Festival della Scienza Medica di Bologna. Le fake news sul covid
—- di Letizia Dehò – Trendiest News —- Covid-19 è la prima pandemia nell’era dei social, circostanza che ha messo a dura prova la comunicazione scientifica che, soprattutto nei primi mesi dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, ha visto una crescita esponenziale di generazione e condivisione di contenuti, non sempre affidabili o peer-reviewed, collocabili nella sfera della pseudoscienza più che in quella dell’informazione passata attraverso filtri di scientificità e rigore. “Dall’inizio della pandemia a marzo 2020 sono stati 140 gli articoli apparsi su riviste scientifiche, un numero enorme quelli invece preprint apparsi sui server universitari, non ancora sottoposti a revisione, che però hanno avuto un’enorme visibilità, con centinaia di migliaia di citazioni e condivisioni social – dice Enrico Bucci, Professore di biologia dei sistemi complessi e Direttore del programma di Biologia dei Sistemi Complessi presso la Temple University, ricercatore conosciuto a livello internazionale per le sue competenze nell’analisi dei Big Data in campo biomedico e nel settore dell’integrità della ricerca scientifica. Bucci è intervenuto oggi alla sesta giornata del Festival della Scienza Medica di Bologna assieme al collega Eugenio Santoro, Responsabile del Laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, nella conferenza in streaming sulla comunicazione medico-scientifica sui social network.
La crescita di informazioni ha seguito l’andamento esponenziale dei contagi, e ha causato danni notevoli: “c’è stata, come era inevitabile, una polarizzazione dell’interesse su Covid-19 da parte di medici e ricercatori, che ha causato una crescita incontrollata di articoli ricondivisi senza che ci fosse il necessario filtro. A ciò si sono aggiunti diversi fattori, soprattutto di carattere culturale: basti pensare all’enorme background nella cultura di massa per cui il virus, nella fantascienza, ad esempio, o nelle grandi produzioni cinematografiche statunitensi, è un’arma costruita a tavolino”. Un clima che è stato cavalcato ampiamente da coloro che hanno voluto cercare complotti e credere a una costruzione del virus in laboratorio, o da politici in cerca di consensi facili. In molti casi, sono state diffuse fake news che fanno male alla buona scienza, che è portata poi ad eccessi per sovrastare la facile diffusione di informazioni sbagliate: “si pensi ad esempio all’idrossiclorochina, che in un primo momento era stata indicata come cura anche preventiva a Covid-19, da parte dello stesso Presidente Trump: per contrastare la fake news la comunità scientifica si è poi scagliata in maniera forte contro di essa, accusando l’idrossiclorochina, utilizzata da decenni, di causare addirittura danni gravi – dice Bucci. – In qualche modo si genera un’ondata di cattiva scienza per contrastare la cattiva scienza di partenza”.
“Covid-19 ci ha reso familiare il concetto di infodemia, ossia una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono arduo orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili, come recita la Treccani – dice Eugenio Santoro, che tra le altre cose è membro del Gruppo di Tecnologia dell’informazione e comunicazione della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici. Una disinformazione di cui sono stati responsabili anche i media tradizionali, colpevoli di non aver sempre verificato le fonti, e le riviste scientifiche che nelle fasi più acute della pandemia hanno allentato i processi di peer-review. “I social però sono stati senza dubbio un amplissimo bacino di disinformazione, causando diversi danni non secondari – continua Santoro. – Alcune ricerche hanno dimostrato ad esempio che chi si informa solo sui social sarebbe più incline a non rispettare le norme anti-Covid”.
L’informazione, secondo Santoro, è “un aspetto cruciale nelle crisi sanitarie, anzi dovrebbe essere vista come vero e proprio intervento medico. Per questo è fondamentale il dialogo che si è costruito tra le principali piattaforme social e le principali istituzioni, dall’OMS al Centre for Disease Control and Prevention di Atlanta, per indirizzare il pubblico verso fonti autorevoli”. Le pagine social dei vari Ministeri della Salute europei hanno giocato un ruolo importante: quello italiano ha visto un balzo da 60mila a 600mila follower in pochi mesi dall’inizio della pandemia: “informazioni certe, linguaggio semplice, supporto di infografiche, immagini e video da parte di queste pagine sono un aspetto cruciale, così come il coinvolgimento degli influencer per raggiungere i target più giovani: i social possono diventare strumento di corretta informazione scrollandosi di dosso la fama di vettori di bufale, se ben utilizzati”. Trasparenza e chiarezza, competenza nella comunicazione, coinvolgimento diretto di medici e scienziati, ascolto e capacità di dialogare, rispondendo a dubbi e quesiti: la lotta a Covid-19 passa anche dalla corretta informazione medico-scientifica.