Spyware Pegasus e Nso israeliana multata per hackeraggio di account WhatsApp di politici e giornalisti

La denuncia e il processo contro Nso Group
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La vicenda legale che ha coinvolto la società israeliana Nso Group, pioniera dello spyware Pegasus, rappresenta un punto di svolta nel contrasto agli abusi digitali su scala globale. Il procedimento nasce nel maggio 2019 quando gli ingegneri di WhatsApp individuano una vulnerabilità critica sfruttata per penetrare illegalmente negli account degli utenti senza alcuna interazione diretta da parte loro. Questo attacco ha innescato un’indagine approfondita, coadiuvata dal Citizen Lab dell’Università di Toronto, che ha permesso di identificare un ampio spettro di vittime, principalmente figure politiche, giornalisti e attivisti, sorvegliate abusivamente da governi autoritari.
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Il caso ha rapidamente assunto rilievo internazionale, non solo per la natura sofisticata della minaccia, ma anche per il significato simbolico: persone sottoposte a spionaggio digitale non per reati, ma per il loro ruolo nella difesa dei diritti umani e della libertà di informazione. A fronte di questi dati, WhatsApp ha intrapreso un’azione legale senza precedenti contro Nso Group, una mossa che ha rappresentato un chiaro messaggio contro la commercializzazione e l’uso indiscriminato di tecnologie di sorveglianza invasive, segnando una svolta nel panorama della responsabilità digitale a livello privato e istituzionale.
L’utilizzo dello spyware Pegasus per violare account WhatsApp
Lo spyware Pegasus ha rappresentato uno degli strumenti di sorveglianza digitale più pericolosi e invasivi mai sviluppati. Utilizzando una vulnerabilità nella funzione di videochiamata di WhatsApp, gli operatori di Nso Group riuscivano a infettare i dispositivi delle vittime senza che queste dovessero compiere alcuna azione, limitandosi a ricevere una chiamata malevola da un account WhatsApp creato appositamente per l’attacco. Questa modalità di infezione “zero-click” ha reso Pegasus particolarmente insidioso, permettendo agli attaccanti di ottenere l’accesso completo a smartphone e dati sensibili.
Una volta installato, Pegasus consentiva non solo la lettura integrale delle comunicazioni, inclusi messaggi, email e registri telefonici, ma anche il controllo remoto di microfono e fotocamera, trasformando i dispositivi in strumenti di sorveglianza attiva in tempo reale. Le vittime spaziavano da politici e giornalisti a attivisti per i diritti umani, soggetti che svolgono funzioni fondamentali per la società civile ma che sono stati illegittimamente monitorati da governi autoritari, con gravi ripercussioni sulla privacy e la libertà personale.
Questa tipologia di attacco ha evidenziato come le tecnologie di cyberspionaggio siano ormai accessibili non solo a stati nazionali, ma a enti privati con finalità spesso illecite. Il caso Pegasus ha fatto emergere la pericolosa tendenza all’abuso di strumenti potenti, capaci di minare la sicurezza digitale globale, e ha sollevato un allarme crescente sulle implicazioni etiche e legali legate allo sviluppo e alla diffusione di spyware così sofisticati.
La sentenza e le conseguenze per Nso e la privacy digitale
La sentenza emessa dal tribunale federale statunitense nei confronti di Nso Group segna una svolta senza precedenti nel quadro normativo internazionale che riguarda l’uso e la commercializzazione di spyware. Con una condanna pari a 167,25 milioni di dollari oltre a ulteriori risarcimenti, il giudice ha imposto una severa sanzione economica alla società israeliana, riconoscendo in modo inequivocabile la responsabilità di Nso per aver facilitato l’accesso illecito a oltre 1.400 account WhatsApp. Si tratta di un precedente giudiziario fondamentale che valorizza il diritto alla privacy e rafforza la tutela degli utenti digitali contro le minacce cibernetiche provenienti da software di sorveglianza sofisticati.
Meta, la società madre di WhatsApp, ha inoltre annunciato l’intenzione di proseguire la battaglia legale affinché venga impedito definitivamente a Nso di orientare i suoi strumenti verso la piattaforma. L’azienda si impegna a sostenere economicamente le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti digitali, favorendo così la denuncia pubblica degli abusi perpetrati con spyware. Da un punto di vista operativo, Meta ha promesso una piena trasparenza rendendo pubbliche le deposizioni e le testimonianze raccolte durante il processo, facilitando il lavoro di giornalisti e ricercatori nell’analisi critica delle modalità di impiego di Pegasus a livello globale.
Le implicazioni di questa sentenza vanno oltre la semplice condanna economica, perché inseriscono un parametro di responsabilità per le realtà che producono e commercializzano tecnologie di cyberspionaggio. È un segnale significativo per governi, imprese tecnologiche e utenti, che pone al centro la necessità di un controllo più rigoroso e di una regolamentazione efficace. L’esito giudiziario evidenzia come la combinazione tra innovazione digitale e tutela dei diritti umani debba seguire binari rigorosamente etici, al fine di prevenire abusi e violazioni sistematiche della vita privata e delle libertà fondamentali.
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