Intervista a Sofia Manvati a cura di Cécile Prakken —
Sofia ha scelto di dedicare la sua vita alla musica e di parlare “il linguaggio dell’infinito” (così George Sand descrive nella “Histoire de ma vie”, pubblicata nel 1855) attraverso il suo strumento, il violino. Ho incontrato Sofia Manvati a Como dopo uno dei suoi concerti.
Perché hai scelto di studiare il violino e come è stato il tuo percorso didattico?
Ho iniziato a suonare il violino all’età di 6 anni. Nonostante i miei genitori non si occupassero di musica hanno sempre avuto una grande passione ed una finissima sensibilità musicale, per cui ascoltavano spesso musica di svariati generi. Hanno cresciuto me e mia sorella in un’atmosfera artistica molto stimolante, facendoci sviluppare così sempre più interesse per l’arte e per la bellezza e in questa molta parte era dedicata alla musica, che faceva da sfondo al nostro vivere quotidiano.
I miei genitori lavorano infatti nel campo del restauro di opere d’arte e di monumenti artistici, così fin da subito sono stata circondata da dipinti, affreschi, sculture e libri. Proprio grazie a questo probabilmente si deve anche il mio interesse per il disegno e la pittura in generale.
La mia passione per il violino è nata nell’esatto momento in cui ho sentito per la prima volta questo strumento suonato dal vivo da un bambino durante un saggio scolastico; in quell’istante mi sono proprio alzata in piedi indicando lo strumento come se fosse una cosa che desideravo tantissimo e lo espressi anche verbalmente.
La mia prima esperienza da studente tuttavia non si può definire delle migliori: ero una bambina molto vivace e inizialmente facevo molta fatica a studiare. Nonostante ciò ho sempre continuato, soprattutto grazie al supporto della mia famiglia, che non ha mai smesso di credere in me. Per una serie di coincidenze ho conosciuto poi Mariana Sirbu, fantastica violinista e camerista, dalla quale ho imparato moltissimo: mi ha trasmesso una profonda conoscenza della distribuzione dell’arco, l’uso del vibrato intelligente e non ultimo lo stile, oltre ad avermi insegnato a studiare con rigore e disciplina. Gliene sarò sempre grata.
Dopodiché, per mia grande gioia, sono stata scelta come studente da Salvatore Accardo all’Accademia Stauffer di Cremona e al Conservatorio di Cremona con Laura Gorna. Anche qui ho imparato moltissimo: dall’importanza della musica da camera allo studio della partitura, dal rispetto per il prossimo all’umiltà verso il compositore, senza mai anteporre sé stessi e il proprio ego. Subito dopo il liceo sono andata a vivere a Cremona; una città dove si respira costantemente aria di musica. Ho avuto anche l’occasione di suonare gli strumenti storici del Museo del Violino, in particolare gli Stradivari, esibendomi nell’ambito delle Audizioni presso l’Auditorium Giovanni Arvedi, ossia una delle sale con l’acustica più incredibile in cui abbia mai avuto occasione di suonare. A Cremona ho conseguito la laurea di primo e secondo livello, per poi trasferirmi a Bruxelles, dove ho portato a termine un secondo Master, perfezionandomi sotto la guida del violinista Philippe Graffin. Qui ho avuto modo di approfondire il repertorio franco-belga del 1900, in particolar modo le sonate di E. Ysaye per violino solo, opere che amo molto.
Attualmente studio all’Università di Vienna (Musik und Kunst Privatuniversität Wien) dove sono stata ammessa nella classe del Maestro Pavel Vernikov.
Repertorio violinistico:C’è un compositore o un genere o un periodo particolare che prende un posto centrale nella tua vita musicale? Ci sono dei brani che sicuramente vuoi studiare, ma aspetti il momento giusto e magari che tu sia più matura? Penso che Paganini sia il maggior maestro – compositore per i violinisti. Che cosa ti dà la sua musica?
