Usare il pensiero per controllare le macchine
Le tecnologie, spesso etichettate come trasformative, sono “The next frontier” secondo The Economist. Le interfacce cervello-computer (BCI, brain-computer interfaces) forniscono la prova che il controllo della mente può funzionare. I ricercatori sono in grado di dire quali parole e immagini le persone hanno sentito e visto dall’attività neurale. Le informazioni possono anche essere codificate e utilizzate per stimolare il cervello. Oltre 300.000 persone hanno impianti cocleari, che li aiutano a sentire convertendo il suono in segnali elettrici e inviandoli nel cervello. Gli scienziati hanno “iniettato” dati nelle teste delle scimmie, istruendoli a compiere azioni tramite impulsi elettrici. L’abilità di decodificare il pensiero in questo modo può sembrare fantascienza.
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IL PARERE DELL’ECONOMIST
Come spiega lo speciale sulla tecnologia sull’ultimo numero di The Economist, il ritmo della ricerca sulle BCI e la portata delle sue applicazioni sono in aumento. Sia le forze armate americane, sia la Silicon Valley, stanno iniziando a concentrarsi su questi aspetti, per non parlare di Facebook che sogna la digitazione di testi col solo pensiero o alla startup Kernelha che ha 100 milioni di dollari da spendere per la neurotecnologia. Un’altra realtà chiamata Neuralink pensa che, se l’umanità vuole sopravvivere all’avvento dell’intelligenza artificiale, ha bisogno di un aggiornamento. Gli imprenditori immaginano un mondo in cui le persone possano comunicare telepaticamente, sia fra di loro, sia con le macchine, o acquisire capacità sovrumane, come l’ascolto a frequenze molto alte. Questi poteri, se mai si materializzeranno, saranno comunque possibili solo in un lontano futuro.
NUOVE APPLICAZIONI
Ma ben prima di allora le BCI possono aprire la porta a nuove straordinarie applicazioni. Immaginiamo di stimolare la corteccia visiva per aiutare un cieco, o di creare nuove connessioni neurali nelle vittime di ictus o monitorare il cervello alla ricerca di segni di depressione. Naturalmente gli scettici non sono d’accordo. Portare i BCI fuori dal laboratorio nella pratica clinica si è rivelato molto difficile. Trasformare l’implantologia innovativa in prodotti di largo consumo è ancora più difficile da immaginare. Il percorso è bloccato da tre ostacoli formidabili: tecnologico, scientifico e commerciale.
TRE OSTACOLI
Iniziamo con la tecnologia. Tecniche non invasive come un elettroencefalogramma agiscono nel raccogliere segnali cerebrali ad alta risoluzione attraverso strati intermedi di pelle, ossa, ecc. Alcuni progressi sono stati fatti in giochi di realtà virtuale o per controllare robot industriali usando il solo pensiero. Ma almeno per il momento le applicazioni più ambiziose richiedono impianti che possano interagire direttamente con i neuroni. E i dispositivi esistenti hanno molti svantaggi. Necessitano di fili che passano attraverso il cranio; provocano risposte immunitarie; comunicano con solo poche centinaia degli 85 miliardi di neuroni presenti nel cervello umano. Ma potrebbe presto cambiare. Aiutati dai progressi della miniaturizzazione e dalla maggiore potenza di calcolo si tende a realizzare impianti sicuri e wireless in grado di comunicare con centinaia di migliaia di neuroni. Alcuni di questi interpretano i segnali elettrici del cervello; altri potrebbero operare con la luce, il magnetismo e gli ultrasuoni.
Il secondo problema è che gli scienziati sanno poco su come funzioni esattamente il cervello, specialmente quando si tratta di funzioni complesse come la formazione della memoria. La ricerca è più avanzata negli animali, ma gli esperimenti sugli esseri umani sono difficili. Eppure, anche oggi, alcune parti del cervello, come la corteccia, sono meglio comprese. Né è sempre necessaria la conoscenza completa. L’apprendimento automatico può riconoscere i modelli di attività neurale; il cervello stesso acquisisce il controllo delle nuove tecnologie con straordinaria facilità. E la neurotecnologia svelerà sempre più i segreti del cervello.
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Il terzo ostacolo comprende gli ostacoli pratici alla commercializzazione. Richiede tempo, denaro ed esperienza ottenere l’approvazione dei dispositivi medici. E le applicazioni consumer decolleranno solo se eseguiranno una funzione che le persone troveranno utile. Alcune delle applicazioni per le interfacce cervello-computer non sono necessarie: un buon assistente vocale è un molto più semplice di un impianto cerebrale, salvo casi particolari, che non costituirebbero la maggioranza dei destinatari. Anche l’idea che i consumatori accettino di buon grado di farsi impiantare qualcosa nel cervello sembra inverosimile. Eppure le protesi cerebrali sono già un trattamento consolidato per alcune situazioni mediche. Circa 150.000 persone ricevono la stimolazione cerebrale profonda tramite elettrodi per aiutarle a controllare il morbo di Parkinson.
LE PREOCCUPAZIONI
La chirurgia può diventare una routine, come dimostrano le procedure laser nel caso dell’occhio. Entro pochi anni, tecnologie migliorate potrebbero aprire nuovi canali di comunicazione con il cervello. Ma a mano a mano che si realizzano aumenti delle capacità individuali, sia per scopi militari, sia tra i normali consumatori, sorgono una serie di preoccupazioni. La privacy anzitutto: un elemento estraneo nel cervello potrebbe eliminarla completamente. Quindi la sicurezza: se un cervello può essere raggiunto su internet, può anche essere violato. Infine l’aggravamento delle diseguaglianze sociali: l’accesso a capacità cognitive superumane potrebbe essere solo a disposizione di un’élite che si auto-perpetua.
L’ETICA
I filosofi dell’etica stanno già iniziando a cimentarsi con le questioni di identità e di comportamento che sorgono quando una macchina si trova nel circuito neurale. Queste domande non richiedono una risposta immediata, ma la storia insegna che è comunque meglio prevenire aspetti così delicati della personalità umana, perché le fantasie possono trasformarsi molto velocemente in realtà. La tecnologia cambia il modo in cui le persone vivono. “Sotto le ossa del nostro cranio giace la prossima frontiera” conclude The Economist.
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