Con le stampanti 3D adesso si stampa anche il corpo umano
“Stampare parti del corpo umano non è più una cosa del futuro, è una realtà” ha dichiarato Massimo Moretti, promotore del progetto Wasp che con le sue stampanti 3D sarà tra i protagonisti della tappa bolognese di 3DPrint Hub a Exposanità (Bologna Fiere, 21-24 maggio) per mostrare le applicazioni di questa tecnologia in ambito medicale.
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L’obiettivo è presentare agli operatori macchine a prezzo abbordabile per connettere il mondo dei Fab Lab, con il mondo professionale per realizzare nuove sperimentazioni”, ha spiegato Moretti.
I giovani maker di Sharebot, saranno presenti con le loro stampanti per mostrare come esse permettano di eliminare molti passaggi, velocizzare la realizzazione dello stampo e della parte da implementare.
“L’Italia inizia a muoversi, ha commentato Matteo Abbiati di Sharebot, soprattutto per quanto riguarda la ricerca sui diversi materiali. In questo momento c’è un grosso gap tra quello che dicono teoricamente le aziende che producono materiali e quello che poi concretamente si riesce a fare con questi materiali”. Per l’ambito medicale, infatti, la sfida si gioca sul fronte della ricerca sui materiali per la stampa 3D con l’obiettivo di rendere impiantabile, e quindi compatibile con il corpo umano, ciò che viene stampato.
“Attualmente si usano le ceramiche, il polimetilmetacrilato, i pic che sono dei polimeri stabili, e il caprolactone un materiale che si riassorbe alla interno del corpo umano in sei mesi”, ha riferito Moretti. “Anche se con alcune tecniche particolari e’ possibile accelerare questo processo combinando la parte d’osso con il caprolactone e ottenere in laboratorio un osso da impiantare. Tecniche che stanno riscontrando un rapido successo – ha continuato – così come la stampa di materiali organici, dove su supporti cartilaginei stampati in 3D vengono coltivate cellule staminali per dar vita ad una parte che sia della stessa materia del corpo del paziente.
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Ci sono ancora alcune difficoltà, ha precisato Moretti: “Nel mondo della sanità c’è un grosso muro legato al fatto della certificazione delle cose. Noi, le prime protesi le abbiamo stampate 8 anni fa, poi ci siamo fermati perché per certificare il lavoro fatto ci volevano almeno 200mila euro circa di investimento per fare le prove sul paziente. C’è quindi la necessità di abbattere quelle barriere non completamente logiche e aiutare a livello burocratico le startup o i nuovi ricercatori che hanno tutte le competenze per fare questa cosa, per fare reale innovazione.
Quando si passerà questa soglia, ci sarà una ricaduta molto veloce”. Una rivoluzione che per diventare effettiva deve passare dalla formazione: “Bisogna partire dalle scuole, per formare i futuri professionisti delle aziende. Sarà importante avere delle persone in grado di far funzionare le macchine”, ha concluso Abbiati di Sharebot.
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