Il repertorio violinistico è veramente vastissimo. Come violinista posso affermare di essere sempre stata un po’ controcorrente per quanto riguarda la scelta del repertorio: ho sempre prediletto opere meno suonate, come per esempio l’integrale di I. Stravinsky per violino e pianoforte, le sonate di G. Enescu e i concerti di Szymanowsky, non tralasciando mai ovviamente i grandi capisaldi della letteratura violinistica.
Penso che non ci sia un momento o un’età esatta in cui cominciare un determinato pezzo; molte persone affermano che, ad esempio, il concerto di L. V. Beethoven per violino e orchestra necessiti di molti anni di esperienza sulle spalle prima di poterlo anche solo cominciare, ma io sono fermamente convinta che brani del genere possono crescere e maturare con noi e con le nostre esperienze di vita.
La musica di Paganini ha sempre avuto un impatto significativo per me poiché, avendo avuto la fortuna di poter studiare con Salvatore Accardo, ho potuto approfondire molto la sua scrittura. Posso affermare che, nonostante io abbia le mani molto piccole, e questo non è di aiuto nella partitura paganiniana, ho sempre cercato di trovare delle soluzioni anche personali per poterlo suonare e renderlo musicale e lirico. Oltre a questo mi appassiona anche molto l’aspetto atletico e virtuosistico e trovo molto utile studiarlo tutti i giorni come se fosse una vera sessione di palestra.
Come è il tuo rapporto con il tuo violino? Che strumento è? Quali caratteristiche ha? Quale è secondo te il tuo punto forte come violinista?
Il mio strumento è parte integrante del mio quotidiano, posso dire di avere un rapporto quasi simbiotico con esso. Per questo motivo quando, raramente, mi capita di viaggiare senza la custodia, sento che mi manca qualcosa.
Il mio violino è uno strumento moderno del 2015, un modello Amati, costruito dal liutaio di Lipsia Jurgen Manthey. Mi ha colpito da subito la qualità del timbro di questo violino, caratteristica che prediligo rispetto all’estrema potenza sonora. Non mi è mai piaciuto parlare tanto di me stessa, ho sempre riscontrato particolare difficoltà del descrivere le mie qualità, poiché tendo a sminuirle. Ma, basandomi su quello che mi è stato detto in diverse occasioni e su come sono stata descritta da più persone, posso dire che i miei punti forti sono il suono e la tendenza a cercare idee musicali originali pur nel rispetto della partitura e delle indicazioni del compositore.
Che rapporto hai con i concorsi violinistici? Si può giudicare un artista con un’arte così soggettiva come la musica?
Trovo che il concetto di concorso musicale sia quanto di più lontano si possa immaginare dal concetto di musica. Dopo svariate esperienze e conversazioni con i miei colleghi posso affermare che al giorno d’oggi i concorsi sono una vera e propria lotteria, basata anche su interessi, scambi di favori oltre ad una importante quota di fortuna; è sempre più raro trovare un concorso che possa definirsi “serio” e in pochi riescono a parlarne apertamente. Ci sono sempre più musicisti bravi, il livello tecnico è molto alto e la competitività alle stelle, questo ha fatto sì che anche il numero di concorsi sia in netto aumento. Inoltre è importante sottolineare l’avvento della digitalizzazione e l’obbligo della preselezione online, causata dal grandissimo numero di domande appunto, che ha comportato, in mia opinione, ad una progressiva spersonalizzazione e disumanizzazione della performance in cui tutto deve essere perfetto e inattaccabile.
Sono una grandissima sostenitrice della pulizia tecnica, ma unita a questa credo che sia fondamentale tenere come priorità una accesa ricerca artistica e sviluppare un proprio linguaggio musicale. Nonostante questa premessa, credo anche che fare concorsi possa essere una via per ottenere una carriera e farsi ascoltare da altri musicisti. Nel mio caso sono arrivata alla conclusione che i concorsi possono essere utilizzati come banco di prova, per conoscere i propri limiti, ampliare il repertorio e consolidare i propri punti di forza.
Suoni in duo – Duo Rodin – con Giorgio Lazzari, con il quale hai anche una relazione personale. Come è lavorare insieme con una persona che è anche partner di vita?
