Walter Tobagi quarant’anni dopo, dal mito all’uomo
- di Paolo Brambilla – direttore responsabile di Trendiest News –
Da Alessandro Galimberti, Presidente Ordine giornalisti Lombardia, ricevo questa mail, come tutti i giornalisti iscritti all’Ordine, in occasione dell’anniversario della morte di Walter Tobagi. Ma per me ha un significato particolare.
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Desidero aggiungere i miei commenti, perché nel bel ritratto che ne fa Alessandro Galimberti, non mi posso riconoscere perfettamente, e capirete subito il perché. Alterno i due punti di vista.
Alessandro. Non ho conosciuto Walter Tobagi per un semplice dato generazionale, né per lo stesso motivo ho potuto leggere i suoi articoli mentre venivano pubblicati.
Paolo. Al Liceo Parini sono stato compagno di classe di Walter Tobagi, con il quale mi era facile trovare punti di accordo e di simpatia umana, nonostante il fatto che già a 14 anni Walter fosse impegnato nel sociale e io invece passassi i miei weekend a sciare.
Alessandro.Il mio incontro con lui è avvenuto in due tappe. La prima, con il “mito” di Tobagi, risale a metà degli anni ‘90, incrociando i suoi autodichiarati eredi professionali, i suo malgrado autoimpalmati continuatori ideali e, va da sé, gli unici esegeti autorizzarti.
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Paolo. Anch’io posso dire di aver conosciuto Walter in due tappe, la prima al liceo, come ho detto, entrambi redattori del giornalino del Parini, la famosa Zanzara, che mi fruttò una sonora bocciatura in prima liceo per quello che vi scrivevamo (ricordate lo scandalo dell’articolo sull’educazione sessuale delle nostre compagne, ovviamente minorenni? Oggi roba da educande, se ancora qualcuno sa che cosa significhi il termine “educanda”). La seconda nel 1973, quando Walter, giovane giornalista appena arrivato al Corriere, che non avevo più avuto modo di frequentare durante i miei anni alla Bocconi, mi inviò sentiti auguri per il mio matrimonio (per me ne seguirono fra separazioni, annullamenti e divorzi altri due, ma lui ormai non c’era più. E un solo matrimonio faceva parte del suo stile di vita). Ma lui scriveva già al Corriere, io no, ci perdemmo ancora di vista.
Alessandro. Questa tappa mi aveva fuorviato. Dietro la cortina fumogena del narcisismo (altrui) c’era invece un uomo, uno studioso alla fine un collega diametralmente opposto al mito, il Walter Tobagi vero e non depredato. E’ stata allora, ed è ancora ogni giorno, la scoperta della linearità del bene (professionale), della altezza del cronista, della modernità del linguaggio e della grandezza della prospettiva di chi pone l’altro – e i suoi bisogni – davanti alle piume della propria penna.
Paolo. Proprio così, non cambierei una virgola di quanto ha scritto Alessandro Galimberti. Esser definito un mito? Walter non l’avrebbe mai desiderato. Non certo poi per via della sua fine, ma nemmeno per quello che avrebbe potuto fare in seguito, se avesse continuato a scrivere e a dedicarsi agli altri.
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Alessandro. Per questo la proposta di Fabio Cavalera, presidente dell’Awt, di coinvolgere le scuole lombarde di giornalismo e l’Ordine in una giornata di attualizzazione dell’uomo e del giornalista Tobagi, non poteva lasciare me né il Consiglio dell’Ordine indifferenti. Il risultato dei 44 elaborati partecipanti al concorso ha dato a tutti noi le risposte che avremmo desiderato. La lezione di Tobagi, che forse è più giusto definire il metodo di dedizione, studio e deontologia (merci rarissime oggi più di allora), è passata indenne dal processo di mitizzazione postumo. Oggi anche tramite il lavoro di questi giovani aspiranti professionisti sappiamo che la sua lezione non è andata perduta. Credo che a Walter Tobagi questo non possa dispiacere.
Paolo. Che cosa posso aggiungere? Nulla. Solo che dedizione, studio e deontologia sarebbero merci meno rare oggi, se lui fosse ancora tra noi.
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