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CEO ottimisti sulla competitività UE richiedono un patto industriale per incentivare investimenti nella transizione ecologica

  • Redazione Assodigitale
  • 19 Giugno 2025
CEO ottimisti sulla competitività UE richiedono un patto industriale per incentivare investimenti nella transizione ecologica

Competitività e ottimismo dei CEO europei

Il clima di ottimismo tra i CEO europei sta vivendo una significativa crescita, con un aumento della fiducia sulla competitività continentale che è passato dal 39% al 71%. Questa tendenza è particolarmente marcata in paesi come la Germania, dove il 76% dei dirigenti esprime fiducia, e nel Regno Unito con il 74%. In Italia, la percentuale di leader ottimisti è cresciuta dal 35% al 61%. Tuttavia, nonostante questo slancio positivo, i dirigenti avvertono l’importanza di un nuovo accordo industriale europeo, che si basi su investimenti strategici, la transizione sostenibile e una semplificazione delle procedure burocratiche. Un dato allarmante emerge in quanto il 90% dei manager sostiene che la tutela degli interessi industriali europei non possa essere oggetto di compromesso. La preoccupazione per l’80% degli intervistati, con punte dell’85% in Italia, è chiara: senza una solida base produttiva, l’Europa rischia di perdere il proprio rilievo nel contesto globale, fino alla possibilità di un’uscita dalla scena industriale. Questo quadro è emerso dal rapporto New Deal for European Competitiveness redatto da BCG, basato su un campione di 850 CEO in tutta Europa.

Priorità per il futuro della competitività

I leader aziendali europei delineano chiaramente le priorità essenziali per il rilancio della competitività del continente, esprimendo un orientamento strategico che combina elementi offensivi e difensivi. Secondo Davide Di Domenico, Managing Director e Senior Partner di BCG, i manager identificano tre aree chiave per l’azione offensiva: primo, la necessità di investire nella trasformazione, focalizzandosi su settori strategici come l’intelligenza artificiale, le biotecnologie e l’energia. Questi investimenti non sono solo fondamentali, ma devono essere accompagnati da un approccio proattivo per superare le sfide globali. Secondo, la semplificazione della burocrazia si rivela cruciale per garantire processi decisionali più agili, riducendo i tempi di attesa e incrementando l’efficienza operativa. Terzo, emerge un forte desiderio di supportare i campioni europei, ovvero le grandi aziende che possono competere efficacemente con i colossi americani e cinesi. A fronte di queste priorità, vi è un crescente consenso sulla necessità di una protezione robusta degli interessi commerciali europei, ora ritenuta non negoziabile. Le tendenze nei vari settori evidenziano come, pur essendo il sentimento generale positivo, alcune aree restino più ciniche, in particolare tra i leader dei comparti tradizionali come quello bancario e finanziario. Questo divario nella fiducia richiede un monitoraggio continuo e un intervento mirato.

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Investimenti strategici nella transizione sostenibile

La transizione sostenibile è considerata dai CEO europei un fattore cruciale per il futuro competitivo del continente. Le aziende sono pronte a intraprendere azioni significative in questo ambito, ma rivendicano l’esigenza di un supporto istituzionale. Un’evidenza chiara emersa dal report pubblicato da BCG è che il 90% dei leader aziendali italiani è favorevole a un aumento dell’occupazione, mentre l’83% è pronto a potenziare la capacità produttiva in territorio europeo, a condizione che vengano stabilite le giuste condizioni politiche e economiche. Investire nella transizione sostenibile non è solo un obbligo morale, ma una necessità strategica per garantire un futuro prospero. Le aree di investimento prioritario comprendono tecnologie verdi, efficienza energetica e innovazioni nei materiali, tutte ambiti cruciali per ridurre l’impatto ambientale e aumentare la competitività. Si stima che senza una base produttiva robusta e investimenti adeguati, l’UE rischi di perdere il treno della competitività globale, trascinando con sé un inevitabile declino dell’innovazione e un incremento delle delocalizzazioni. La visione è chiara: una marcia verso un’industria più green non può prescindere dalla protezione degli interessi industriali locali. Le proposte di intervento variano, ma emergono come comuni le richieste di mappare le filiere produttive, investire in ricerca e sviluppo e garantire incentivi a lungo termine per le aziende impegnate nella sostenibilità. Per consolidare questi piani di ampio respiro, è necessario un approccio collaborativo tra settore pubblico e privato che permetta il raggiungimento di obiettivi condivisi, promuovendo una vera e propria cultura dell’innovazione sostenibile.