Durante la pandemia del 2020 ho conosciuto Giorgio Lazzari, mio attuale partner musicale e partner di vita, con il quale ho avuto l’occasione di crescere, sia musicalmente che personalmente. Insieme abbiamo ampliato e approfondito il repertorio cameristico per violino e pianoforte, formazione che, a nostro avviso, è un po’ sottovalutata. Lavorare insieme per me è fonte di grande ispirazione e posso dire che, anche in momenti di difficoltà, possiamo contare l’uno sull’altro ispirandoci a migliorare sempre di più e a crescere insieme come individui.
Quale sono i tuoi progetti futuri? Hai dei sogni nel cassetto?
In una società sempre più complessa, in cui tutto sembra scorrere velocissimo, penso che la musica sia quell’arte in grado di rallentare il tempo e di ricamare sopra di esso bellezza e sentimenti. Per fare musica ci vuole molta disciplina, ma bisogna anche essere in grado di vivere bene, mettendo salute fisica e mentale al primo posto, poiché può essere un lavoro estremamente stressante, sotto diversi punti di vista. Con l’avvento dei social ci ritroviamo costantemente messi a confronto con le vite e i successi degli altri e questo può causare molta insoddisfazione personale e paura di non riuscire a raggiungere i propri sogni “in tempo”. Infatti questa costante sensazione di essere in ritardo pervade tutta la mia generazione e quelle successive. La chiave penso stia proprio nel pensare che tutte le vite sono diverse, se una persona arriva al suo obiettivo in un modo, non significa che per un’altra persona debba essere uguale. Ognuno ha il proprio percorso, per alcuni è più facile, per altri più difficile; ma se si ama tantissimo qualcosa, in un modo o nel altro, più in fretta o più lentamente, la si può raggiungere.
Al momento ho tanti progetti per il futuro, uno fra questi coinvolge la musica contemporanea: sto avendo il privilegio di collaborare con un compositore che stimo moltissimo, Pietro Dossena, col quale stiamo lavorando ad una performance che includa sì l’aspetto musicale ma anche l’aspetto tecnologico, grafico e performativo. Inoltre io e Giorgio Lazzari cerchiamo di espandere il più possibile il repertorio per violino e pianoforte, accostando opere meno conosciute ai capisaldi della letteratura cameristica. Insieme vorremmo proporre anche diverse integrali: a partire dall’integrale delle sonate di Brahms, a quelle delle tre sonate di Schumann, finendo con l’integrale per violino e pianoforte di I. Stravinsky. Infine, a fianco di questi, proporre al pubblico anche recital per violino solo, accostando brani di autori contemporanei a Bach e alle sonate di E. Ysaye.
Oltre a questo mi piacerebbe anche approfondire e studiare la pittura e il disegno, altra disciplina che amo moltissimo. Penso infine che la musica vada oltre tutte le categorie… un musicista al giorno d’oggi ha l’opportunità di cimentarsi in molte più cose: la musica per strumento solo, la musica da camera, la musica sinfonica e molto altro ed è per questo motivo mi piacerebbe provare quante più esperienze possibili nel mio futuro.
Secondo te come si potrebbe maggiormente coinvolgere i giovani ai concerti di musica classica? Secondo te, con il progresso tecnologico, potrebbe cambiare il ruolo del musicista?
Secondo me, il primo passo per avvicinare i giovani alla musica classica, è quello di non far credere loro che non possano capirla, ad esempio partendo dalla scelta dei programmi: penso che scegliere appositamente dei programmi di “facile ascolto” per avvicinare un pubblico giovane non sia la soluzione. Potrebbe essere invece più costruttivo trovare dei temi e dei fili conduttori che interessino i giovani direttamente, per poi esprimerli attraverso la musica. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di utilizzare la tecnologia all’interno della performance in maniera innovativa e attiva… e questo è sicuramente uno degli scopi del progetto a cui sto lavorando con Pietro Dossena. La tecnologia, se usata con intelligenza, può arricchire la performance senza prendere il sopravvento.
Ringrazio di cuore Sofia Manvati.
Foto: @Tony Hassler
Cécile Prakken, Novembre 2024