Garlasco: indagine sugli abiti dei cosiddetti pittori e le omissioni nelle analisi forensi
Ritrovamento e descrizione degli abiti
Nel canale di scolo vicino a via Pascoli a Garlasco furono recuperati, pochi giorni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, una serie di capi d’abbigliamento che suscitarono immediata attenzione per la loro collocazione e per lo stato di conservazione. Gli indumenti, rinvenuti da operai impegnati in lavori di manutenzione, comprendevano canottiere, scarpe e altri pezzi riconoscibili per marchi e taglie; alcuni manufatti riportavano macchie di colore rosso che, in prima istanza, furono interpretate come semplici schizzi di vernice. La presenza di capi griffati e di taglie diverse ha alimentato fin da subito interrogativi sulla loro provenienza e sul possibile collegamento con persone presenti nella zona quella notte.
Indice dei Contenuti:
▷ Lo sai che da oggi puoi MONETIZZARE FACILMENTE I TUOI ASSET TOKENIZZANDOLI SUBITO? Contatto per approfondire: CLICCA QUI
La posizione dei reperti, parzialmente immersa in acqua stagnante e in condizioni di degrado, rendeva complessa la raccolta immediata e la tutela preventiva: erano presenti tracce organiche visibili a occhio nudo, depositi terrosi e segni di abrasione compatibili con una lunga esposizione agli agenti atmosferici. Diverse delle canottiere erano di taglia femminile, mentre altri indumenti apparivano maschili; questa eterogeneità contribuì a generare scenari alternativi sulle identità dei loro utilizzatori. La segnalazione dei ritrovatori venne trasmessa alle autorità, ma le prime valutazioni tecniche limitarono l’attenzione su elementi ritenuti meno probatori o già compromessi dall’ambiente.
I marchi e le caratteristiche peculiari degli abiti — cuciture, etichette e particolari estetici — furono annotate, ma non tutte le informazioni furono preservate con la necessaria stringenza investigativa. Alcuni test preliminari rilevarono la presenza di sostanze cromatiche rosse su porzioni di tessuto; tuttavia tali evidenze vennero interpretate come residui di vernice, ipotesi che indirizzò il corso delle analisi. La documentazione fotografica dell’epoca mostra i capi in condizioni tali da suggerire che, se fossero state eseguite analisi più approfondite e tempestive, avrebbero potuto fornire elementi utili per stabilire una connessione diretta con la scena del crimine o per escludere definitivamente tale rapporto.
FAQ
- Come furono ritrovati gli abiti? — Da operai al lavoro nel canale di scolo vicino via Pascoli, pochi giorni dopo l’omicidio.
- Quali tipi di indumenti furono recuperati? — Canottiere, scarpe e altri capi distintivi, con marchi e taglie variabili.
- Perché le macchie rosse non furono subito considerate sangue? — In prima istanza vennero valutate come residui di vernice dalle analisi preliminari.
- Le condizioni dei reperti erano compatibili con analisi forensi? — Erano compromesse dall’acqua e dal degrado, ma avrebbero comunque potuto fornire elementi utili con test adeguati.
- Sono state catalogate le caratteristiche dei capi? — Furono annotate etichette e marchi, ma non tutte le informazioni vennero preservate in modo ottimale.
- Il ritrovamento fu collegato immediatamente all’omicidio? — Fu segnalato alle autorità, ma l’interpretazione iniziale delle macchie indirizzò le indagini verso altre ipotesi.
Analisi forense e test mancati
Le analisi condotte sui capi rinvenuti mostrarono procedure incomplete e passaggi tecnici mancanti, elementi che hanno finito per compromettere definitivamente il valore probatorio dei reperti. I primi accertamenti rilevarono tracce organiche e macchie rosse su più tessuti; vennero eseguiti test rapidi come il luminol, che indicò la possibile presenza di sangue su alcune superfici, mentre il combur test risultò negativo. Nonostante la discrepanza tra risultati, non fu attivato il cosiddetto terzo test definitivo — quello biologico-chimico in grado di confermare o escludere in modo incontrovertibile la presenza di emoglobina umana — una omissione che gli esperti oggi considerano cruciale.
