Sulle evoluzioni dei social media.
Negli ultimi tempi si è parlato sempre più spesso delle evoluzioni dei social media e di come stiano cambiando, vengano acquisiti o si adattino a modelli precedenti.
E’ passato qualche tempo da quando Facebook ha acquisito Instagram e Twitter sembra aver cambiato idea sui 10.000 caratteri (e per fortuna, verrebbe da dire), ma i social non si fermano mai.
In linea teorica, almeno, sono lo spazio del “tutto e subito“, della condivisione immediata, della notizia senza filtri. Vivono nella contemporaneità e si trasformano a loro volta con continuità. I cambiamenti, tuttavia, non sempre indicano un miglioramento dei servizi o dell’usabilità.
Abbiamo già parlato dell’introduzione delle reactions di Facebook (trovate l’articolo qui) e di come queste potrebbero migliorare il giornalismo, anche se non sembrano essere state accolte con grande entusiasmo (quante reactions vedete nel vostro stream? e quanti like?).
Allo stesso tempo il social advertising dilaga sulle più diverse piattaforme e non c’è più un social media all’interno del quale non arrivi la pubblicità, a dimostrazione che le sfere private sono sempre più fonti inesauribili di spazi vendibili e comprabili dai brand.
Sembrano lontani i tempi in cui i social media facevano presagire un futuro roseo dell’informazione, dell’advertising e della comunicazione. A maggior ragione, quest’aura di dubbio si insinua ancora più forte nel momento in cui i social dimostrano di andare sempre più verso un’omologazione di tecniche, pratiche e funzionalità.
Due settimane fa, Mark Zuckerberg faceva capolino sul mio streaming di Facebook mostrandosi mentre usava filtri molto simili ai Lenses di Snapchat.
Al contempo, Instagram si rimodella sulle dinamiche di gratificazione del social ego e fa in modo che i like siano visibili subito in forma di numero anziché soltanto dall’11° like in poi. Qual è la differenza fra visualizzare “5 like” e quella di vedere cinque nomi uno dietro l’altro?
Principalmente una: il proprio social ego si nutre più facilmente se il numero di like sotto la foto è intuibile. L’informazione non cambia ma cambia il modo di percepirla. Non si pensa più che la propria foto non sia piaciuta ma “Wow, 5 like. Aspetta, ne carico un’altra”.
Quello che si percepisce è la voglia di alcuni social di accontentare l’utente, di dargli quello che vuole purché rimanga all’interno del network. Allo stesso scopo, sembra che tutti questi media (o quasi) cerchino di rubare agli altri le funzionalità che li caratterizzano e li fanno funzionare di più pur di riuscire a trattenere utenti.
La snaturalizzazione e l’omologazione degli ambienti sarà la mossa giusta in una dimensione in cui il pubblico si identifica sempre più con nicchie di mercato e non con bisogni di massa?
Se tutti i social media si evolvono verso l’omologazione, quale sarà il punto di continuare a usarne diversi?
E se uno dovesse vincere sugli altri, quali potenzialità democratiche e di innovazione potrebbero ancora svilupparsi?
Think Different sembra essere sempre più un claim e sempre meno l’inizio di una rivoluzione.