenzia la Cassazione che ha rinviato a nuovo processo l’assoluzione di un maresciallo capo della Guardia di Finanza che aveva pubblicato nei suoi «dati personali» su FB la frase «attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di collega sommamente raccomandato e leccaculo…», aggiungendo poi un’espressione volgare riferita alla moglie di quest’ultimo.
A “incastrare” l’imputato sarebbe stato l’uso dell’avverbio: “attualmente”. Perché risultava evidente a persone dell’ ambiente a chi il maresciallo si riferisse.
Nel giudizio di primo grado il maresciallo era già stato condannato, ma poi assolto in appello perché la sua difesa si concentrava sull’anonimato della persona offesa.
Nel ricorso contro l’assoluzione, il procuratore generale militare ha evidenziato come la pubblicazione su Facebook abbia determinato la conoscenza delle frasi offensive da parte di più «soggetti indeterminati iscritti al social network e che chiunque, collega o conoscente dell’imputato, avrebbe potuto individuare la persona offesa».
La Corte ha riconosciuto come la frase fosse «ampiamente accessibile, essendo indicata sul cosiddetto “profilo”» e l’identificazione della persona offesa favorita dall’avverbio «attualmente» riferita alla funzione di comando rivestita.
Inoltre la fattispecie del reato di diffamazione non richiede dolo specifico ma solo la «consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza anche soltanto di due persone».
Tale decisione non può che trovarmi d’accordo.
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