La catena di custodia dei materiali apparve lacunosa: alcune operazioni di catalogazione e confezionamento non seguirono protocolli rigorosi di conservazione, con conseguente aumento del rischio di contaminazione e degradazione delle tracce. Materiali potenzialmente idonei per esami di DNA non furono sempre sottoposti a conservazione a temperatura controllata né segregati in ambienti sterili, condizioni fondamentali per preservare campioni organici. Queste defaillance procedurali limitarono la possibilità di successivi rianalisi con tecniche più sensibili introdotte negli anni successivi.
La distruzione fisica dei capi, disposta dopo test preliminari ritenuti inconcludenti, ha eliminato la possibilità di utilizzare metodi più avanzati sviluppati successivamente, come l’amplificazione di tracce deboli mediante PCR ottimizzata o l’analisi proteomica. I consulenti forensi richiamano l’attenzione sul fatto che, anche in presenza di risultati inizialmente negativi al combur test, la prassi investigativa standard richiede un approfondimento con test confermativi; la mancata applicazione di tale prassi nel caso dei capi di Garlasco rappresenta oggi un punto d’ombra nelle ricostruzioni investigative.
Ipotesi dei “pittori” e contraddizioni
La teoria dei «pittori» fu avanzata per spiegare la presenza di macchie rosse su indumenti rinvenuti nel canale, ma presenta incongruenze che ne minano la plausibilità. L’argomentazione principale era semplice: se le chiazze fossero vernice, gli abiti potevano appartenere a operai del settore edile o a imbianchini che li avevano gettati dopo l’uso. Tuttavia, la qualità e il valore dei capi rilevati — spesso firmati e di fascia media-alta — contraddicono l’idea che fossero indumenti usa e getta tipici di lavori manuali. La presenza di marchi distintivi e di taglie miste (femminili e maschili) suggerisce un’origine più articolata rispetto a quella di un gruppo omogeneo di lavoratori.
Inoltre, la valutazione visiva iniziale che portò a classificare le macchie come vernice non fu supportata da test chimici definitivi. L’assenza del terzo test, quello capace di confermare l’emoglobina, lascia aperta la possibilità che alcune tracce fossero in realtà ematiche. Se così fosse, l’ipotesi dei «pittori» perderebbe di senso; se non lo fosse, resterebbe da spiegare perché soggetti intenti a lavori sporchi di vernice utilizzassero abiti griffati senza preoccuparsi di proteggerli o sostituirli dopo l’impiego.
Le testimonianze raccolte all’epoca non documentano la presenza sul luogo di lavoro di pittori riconosciuti né segnalazioni compatibili con la dispersione di attrezzature o rifiuti di cantiere nelle immediate vicinanze del ritrovamento. Mancano inoltre elementi che colleghino direttamente quei capi a persone note nella cerchia degli indagati. Queste lacune investigative, unite alla successiva distruzione dei reperti, impediscono oggi di svolgere verifiche incrociate sui marchi o di ricostruire possibili rotte di abbandono degli indumenti, rendendo l’ipotesi dei pittori al limite tra plausibile e speculativa.
Implicazioni sull’indagine e piste aperte
Le implicazioni derivanti dalla gestione degli abiti rinvenuti nel canale vicino a via Pascoli a Garlasco hanno modificato profondamente il quadro investigativo: errori procedurali, test mancati e la distruzione dei reperti hanno ridotto in modo irreversibile le possibilità di ricostruire collegamenti biologici e logistici con la scena del crimine. Questo segmento analizza le conseguenze pratiche sulle piste investigative aperte, le difficoltà legali generate dalle lacune nella catena di custodia e le strade ancora percorribili dagli inquirenti alla luce di nuove tecniche scientifiche e di eventuali riaperture d’indagine.
