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IL FILO NASCOSTO di Paul Thomas Anderson

  • REDAZIONE TRENDIEST
  • 28 Febbraio 2018
filo
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Recensione di Alessandra Basile


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28/02/2018


Recensione del film di P.T. Anderson con un assoluto Daniel Day Lewis alla sua ultima apparizione
.
Il vero titolo è ‘Phantom thread’ che, come spesso capita quando si passa alle traduzioni dalla lingua originale alla nostra, dà un’idea più corretta del senso del film: il filo di chi cuce e il fantasma che governa la sua vita, la madre. Non è nascosto quel filo ma un fantasma, non è una scelta il tessere in qualche recondito posticino della stoffa interna di una giacca o di uno splendido abito da donna un nome o una frase, un segreto, bensì una profonda necessità per non staccarsi mai nemmeno dopo anni dalla sua morte dal genitore che l’ha procreato. Il duro ed inflessibile Mr. Woodcock, che letteralmente significa beccaccia ossia un particolare tipo di volatile di una specie cacciabile che in Italia è noto come ‘la regina dei boschi’ per la sua maestosità e per la difficoltà di cattura, è invece un uomo contorto, turbato, in fondo debole, innamorato della sua arte: la moda. Reynolds, così di primo nome, è uno stilista di successo nella Gran Bretagna degli anni 50, come da sceneggiatura dello stesso Anderson, regista del film, mentre Alma, letteralmente anima, la sua anima probabilmente, è rozza nel corpo come nei movimenti, ben più giovane e apparentemente ingenua, o all’inizio lo è per davvero, ma in potenza dotata di forza e coraggio, forse perché non ha nulla da perdere e una vita ancora da vivere e perché viene ammaliata da quell’uomo maturo che tutto sembra sapere e che la guida, dandole ordini precisi, fin dal principio. E che la veste con abiti che la ragazza non si sarebbe mai potuta permettere. Insieme ai due nella casa sontuosa dello stilista vive la sorella di questi: il rapporto fra Cyril e Alma è cordiale ma distaccato. Poi le carte in tavola cambiano, i ruoli si invertono, un fine gioco psicologico quasi mortale crea l’arco della storia e soprattutto dei personaggi e chi partiva come il più debole finisce per farla da padrone

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Un autentico lavoro di sartoria fra le riprese del film.
Cinquanta abiti in meno di sei mesi creati con l’uso di stoffe pregiatissime e infiniti metri delle stesse, circa un centinaio per un solo vestito. E sarte vere, che negli anni cinquanta realmente erano impiegate come tali, qui interpreti di Nana e Biddy, presenti a latere nel film, accanto al protagonista. Ed il pizzo che nel film Reynolds definisce raro e di antica provenienza fiamminga è realmente fiammingo e datato 1700. Il costumista del film, Mark Bridges, racconta in un’intervista che la scena in cui quel merletto viene tagliato è stata fatta una sola volta con il cuore in gola poiché “there’s no going back”. Si dice che l’abito non faccia il monaco, ma si sa anche che non sempre è necessario partire da dentro per rendere il fuori, ossia un vestito racconta una storia, un’epoca, un personaggio, così come gli attori e il regista interpretano storie, epoche e personaggi con gli strumenti che si sono creati, dall’arte della ripresa a quella della personificazione. In vero ciò che regala la magia del cinema di alto livello, raffinato come in questo caso, è una coniugazione di vari elementi in armonia fra loro. E i costumi di scena sono qui tanto protagonisti quanto gli attori del film, in primis il superlativo Daniel Day Lewis che annuncia, con dolore e incredulità innanzitutto miei, di aver reso con Woodstock la sua ultima interpretazione.

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Quell’incastro diabolico che crea dipendenza.
Il vero fulcro di questo film, originale e delicato ma anche inquietante se lo si osserva meticolosamente e si lascia che ogni dettaglio di Woodstock, del suo modus vivendi, del suo rapporto con le donne della sua famiglia di origine, del suo sguardo impenetrabile e tormentato, del suo controllo maniacale sull’esterno e sugli altri in particolare, del suo abbigliamento e modo di esprimersi, di quel suo essere un muro davanti a piccole aperture di amicizia o cuore, è la mente umana. La complessità della stessa ma anche la facilità nell’assumerne il controllo una volta trovata la chiave magica per accedervi. Alma è seconda a Reynolds, ma, quando – in un momento di sbadataggine dell’uomo che come un bambino capriccioso e spaventato pretende dalla sorella il ritorno a uno status quo ante, caratterizzato dall’apparente tranquillità del rituale, come coloro che si rifugiano nelle abitudini quotidiane convinti che se non cambiano nulla tutto resterà invariato – vedrà il protagonista nella sua vera luce, prenderà il potere e lo userà, per sé e a suo modo per lui e renderà quest’ultimo felice. Difficile capire fino in fondo i due personaggi se non si è come loro, ma osservare quanto accade fin dal primo incontro è affascinante ed inquietante.

Il cast e le candidature.
Il film è candidato a ben 6 premi oscar fra cui miglior film, miglior regia e migliore attore e senza dubbio merita di vincere alcuni di questi anche se troverà dei concorrenti altrettanto validi in corsa per gli stessi premi, iniziando da ‘L’Ora più buia’ con un Gary Oldman eccellente e proseguendo con il potente ‘Tre manifesti a Ebbing, Missouri’ interpretato da un duo notevole, Frances McDormand e Sam Rockwell, nonché con il ‘nostro’ “Chiamami col tuo nome” il poetico film di Guadagnino. La verità è che in questa prossima notte degli oscar gareggeranno prodotti e personaggi cinematografici di livello altissimo, quasi da pensare a eventuali co-vincitori per il medesimo premio della stessa categoria. Chiunque vinca – e se posso avanzare un pronostico penso che il 2018 sia l’anno di Oldman, del film da lui interpretato e della Signora Coen – resta confermato il valore socio-culturale nonché sociologico di film quali ‘Il filo nascosto’ che fanno pensare, riflettere, anche sorridere ed empatizzare. Quando guardo un attore come il fascinoso Daniel Day Lewis all’opera resto ammirata dalla scientificità del suo lavoro sul dettaglio e dalla spontaneità come risultato finale non come partenza, bando all’improvvisazione. Il cinema è poesia ed è catarsi, è divertimento e esercizio mentale, è approfondimento e condivisione, è una Arte unica, come suo fratello il teatro, e va alimentato e promosso perché è un bene comune.


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