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Sfide politiche e fiducia nel governo

La fiducia dei leader aziendali nell’efficacia dell’azione politica è attualmente a livelli preoccupanti. Circa il 49% degli executive europei crede che i politici comprendano realmente l’urgente necessità di affrontare le sfide contemporanee, una percentuale che scende ulteriormente al 38% in Italia. Questo scollamento tra il mondo imprenditoriale e le istituzioni è particolarmente evidente nei settori manifatturieri e consumer, dove le preoccupazioni riguardano la capacità dei legislatori di rispondere adeguatamente alle esigenze del mercato. Le aziende sono pronte a investire ma evidenziano che questa volontà è ostacolata dalla mancanza di fiducia nell’impegno politico. Tale sfiducia è amplificata dal timore che le barriere strutturali non vengano rimosse, un fattore che, se non affrontato, potrebbe portare a una stagnazione dell’occupazione e dell’innovazione. Il 71% dei manager italiani prevede un potenziale ridimensionamento della forza lavoro se non si adottano misure concrete, mentre il 64% teme un rallentamento significativo dell’innovazione. Questi dati fanno emergere l’urgenza di un dialogo costruttivo tra imprese e istituzioni, per garantire che le priorità espresse dal mondo industriale siano translate in politiche efficaci e responsabili; solo in questo modo sarà possibile ridurre il rischio di delocalizzazioni e preservare il tessuto produttivo europeo. A tal proposito, lo scambio di idee e strategie tra le aziende non è più visto come un’opzione, ma come una necessità imprescindibile per affrontare il futuro competitivo dell’Europa.

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Un patto industriale per il rilancio europeo

Un nuovo paradigma si impone per il rilancio della competitività europea: la creazione di un patto industriale che possa integrarsi armoniosamente con le aspirazioni dei CEO e le necessità del mercato. Le imprese europee, consapevoli della loro posizione, esprimono un pressing unanime per un intervento strategico che garantisca non solo la sostenibilità ma anche la crescita. Questo nuovo accordo, auspicato dal 89% dei dirigenti italiani e dall’82% dei CEO a livello europeo, potrebbe divenire un vero e proprio motore per la definizione delle politiche industriali della UE. L’idea è quella di creare un gruppo di consulenza composto da CEO a livello europeo, in grado di fornire insight preziosi e supporto alle istituzioni per affrontare le sfide contemporanee. La concezione di un CEO advisory group non è solo una risposta alle problematiche attuali, ma rappresenta un passo fondamentale verso un modello di governance più inclusivo e reattivo. I leader aziendali sono pronti a investire massicciamente e a contribuire al rafforzamento delle capacità produttive sul territorio europeo, ma necessitano di un contesto politico che faciliti tali azioni aumentando l’occupazione e promuovendo la sicurezza delle catene di fornitura tramite iniziative comuni. È essenziale che le politiche pubbliche non rimangano distaccate dalle esigenze del mondo industriale, ma piuttosto siano orientate da una visione condivisa, in grado di garantire la prosperità e la competitività nel lungo periodo. In questo contesto, l’urgenza è diventata cruciale: senza scelte strategiche e investimenti coordinati, l’Europa rischia di rimanere indietro, incapace di fronteggiare le sfide globali e le pressioni competitive. Pertanto, il patto industriale emerge non solo come ausilio alla crescita, ma come necessità imperativa per garantire la resilienza delle imprese e la stabilità del mercato.

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