Una backdoor in alcuni smartphone cinesi permette raccolta e invio dati personali
Sono diversi i modelli di smartphone cinesi su cui è installata la backdoor. Google ne ha chiesto la rimozione da tutti i dispositivi Android.
Sono entrati in maniera dirompente nel mercato occidentale gli smartphone cinesi, o meglio gli smartphone che non solo sono fabbricati in Cina (anche se la compagnia committente è europea o americana), ma che sono prodotti proprio da aziende con sede legale in Cina.
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Gli smartphone d’estremo oriente stanno conquistando sempre di più gli utenti di tutto il mondo grazie a modelli di buona qualità, che spesso sanno tenere testa alle marche e ai modelli più blasonati, ma ad un prezzo decisamente inferiore, con in più la possibilità di inserire due SIM.
Talvolta alcuni modelli riescono addirittura a surclassare le punte di diamante di produttori considerati “teste di serie”, grazie anche a delle ROM innovative, che permettono di personalizzare l’ambiente Android in maniera molto più fluida e funzionale, unite ad un hardware equivalente a quello dei migliori dispositivi presenti sul mercato.
C’è però una cosa che in queste ore sta tenendo in apprensione molti possessori si smartphone cinesi.
I ricercatori di Kryptowire, infatti, avrebbero scoperto una “backdoor” nei firmware di alcuni smartphone cinesi Android, perlopiù low-cost, attraverso la quale verrebbero raccolti i dati personali degli utenti, anche sensibili, per poi essere inviati a dei server cinesi per finalità pubblicitarie e di mercato.
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Come agisce la backdoor?
Le informazioni a cui hanno accesso i server sono di varia natura.
Grazie alla backdoor vengono raccolti numeri di telefono, localizzazioni Gps, contatti, cronologie, dati di navigazione, dati delle app utilizzate e persino i codici IMEI e IMSI, che poi verrebbero trasmessi ai server.
Il tutto avverrebbe attraverso il servizio che gestisce gli aggiornamenti OTA.
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Questa backdoor, cioè la porta d’accesso dei server ai dati dello smartphone, sarebbe stata scritta da Shanghai AdUps Technologies, per scopi di marketing pubblicitario.
Gli utenti verrebbero identificati e categorizzati, a seconda delle caratteristiche e degli interessi.
I modelli di smartphone sui quali sono stati abilitati i privilegi di root, i rischi sarebbero ancora maggiori.
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Infatti, in questi casi potrebbero essere installati a distanza, all’insaputa del titolare dello smartphone, alcuni software non autorizzati, che normalmente non sarebbe possibile installare, in quanto il sistema operativo li avrebbe bloccati.
I dati verrebbero inviati ai server ogni 24 o 72 ore, in forma cifrata.
La scoperta della backdoor
La backdoor si troverebbe installata su circa 700 milioni di dispositivi che si connettono a Internet, principalmente smartphone, tablet.
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E’ stata scoperta su uno smartphone BLU R1 HD, negli Stati Uniti, uno dei telefonini low cost tra i più utilizzati oltreoceano, prodotto da un’azienda della Florida, la quale ha comunicato che i dispositivi interessati sono stati prontamente aggiornati, con l’eliminazione della backdoor.
La backdoor sarebbe stata sviluppata solo per il mercato cinese, ma non è chiaro il motivo per cui fosse presente anche nei dispositivi della BLU.
L’attenzione si è quindi spostata su tutti i dispositivi cinesi e il problema sarebbe stato riscontrato su diversi smartphone e tablet, tra i quali Huawei e ZTE.
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Ora Kryptowire ha riportato la questione al governo degli Stati Uniti, mentre Google, titolare del sistema operativo Android, avrebbe chiesto a Shanghai AdUps Technologies di rimuovere la backdoor dai dispositivi interessati.
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