TFR mensile obbligatorio rischi e responsabilità per i datori di lavoro in caso di mancato versamento

La funzione e la disciplina del TFR
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Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) costituisce una quota di retribuzione differita che il lavoratore matura durante la prestazione lavorativa ma percepisce soltanto al termine del rapporto di lavoro. Questo istituto ha una natura specifica, mirata a garantire al dipendente un sostegno economico nel momento in cui perde la fonte abituale di reddito. La sua gestione e modalità di corresponsione sono rigorosamente disciplinate dall’articolo 2120 del Codice Civile, che ne regola con precisione i criteri di maturazione e liquidazione.
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La disciplina vigente prevede che il TFR venga liquidato integralmente solo al momento della cessazione del rapporto contrattuale. Qualsiasi anticipazione è ammessa esclusivamente in casi tassativamente previsti dalla legge, come le spese mediche straordinarie o l’acquisto della prima casa, o in presenza di clausole più favorevoli indicate nei contratti collettivi o accordi individuali. È fondamentale sottolineare che tali anticipazioni riguardano solo le somme effettivamente già maturate e non possono configurarsi come un pagamento frazionato e sistematico della quota di TFR all’interno della normale retribuzione mensile.
Questa regolamentazione stringente sottolinea la caratteristica fondamentale del TFR quale voce retributiva differita, la cui corresponsione periodica mensile non trova spazio né nelle previsioni legislative né nelle prassi consolidate di diritto del lavoro. La corretta gestione del TFR, pertanto, assume un ruolo cruciale non solo per la tutela del lavoratore ma anche per garantire la conformità normativa da parte del datore di lavoro.
Il chiarimento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sul pagamento mensile
Recentemente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha fornito una presa di posizione netta riguardo alla prassi diffusa di anticipare il TFR su base mensile, soprattutto nei rapporti di lavoro domestico. Attraverso la nota n. 616 del 3 aprile 2025, l’INL ha chiarito che tale modalità di pagamento è incompatibile con la normativa vigente, ribadendo la natura differita e unitaria del TFR.
Nonostante la tentazione di diluire l’obbligo di liquidazione a fine rapporto, l’Ispettorato sottolinea che il pagamento mensile della quota di TFR rischia di deformare la natura giuridica del trattamento, trasformandolo di fatto in una componente ordinaria della retribuzione. Questa condotta non solo viola l’articolo 2120 del Codice Civile ma entra in conflitto con una consolidata giurisprudenza, in particolare con l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 4670 del 2021.
L’assimilazione del TFR a una normale voce retributiva implica inoltre rilevanti conseguenze fiscali e contributive, determinando la perdita dei benefici fiscali e il venir meno dell’accantonamento obbligatorio e della rivalutazione annuale prevista dalla legge. L’INL invita in modo esplicito i datori di lavoro a cessare immediatamente questa prassi illegittima, disponendo il ripristino degli accantonamenti corretti.
Va evidenziato che il divieto riguarda tutte le tipologie di datori di lavoro, senza alcuna deroga, includendo in particolare il settore domestico. Pur comprendendo le esigenze pratiche di molte famiglie, la previsione normativa non concede eccezioni: eventuali anticipi del TFR sono consentiti esclusivamente nei casi espressamente previsti dalla legge o dai contratti collettivi, mai come un pagamento sistematico e mensile all’interno della busta paga.
Sanzioni e rischi per i datori di lavoro
L’inosservanza delle disposizioni riguardanti il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto comporta rischi significativi e conseguenze pesanti per i datori di lavoro. In primo luogo, l’adozione della prassi illegittima di corrispondere il TFR mensile espone il datore a contestazioni da parte degli organi ispettivi, con la possibilità di sanzioni amministrative che possono arrivare a pesanti ammende pecuniarie.
All’atto di un controllo, infatti, gli ispettori sono tenuti a individuare e far cessare immediatamente questa condotta, imponendo al datore di lavoro il ripristino degli accantonamenti corretti a favore del lavoratore. Questo comporta spesso un aggravio economico non solo per la difformità cumulata nel tempo, ma anche per le rivalutazioni maturate e non versate regolarmente, con un effetto retroattivo.
Inoltre, in caso di controversie giudiziarie, il datore rischia che le somme erogate mensilmente, di fatto assimilate a retribuzione ordinaria, vengano considerate indebitamente pagate a saldo del TFR. Ciò può tradursi nell’obbligo di corrispondere ulteriori importi una volta cessato il rapporto di lavoro, oltre al pagamento delle differenze contributive e fiscali non versate correttamente durante il periodo di lavoro.
Va anche sottolineato che la modificazione della natura giuridica del TFR, da trattamento differito a componente ordinaria della retribuzione, genera implicazioni fiscali rilevanti: il datore potrebbe trovarsi a dover rispondere di una maggiore base imponibile, con conseguenti recuperi d’imposta e possibili accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Uno degli aspetti più delicati riguarda, infine, la responsabilità personale dei datori di lavoro e dei soggetti preposti alla gestione del personale, che possono essere chiamati a rispondere per danni patrimoniali causati al lavoratore in caso di mancato accantonamento regolare del TFR. Questo profilo rende imprescindibile per i datori di lavoro adottare prassi conformi alla normativa, evitando scorciatoie che potrebbero compromettere la regolarità del rapporto di lavoro e il proprio patrimonio.
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