Steampunk league l’odissea di un team di sviluppatori italiani
Steampunk league è un videogioco prodotto da DiXidiasoft, un team indipendente italiano.
In questa intervista cercheremo di far vedere l’altra faccia della medaglia ovvero tutto
quello che i nostri ragazzi stanno affrontando per riuscire a portare a termine il progetto.
Come è iniziata la vostra avventura?
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The Steampunk League nasce da un’idea molto umile: creare un platform per per iOS con
protagonista Nikola Tesla, il genio più (in)discusso della nostra storia, in un universo
steampunk alternativo: niente di estremamente complesso o ambizioso, insomma.
Poi ci è venuta l’idea di ampliare il concept: e così dentro al gioco ci sono finiti H. P.
Lovecraft, E. A. Poe e Ada Lovelace.
Abbiamo poi deciso che potevamo puntare a creare un gioco per pc e consolle e ci siamo
mossi verso la direzione di classici action game come Crash Bandicot, Soul River e Tomb
Raider. La storia segue le vicende della Lega alla ricerca di Edison e dell’invenzione rubata a Tesla.
I nostri eroi si cimenteranno nell’affrontare gli scagnozzi dell’imprenditore americano
facendo il giro delle capitali dell’epoca New York, Londra, Parigi e Mosca.
Veniamo ad un argomento scottante: i budget. Dove avete trovato i soldi?
Siamo partiti con quelle poche risorse che avevamo in tasca e abbiamo cercato fortuna nel
bando regionale per imprese innovative, il “Fare Impresa 2”. Era novembre 2012. A giugno
2013 abbiamo finalmente le prime graduatorie con una lista di imprese finanziabili e altre
già finanziate: tra i primi figurava la nostra startup. Tuttavia non siamo rientrati nel primo
giro di finanziamento, e ci è stato detto che saremmo stati finanziati non appena i
finanziamenti europei fossero tornati.
E dopo quanto tempo vi sono arrivati i fondi?
Bella domanda: li stiamo ancora aspettando…
Immagino siate andati alla ricerca di altre soluzioni.
Ci siamo messi in contatto con investitori, ma purtroppo non siamo stati molto fortunati.
L’argomento non è ben compreso, tanto che ci siamo anche sentiti dire “Ma fare
videogiochi è un lavoro?”
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Mi pare di intuire che il problema sia generalizzato: non si tratta del vostro
progetto ma dell’intero settore. Perché in Italia non si investe nella
produzione di videogiochi?
Non siamo i primi a dire che, per quanto riguarda il settore gaming, vi è un grande
bisogno di “formare” gli investitori italiani, specialmente quando si parla di giochi che non
rientrano in ambito social o mobile!
Senza voler tirare in ballo giganti come GTA V – costo: 256 milioni, incasso del primo
giorno: 817 milioni – ci sono anche successi nella scena indipendente: Dungeon Defenders
e FEZ , ciascuno dei quali ha realizzato oltre un milione di copie vendute nell’arco di
qualche anno.
Insomma: le possibilità ci sono, bisogna saper analizzare gli scenari.
Parliamo un po’ della situazione in generale: com’è la scena di produzione
videoludica italiana?
Per quanto riguarda la nostra esperienza, possiamo dire che stiamo assistendo ad un
graduale sviluppo di una piccola industria videoludica. Due anni fa quando ci affacciavamo
al nostro primo Svilupparty di Bologna e le cose erano molto diverse: molti progetti
amatoriali e poche produzioni di un certo rilievo.
Da allora le carte in tavola sono cambiate completamente.
Grazie soprattutto all’attenzione verso il mercato indipendente, piccoli team si sono
formati: alcuni hanno portato a termine la loro impresa e altri sono riusciti a creare piccoli
capolavori. Col passare del tempo vediamo produzioni sempre più interessanti sia ad eventi locali che
a quelli internazionali: abbiamo partecipato al GameCity in Inghilterra e c’erano molti
progetti di rilievo.
Per questo motivo siamo molto fiduciosi nella community di sviluppo italiana e nel talento
di chi ne fa parte! La nostra rivoluzione sta arrivando!
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Cosa servirebbe per un’evolversi della situazione? Ad esempio: potrebbe
essere una strada quella di fare sistema per diventare interessanti fonte di
outsourcing per i grossi studios esteri? Blizzard e Ubisoft, hanno investito in
Ukraina, in Spagna Konami ha prodotto l’ultimo reboot di Castlevania, cosa
serve all’Italia per diventare interessante?
Secondo il nostro personalissimo punto di vista questo potrebbe essere uno step molto
avanzato rispetto a quello nel quale ci troviamo adesso. Mi spiego: nonostante la piccola
“rivoluzione” in atto, ciò che manca di più in Italia è la formazione specifica per il settore.
Basta anche una piccola esperienza come la nostra per notare che di game developers
”formati” ce ne sono pochi: spesso vengono dalle poche “scuole” in Italia, ma il resto degli
sviluppatori sono autodidatta. Ci sono tanti programmatori che partono scoraggiati perché
non hanno quelle nozioni basilari come per esempio saper programmare la telecamera.
Gli artisti 3d provengono dal mondo della pubblicità e non sono abituati a modellare
usando pochi poligoni.
Prima si crea l’ecosistema, poi si lavora sulla formazione e solo dopo questi due passi si
potrà pensare di poter diventare fonte di outsourcing.
(Trovate Helder Monaco su Google+, Twitter e Web)
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