A cura di Marco Rosichini –
Presso la sede della Planet Life Economy Foundation si è svolto il terzo appuntamento del ciclo di seminari promossi dall’Università degli Studi di Milano e dalla stessa PLEF per approfondire il rapporto tra imprese sostenibili e ricerca. Il focus tematico della conferenza ha preso in considerazione l’obiettivo 14 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ovvero come conservare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine. Tutti gli interventi dell’evento hanno tristemente avvalorato come le prospettive future della sostenibilità marina non siano idilliache. Sono tante le opportunità che sono andate perdute negli ultimi anni ed è difficile immaginare un cambio repentinamente drastico in funzione del 2030. Tuttavia, la speranza, come il motto popolare insegna, è l’ultima a morire.
La conferenza si è aperta con un intervento del professor Paolo Tremolada, professore associato di ecologia presso il Dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università Statale di Milano. Il professore, ricordando il ritardo nel raggiungimento dei traguardi posti dall’obiettivo 14, dopo aver percorso un’evoluzione storica dele varie conferenze programmatiche sul tema della sostenibilità ambientale, ha sottolineato come il mare, grandissimo serbatoio di biodiversità, viva la stessa crisi ambientale della terraferma. Esso, difatti, deve far fronte alla necessità di una sempre maggiore quantità di cibo che l’aumento elefantiaco della popolazione pone alla terraferma.
Terraferma e acque marine
Oltre al problema relativo alle interdipendenze con i cambiamenti della terraferma sono stati sottolineati anche altri problemi più specificatamente riguardanti le acque marine. In primis l’inquinamento delle acque con la plastica in tutte le sue forme (micro e meso plastiche). La plastica, a causa della presenza di vortici oceanici, ovvero di sistemi di correnti oceaniche in forma di un anello, viene racchiusa e trattenuta in aree immense posizionandosi quale significativa fonte d’inquinamento. In secondo luogo, il riscaldamento globale, causa dello sbilanciamento non solo termico ma anche energetico a livello globale, incide sulla tutela della biodiversità marina. I più evidenti effetti di questo sono l’aumento del livello dei mari (dovuto allo scioglimento dei ghiacci e all’aumento della temperatura termica); l’aumento dell’energia immagazzinata ed infine l’effetto sugli organismi in cui prevale, su tutti, lo sbiancamento delle barriere coralline, le quali possono essere in condizioni integre, parzialmente danneggiate e totalmente danneggiate. La causa principale di quest’ultimo fenomeno risiede nell’aumento della temperatura: se queste non tornano alla normalità entro 6/8 settimane i coralli corrono difatti il rischio di morire. Due ulteriori fenomeni come la sovrabbondanza di nitrati e fosfati nell’ ambiente acquatico (fenomeno verificatosi negli anni ’70 e ’80 nel Mar Adriatico a causa dell’eccesso di nutrienti portati dal Po) e l’acidificazione chiudono il cerchio dei problemi che attanagliano la tutela degli ecosistemi marini.
Pesca e cambiamenti dell’ecosistema
Il secondo intervento è stato quello della professoressa Michela Sugni, professore associato di zoologia presso l’Università Statale di Milano, la quale ha incentrato il suo intervento nell’illustrazione di un caso di studio del riccio di mare sostenibile e in una corpora dissertazione sul fenomeno della pesca in relazione ai cambiamenti dell’ecosistema. La pesca oggi è un fenomeno insostenibile. La sua produzione, in conseguenza di una evidente maggiore richiesta, è quadruplicata negli ultimi settant’anni, fino a raggiungere una relativa stabilità negli anni ’90, a fronte di un progressivo aumento della popolazione e della qualità della vita (e quindi della qualità dell’alimentazione). Tuttavia, nonostante l’apparente costanza nella produzione della pesca, sono aumentati in maniera costante gli stock ittici sovra sfruttati fino ad arrivare fino al 35,4 %. La professoressa ha ricordato altresì come solo l’1% di questi, considerati ormai esauriti dal punto di vista commerciale, mostrino timidi segnali di ripresa in seguito all’adozione di politiche di gestione responsabile. In ogni caso, al di là dello specifico problema della pesca intensiva relativo allo stock ittico, la sovra pesca causa una serie di problematiche globali/ collaterali. A tal proposito se ne possono menzionare due: da un lato il problema del fishing down; dall’altro il bycatch, ovvero lo scarto del pescato. L’incremento estremo dello sforzo della pesca, a fronte del medesimo stock, ha avuto inoltre anche un impatto socioeconomico rilevante nella misura in cui ha fatto sì che la resa economica dell’attività della pesca diminuisse.
L’acquacoltura
Un altro tema affrontato nel corso dell’intervento è stato il tema dell’acquacoltura. L’allevamento di organismi acquatici in ambienti confinati e controllati dall’uomo è un fenomeno in espansione a partire dagli anni ’90. A conferma della rilevanza del fenomeno è significativo il fatto che nel 2020 la produzione di pesce in acquacoltura sia stata di poco inferiore alla pesca tradizionalmente intesa e, secondo le stime, entro il 2030 l’acquacoltura produrrà più del 60% dei prodotti ittici. Emergono tuttavia delle problematiche anche in questo ambito in relazione al fatto che i mangimi dei pesci allevati sono fatti con farina di pesce che viene pescato e, relativamente al luogo dell’allevamento, c’è il rischio che nell’ambiente sottostante si formi una zona morta in cui la biodiversità è bassa proprio perché c’è un carico organico altissimo. In generale le prospettive future della pesca necessitano di un rafforzamento e miglioramento della regolamentazione della stessa, di una promozione dell’acquacoltura sostenibile attraverso l’implementazione della strategia “integrated multi-trophic aquaculture” e, più in generale, di un consumo responsabile dei prodotti ittici.