La conservazione inadeguata e la distruzione degli indumenti hanno inciso direttamente sulla capacità della procura di ottenere elementi probatori certi. Senza il terzo test confermativo, senza campioni custoditi in condizioni idonee e senza reperti disponibili per analisi successive, molte ricostruzioni si basano su inferenze più che su dati oggettivi. Ciò ha comportato una perdita di opportunità investigativa: possibili profili DNA, mappature di contaminazione e analisi del trasferimento di tracce non sono stati svolti o non sono più verificabili. Per gli atti giudiziari, questa carenza si traduce in una fragilità delle conclusioni che possono essere contestate dalla difesa o che non reggono a nuovi approfondimenti scientifici.
Dal punto di vista operativo, l’assenza di reperti rende più complessa la verifica di ipotesi alternative: correlazioni tra marchi degli abiti e circuiti commerciali locali, ricostruzione dei passaggi di proprietà dei capi e confronti con guardaroba di persone note o sospette non sono più realizzabili. Anche la possibilità di ricostruire una timeline basata su fenomeni di degrado o deposizione nelle condizioni ambientali del canale è stata compromessa. Questo limita la capacità degli investigatori di escludere o confermare percorsi logistici e complicità, costringendo l’indagine a fare affidamento su altri elementi, come riscontri testimoniali o analisi delle immagini, che spesso presentano margini di incertezza maggiori.
Le piste ancora aperte, nonostante le perdite probatorie, riguardano l’esame comparativo delle nuove analisi fotografiche e video, l’approfondimento di contatti e movimenti verificabili nella notte del delitto e la ricerca di testimonianze che possano ricollocare i capi in possesso di individui specifici. L’intervento dei nuovi specialisti dei RIS e delle competenze scientifiche aggiornate può fornire indicazioni attraverso tecniche non distruttive su documenti e immagini, oltre a rianalizzare quanto altro materiale conservato correttamente. Tuttavia, la mancanza dei capi originali limita fortemente la prova di correlazione biologica diretta, trasformando molte piste in ricostruzioni indiziarie difficilmente convertibili in prova piena.
Sul piano giudiziario e procedurale, le omissioni riscontrate alimentano richieste di chiarimenti e verifiche sulle responsabilità delle operazioni svolte all’epoca. La gestione dei reperti costituisce un elemento critico per valutare la correttezza delle indagini iniziali: ogni lacuna nella documentazione o nella conservazione apre spazi per ricorsi, richieste di integrazioni e contestazioni processuali. Allo stesso tempo, la possibile riapertura di attività tecniche su altri elementi può fornire indizi utili solo se accompagnata da procedure rigorose che evitino ulteriori compromissioni probatorie.
Infine, le implicazioni pratiche impongono una riflessione sulle priorità investigative future: puntare su analisi delle reti sociali, ricostruzioni dei movimenti mediante fonti digitali e verifiche di background economico e relazionale delle persone presenti in zona può consentire di agganciare nuovi elementi d’inchiesta. Queste strategie, tuttavia, non compensano la perdita di evidenze fisiche dirette; producono semmai percorsi alternativi per ridurre l’incertezza e circoscrivere ambiti di interesse nei quali concentrare eventuali approfondimenti giudiziari.
FAQ
- Qual è la conseguenza principale della distruzione degli abiti? — La perdita di materiale probatorio che avrebbe potuto fornire conferme biologiche dirette e tracce utili per la ricostruzione degli eventi.
- Perché l’assenza del terzo test è rilevante? — Perché quel test avrebbe chiarito in modo definitivo la natura ematica delle macchie, determinando il valore probatorio delle tracce.
- Che impatto ha la catena di custodia lacunosa? — Incrementa il rischio di contaminazione e rende contestabili in sede giudiziaria i risultati delle analisi svolte.
- Quali piste investigative restano percorribili? — Analisi di immagini e video aggiornate, ricostruzione delle reti relazionali e verifiche su movimenti digitali e commerciali correlati agli indumenti.
- Possono le nuove tecniche scientifiche compensare la perdita dei reperti? — Solo parzialmente: consentono approfondimenti su altri materiali ma non sostituiscono la prova biologica diretta che i capi avrebbero potuto offrire.
- Che rischi procedurali emergono dalle omissioni iniziali? — Potenziali ricorsi, richieste di integrazione e contestazioni sulla regolarità delle indagini che possono indebolire le posizioni accusatorie.




