Twitter teme perdita utenti per incapacità di tutelarli dagli insulti
Una confessione schietta che arriva da uno dei manager di maggior successo della Silicon Valley: quel Dick Costolo, amministratore delegato di Twitter, che Matteo Renzi volle andare a trovare in azienda a San Francisco, durante il suo viaggio americano dello scorso autunno: “Sulla protezione degli utenti dagli abusi in rete e dagli attacchi dei “troll” facciamo schifo. È una situazione che va avanti da anni. È assurdo e non c’è da cercare scuse. Mi prendo tutte le responsabilità: la colpa è solo mia. È imbarazzante, mi vergogno”.
Twitter, proprio come tutte le altre piattaforme di Internet, se la deve vedere con l’onda di messaggi violenti e odiosi, molto spesso anonimi, che colpisce senza pietà i personaggi più in vista: bersaglio “privilegiato” le donne blogger, soprattutto se difendono il femminismo.
Il ricorso a un linguaggio violento in rete è piuttosto comune. Le società che gestiscono le reti sociali e gli altri principali canali di comunicazione invitano gli utenti che si sentono offesi o minacciati a non rispondere e a comunicare gli abusi agli amministratori dei siti. Le loro contromisure, però, sono molto inefficaci.
L’onestà di Costolo è sicuramente da lodare, anche se la sua sortita è almeno in parte legata a esigenze di business e, probabilmente, non era stata concepita per arrivare al grande pubblico. Le sue parole sono tratte da una risposta scritta che l’imprenditore ha dato in un forum interno quando altri manager gli hanno chiesto se Twitter non stesse facendo troppo poco per combattere il cyberbullismo. “Perdiamo, uno dopo l’altro, moltissimi utenti” proprio per l’incapacità di tutelarli.
“Ora affronteremo seriamente la questione, prendendoci ognuno le sue responsabilità”. Fino ad ora i bulli digitali e i “troll”, cioè chi attacca in modo ossessivo qualcuno riempiendo le sue pagine online di crudeltà gratuite, sono stati combattuti senza troppa determinazione. Una calamità difficile da contrastare, anche perché chi si vede bloccare un account può crearne uno nuovo e ricominciare tutto come prima.
In particolare, i manager dell’azienda californiana si sono accorti di avere un nervo scoperto quando Lindy West, una blogger americana nota anche per gli attacchi feroci e continui che ha dovuto subire per anni, ha raccontato sul “Guardian” e su “This American Life” la sua via crucis: insulti e offese, come ad esempio “Sei grassa, non mi va nemmeno di stuprarti”. Lindy sa che gli attacchi si moltiplicano se usa argomenti femministi, se critica gli uomini, se parla di prevaricazioni sessuali.
Racconta: “Mi sono costruita, come hanno fatto tanti altri, un’armatura. Che mi protegge, sì, ma limita i movimenti”. Anche questa protezione, però, va in pezzi quando arriva un attacco totalmente imprevedibile e particolarmente perfido. Qualcuno riesce a impadronirsi di vecchie foto del padre di Lindy, appena morto, e crea un falso account di Twitter a suo nome nel quale il defunto Paul West si dichiara “il padre imbarazzato di un’idiota” e altre atrocità del genere.
Lindy, colta alla sprovvista dall’uso canagliesco della memoria del padre, viola tutte le regole e scrive pubblicamente al suo persecutore su Internet: “Mi hai ferito. E’ tremendo. Perché?”. Il giorno dopo l’inattesa risposta: “Ti attacco non per quello che scrivi ma perché la tua apparente felicità mi offende: mi fa sentire ancora più infelice di quello che sono”. Dopo due anni di silenzio, di recente un nuovo contatto. Un’apparente storia di redenzione: il “troll” ha cambiato vista. Per una redenzione, però, ci sono centinaia di “troll” che continuano a riversare rabbia, insulti e minacce sulle loro vittime.