Il Digital Green Certificate. Si tornerà a viaggiare?
—– di Federica Di Bari – Trendiest News —- solo così nell’estate 2021 potremo tornare a viaggiare. La proposta di regolamento dell’Unione europea potrebbe salvare in corner l’estate di chi progettava di uscire dall’Italia, ma alcune domande sulla protezione dei dati personali rimangono ancora senza risposta.
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La scorsa settimana la Commissione europea ha presentato la proposta di regolamento per il “Digital Green Certificate”, l’evoluzione di quello che fino ad un paio di mesi fa veniva chiamato il “passaporto vaccinale”. Una definizione che è stata abbandonata e sostituita per far fronte alle contraddizioni giuridiche che ne sarebbero derivate.
L’attuale proposta di regolamento, infatti, si fonda sul principio di non discriminazione: se da un lato è comprensibile che l’Unione europea e gli Stati membri tentino di attuare delle misure di contenimento del contagio compatibili con la ripartenza di un turismo in sicurezza (a maggior ragione se si considera che ne discenderebbero importanti vantaggi economici), dall’altro si deve tenere bene a mente che uno dei valori fondanti dell’Unione europea è quello della libertà di circolazione delle persone tra Stati membri. Una libertà che ne uscirebbe gravemente compressa, se il suo esercizio fosse obbligatoriamente subordinato all’esibizione di un certificato di vaccinazione: sia perché è facoltà del singolo cittadino decidere se sottoporsi al vaccino o meno, ma anche perché – almeno in Italia – la somministrazione delle dosi è soggetta a tempistiche estremamente dilatate nel tempo, e pertanto verrebbero tagliati fuori anche quei soggetti che, pur volendosi vaccinare, ancora non possono farlo.
Vaccini e test
Per questo motivo si è deciso di abbandonare la dicitura originaria, allargando il Digital Green Certificate non solo ai vaccini, ma anche ai certificati relativi ai test per il Covid-19 e a quelli rilasciati alle persone guarite dal virus (che, pertanto, si suppone che presentino gli anticorpi). Una scelta che, sicuramente, porta con sé un margine più ampio di rischio, ma risulta più in linea con i valori dell’Unione e delle costituzioni dei singoli Stati membri.
La protezione dei dati personali
Un secondo profilo giuridicamente rilevante è quello relativo al diritto alla protezione dei dati personali, cui aveva già rivolto la propria attenzione Ginevra Cerrina Feroni, Vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali, a inizio marzo. Un tema particolarmente delicato, considerata anche la natura “sensibile” dei dati sanitari. In tal senso, l’art. 9 della proposta di regolamento, rubricato “protection of personal data”, fornisce specifiche indicazioni sulla finalità del trattamento, sul principio di minimizzazione (che prevede che i dati raccolti siano «adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati») e sui tempi di conservazione dei dati, perfettamente in linea con quanto previsto dal GDPR, cui deve ovviamente conformarsi ogni atto dell’Unione europea.
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Se è vero che il regolamento così proposto sembrerebbe andare nel verso giusto, è anche da considerare il fatto che esso rimane circoscritto all’impianto generale e teorico del Digital Green Pass, limitatamente agli spostamenti da uno Stato membro all’altro, mentre l’elenco delle attività che sarà effettivamente consentito svolgere ai possessori del certificato è rimesso alla normativa nazionale. Ma allora bisognerà interrogarsi sulla legittimità della raccolta dei propri dati personali (anzi, personalissimi!) da parte di ristoranti, palestre, posti di lavoro… e così via. In sostanza, quella del Digital Green Pass sembra una questione ancora parzialmente aperta. Se da un lato si attende l’eventuale approvazione del regolamento (che, per essere applicabile entro l’estate, deve avvenire in tempi brevi), dall’altro ci si aspetta un intervento del Garante della Privacy, che farà certamente chiarezza sulle sorti dei nostri dati personali. Nella speranza di tornare quanto prima alla tanto agognata normalità.
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