Casi di fallimento poco chiari: riflessioni accademiche, ma molto amare
— di Paolo Bambilla – Trendiest News —
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Esaminiamo con un certo disappunto alcuni casi di fallimento che si sarebbero potuti evitare, se solo la magistratura se ne fosse occupata. Un tempo c’era l’arresto per debiti, ora, in modo assai più crudele e definitivo, il “suicidio per debiti” che non deriva, secondo la mia opinione, dall’esistenza di debiti, ma dalla concreta possibilità che poi arrivi il fallimento, con le automatiche conseguenze penali.
Da imprenditore a imputato. Perché?
Il povero imprenditore che è indebitato, per fattori esterni, e non per la cattiva gestione dell’impresa, diventerà anche un imputato. Tutto ciò è intollerabile e non pochi pensano che fra poco il nostro Paese sarà diviso da due distinte realtà sociali: da un lato Il dipendente pubblico, che sebbene il suo datore di lavoro (Stato) meriti il “fallimento” continua a percepire il suo stipendio. E dall’altro il piccolo o medio imprenditore che sarà schiacciato, non per sua colpa, da debiti che per la crisi non potrà onorare.
Automatismi aberranti finalmente eliminati
L’imprenditore fallito era colpito da una sanzione sociale che talora lo portava al suicidio. Questa sanzione era di fatto trasfusa nel sistema sanzionatorio fallimentare perché laddove fosse intervenuta, a seguito del fallimento, una condanna per uno dei reati di bancarotta, era prevista la grave misura consistente nel divieto di esercitare una attività imprenditoriale per almeno dieci anni.
Per fortuna una recente sentenza della Corte Cost. (n.222/18) ha eliminato questo aberrante automatismo, ma è certo che comunque, il fallito, oltre alla condanna penale, sarà escluso dal mondo imprenditoriale, per un certo lasso di tempo, inferiore, per fortuna, al rigido termine decennale.
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Il costo sociale
Con il passare del tempo, le persone più avvedute hanno dovuto constatare che il fallimento, comporta, in primo luogo, la perdita di numerosi posti di lavoro con la conseguenza che, poi i consociati dovranno farsi carico di aiutare i dipendenti rimasti privi di occupazione. Quindi il costo sociale sarebbe stato, in concreto, assai maggiore del giudizio di disvalore che colpiva l’imprenditore fallito.
Vi era poi una ulteriore considerazione, di natura prettamente economica; una impresa, sia che produca beni oppure servizi, era diventata, nel tempo, una entità molto complessa che richiedeva competenza ed enormi sacrifici, per poter funzionare, realizzando, poi adeguati profitti.
La sua cessazione, per effetto del fallimento, sarebbe stata repentina ed avrebbe vanificato anni ed anni di lavoro ed enorme fatica, premiando, invece abili speculatori che sarebbero intervenuti acquistando a prezzi ridicoli, le entità economicamente apprezzabili dell’impresa fallita.
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La continuità aziendale
Da ciò la precisa scelta della legislazione in materia che ha inteso valorizzare, sotto un penetrante controllo giudiziario, la continuità aziendale, nel rispetto delle aspettative dei creditori e della economicità della gestione aziendale.
Quanto queste aspettative si siano concretamente avverate è un dilemma difficile da risolvere, perché una rapida e concisa panoramica di quanto è successo negli ultimi anni non convince affatto che siano rotti i ponti con quanto succedeva in passato.
Casi aberranti
Cosi, senza con questo offrire un quadro statistico ed analitico, dell’esito delle procedure di insolvenza apertesi in questi ultimi anni e della tutela effettiva del povero creditore, non possiamo dimenticare che nel Tribunale della capitale era stata posta in essere questa straordinaria procedura: se fosse stato presente un attivo patrimoniale, che tuttavia avrebbe dovuto avere una specifica destinazione, apparivano tardivamente creditori inesistenti che poi erano pagati consumando in toto l’attivo medesimo.
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Secondo caso
In una nota città di mare, un noto ed apprezzato cantiere navale per nautica da diporto, a causa della crisi che ha colpito il settore, ha proposto un “concordato di gruppo” che è stato accolto; questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello territorialmente competente, ma la Suprema Corte di Cassazione investita dal ricorso proposto da un creditore (Fisco) ha annullato la procedura, già in essere da tempo, rilevando che la legge allora in vigore, non prevedeva il concordato di gruppo. Di poi è intervenuta la nuova legislazione relativa alla procedura di insolvenza, che finalmente ha previsto anche il concordato di gruppo. Ma intanto un’azienda va a rotoli.
Terzo caso
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Il distretto pratese ha una storia di rilevo nell’imprenditoria legata alla produzione dei tessuti: da anni era operativo un gruppo industriale che faceva capo ad un imprenditore, che, purtroppo per lui, ha inteso gettarsi in politica, assumendo una posizione di rilievo in un gruppo di centrodestra. Il gruppo nel lontano 2010 è entrato in crisi finanziaria, perché un grosso credito vantato nei confronti di un imprenditore russo non veniva onorato.
Fu tentata con successo una procedura di concordato in continuità, l’affitto delle attività commerciali ad altri imprenditori che avrebbero dovuto pagare il cospicuo canone di affitto. Ovviamente il canone è stato pagato i primi tempi, ma poi niente. Vista la situazione determinatasi, non per colpa dell’imprenditore, costui si è determinato a richiedere il fallimento in proprio onde evitare un maggior danno alla massa.
Tutto nella normalità, almeno in apparenza, senonché dopo alcuni anni, e per iniziativa di soggetto diverso dagli organi della procedura, è stato scoperto che l’animatore del gruppo pratese, altro non era che un abile finanziere che era stato ospite, non pagante ovviamente, delle patrie galere per effetto di sentenze definitive per reati di bancarotta.
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E’ impensabile che queste “qualità” soggettive non fossero conoscibili da parte degli organi della procedura, sempreché avessero inteso svolgere con un minimo di diligenza il loro incarico.
La consultazione di una banca dati della P.G. è disagevole per un comune mortale, ma per un p.u., che dispone della collaborazione della diligente g.d.f, è una attività che richiede pochi secondi e la circostanza che non sia stata fatta, induce a pensieri davvero preoccupanti.
Ma non è finita.
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Si è prima riferito che il gruppo aveva un grosso credito in Russia (oltre 25 milioni di dollari) che aveva provocato la grave crisi finanziaria. Un comune mortale si sarebbe aspettato che prima o poi questo credito sarebbe stato pagato, almeno in parte.
Previsione assolutamente inesatta, perché, prima il Commissario del concordato e poi il Curatore del fallimento, niente hanno fatto di concreto per escutere o comunque tentare di farlo questo debitore insolvente, sebbene la Russia abbia organi giurisdizionali e uffici pubblici sicuramente più efficienti di quelli nazionali. Il tutto, ed intendiamo riferirci al mancato pagamento di questo credito, in un arco di tempo di quasi dieci anni. A quanto pare la giurisprudenza pratese tollera queste gravi anomalie e ciò desta ancora molta preoccupazione.
Forse le nostre sono solo considerazioni accademiche, come dicevamo all’inizio, ma il mondo reale subisce danni reali da queste incongruenze.
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