La Fondazione Acquario di Genova
Successivamente è intervenuto Antonio Di Natale, Segretario Generale della Fondazione Acquario di Genova. Questo, in primis, ha sottolineato il problema dell’attendibilità dei dati scientifici. Le ricerche, difatti, corrono il rischio di essere contraddistinte da “dati tossici”, nella misura in cui i ricercatori si lasciano condizionare da lobby portatrici di particolari interessi. Il tassonomista ha tenuto a precisare come questa non sia una pratica largamente diffusa. Tuttavia, è bene prestare attenzione ed essere consapevoli della presenza di queste distorsioni che, ai fini della validazione scientifica, non consentono una corretta interpretazione e quantificazione delle risorse relative ad un determinato fenomeno marino. Per tale motivo secondo Di Natale è necessario considerare quali fonti di massima attendibilità gli organismi regionali come l’Internazionale per la Conservazione dei Tonni dell’Atlantico. Si tratta di veri e propri “superstati “nei quali rientrano non solo gli Stati costieri, ma tutti coloro che hanno accesso a queste risorse, i quali, condividendo le informazioni circa la quantità di una determinata risorsa, hanno maggiori valori di attendibilità scientifica e politica. In secondo luogo, il campo delle attività delle risorse marine è stato permeato per molti anni dai biologi marini del Nord Atlantico, i quali, con il loro modello per specie, concettualmente opposto a quello dei biologi marini del Mediterraneo, inficiavano la veridicità della ricerca, concependo l’equilibrio del mare in maniera statica e non prendendo quindi in considerazione fattori dinamici. Ciò che deve essere cambiato oggi è il paradigma della gestione oceani attraverso una rinnovata capacità politica delle organizzazioni internazionali e l’implementazione di una dichiarazione universale diritti dell’oceano dove il mare diventi soggetto, e non oggetto, di diritto.
La Bolton Food
L’intervento di chiusura è stato quello di un addetto ai lavori, Luciano Pirovano, Sustainable Development Director della Bolton Food. La Bolton Food è un’azienda italiana, secondo player al mondo nel trattamento del tonno con il marchio Rio Mare, che si prefigge l’obiettivo, attraverso il motto “partnership is our leadership”, di essere l’azienda di tonno più sostenibile e responsabile per il mondo. Attiva in diverse aree, non solo riconducibili alla pesca sostenibile tout court, la Bolton è stata tra le fondatrici dell’International Seafood Sustainability Foundation, associazione nata con l’obiettivo di rendere sostenibili gli stock del tonno. I criteri che muovono l’azienda nel raggiungimento di una pesca sostenibile sono dettati dalla certificazione marine stewardship council la quale si basa su tre pilastri principali: popolazioni ittiche in salute, impatto della pesca ridotto al minimo (in modo da minimizzare l’impatto sugli animali marini e sull’ecosistema in generale) ed efficace gestione della pesca. L’ottenimento di questa certificazione avviene con il raggiungimento di un punteggio di 80 in ogni pilastro. L’azienda, inoltre, ha stabilito tre partnership al fine di presentarsi quale impresa che non cerca soltanto il profitto, ma che aderisce pienamente ai principi di sostenibilità ambientale. La prima stipula di accordo è avvenuta con Greenpeace, sancendo la divisione dell’approvvigionamento esattamente a metà: da un lato il metodo della pesca tradizionale (più selettivo e maggiormente coinvolgente delle popolazioni locali); dall’altro quello della pesca industriale (significativi in tal senso sono i FAD, “fish aggregating devices”). La seconda parternership è stata stabilita, a partire dal 2016, con il WWF sulla base di cinque aree di lavoro: 100% tonno da fisheries certificate MSC entro il 2024; advocacy per migliorare la sostenibilità e il management degli stock di tonno; protezione e tutela degli ecosistemi marini; completa trasparenza e tracciabilità per tutti i prodotti e lungo la filiera; comunicazione e educazione del consumatore finale tramite la campagna “Insieme per gli oceani”. Infine, l’azienda ha contribuito alla fondazione del Partenariato ON FOOD, composto da 26 membri ,espressione del mondo della ricerca e dell’impresa , nel quale verranno portate avanti tre aree di focus : esplorare il legame tra il consumo di pesce e la salute umana , valorizzare il pesce come risorsa e , in ultimo , fare advocay nel contesto regolatorio in cui l’azienda è inserita.
PLEF
Planet Life Economy Foundation ETS è una libera Associazione senza scopo di lucro che, dal 2003, si occupa di dare concretezza ai principi della Sostenibilità al fine di includerli nelle dinamiche gestionali dell’impresa (strategie, competitività, valore aggiunto, finanza, ecc.) facendo attenzione alle reali aspettative dei cittadini/consumatori (qualità di vita, emozione, piacere, soddisfazione). PLEF promuove la realizzazione di un nuovo modello economico e sociale (Renaissance Economy) che evolve l’attuale in via di degenerazione (Financial Capitalism) in grado di creare vero Valore (economico, sociale, ambientale, umano) e occupazione, superando le tesi contrapposte della Crescita o della Decrescita. Dal 2013 è membro del Consiglio Nazionale della Green Economy, struttura consultativa dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. Dal 2016 è membro dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile, nata per far crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile e per mobilitarla allo scopo di realizzare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.