Museo d’arte e cultura Sufi: un’esperienza interattiva
Il Musée d’Art et de Culture Soufis MTO offre un’esperienza interattiva che coinvolge i visitatori in un viaggio attraverso la cultura e la spiritualità Sufi. Ogni angolo del museo è pensato per facilitare una connessione profonda con i temi esposti, invitando i partecipanti a esplorare non solo le opere d’arte, ma anche il significato che queste racchiudono. Attraverso postazioni multimediali, è possibile scoprire le origini e i valori spirituali del Sufismo, immergendosi in un contesto che promuove la riflessione e la meditazione.
La disposizione delle opere consente una fruizione dinamica: ogni visitatore diventa parte attiva della scoperta, interagendo con installazioni e opere d’arte che riflettono l’essenza del Sufismo e invitano a una profonda introspezione. Ascoltando l’ologramma di Hazrat Shah Maghsoud o semplicemente osservando le geometrie e i colori delle opere esposte, si può percepire l’importanza di questo cammino spirituale.
Il museo non è solo un luogo di esposizione, ma un vero e proprio spazio di confronto interculturale, visto anche l’impegno del Maktab Tarighat Oveyssi Shahmaghsoudi nel condividere i principi di unità e armonia tra i popoli. Questa volta, Parigi abbraccia l’arte e la cultura Sufi con una struttura che stimola il dialogo, il rispetto e la comprensione delle diversità. La visita al Musée d’Art et de Culture Soufis MTO si traduce dunque in un’esperienza che arricchisce non solo la mente ma anche l’anima di chi vi accede.
Cos’è il Sufismo
MACS MTO: dove la cultura Sufi incontra l’arte contemporanea
A inaugurare il museo, una mostra distribuita sui tre piani espositivi e intitolata Un Ciel intérieur: i manufatti Sufi della collezione permanente dialogano con le opere di sette artisti contemporanei, differenti per età, provenienza geografica e tecnica. Il percorso comincia al piano rialzato, dove una stanza accoglie quello che possiamo definire un albero genealogico della cultura Sufi: a partire da Allah e passando poi attraverso il poeta Maometto (e quindi dal Corano, di cui è presente in mostra una preziosa e affascinante copia), viene messa in evidenza la successione dei diversi maestri del Sufismo nel corso dei secoli. Una rappresentazione importante, che rende esplicite le profonde radici di questa cultura. Appena oltre si incontra uno dei manufatti più caratteristici del Sufismo: un’installazione, infatti, espone diversi esemplari dei cosiddetti kashkūl, contenitori realizzati con noci di cocco di mare decorate, tradizionalmente utilizzati dai Sufi (e in particolare, dagli asceti di questa corrente, ben noti col nome di “dervisci”). Proprio a questi manufatti (che nella loro forma originaria alludono all’organo genitale femminile) si ispirano i dipinti della tailandese Pinaree Sanpitak (Bangkok, 1961), il cui colore dominante (il rosso) riecheggia gli abiti dei dervisci. Alle geometrie decorative e architettoniche islamiche – e soprattutto a quelle della moschea Shah-Cheragh a Shiraz – sono ispirati i disegni e i mosaici specchianti dell’iraniana Monir Shahroudy Farmanfarmaian (Qazvin, 1922 – Teheran, 2019), mentre Seffa Klein (Phoenix, 1996), nipote del celebre Yves Klein, utilizza il metallo ossidato come pigmento per dipinti infusi delle atmosfere meditative e introspettive della cultura Sufi.
La storia del Sufismo al MACS MTO
Il secondo piano dell’esposizione approfondisce maggiormente la storia del Sufismo, tanto attraverso un video educativo quanto ricostruendo lo studio di Hazrat Shah Maghsoud, 41esimo maestro della scuola MTO, vissuto nel Novecento tra l’Iran e gli Stati Uniti. Al museo di Chatou è possibile prendere visione di una sua lezione (recitata direttamente dall’ologramma del maestro) sui temi dell’esistenza e della devozione. La medesima devozione necessaria per realizzare le tre monumentali opere esposte poco più avanti, raffiguranti un tavolo, un kashkūl e un recipiente noto come sangāb, ciascuno ricavato da un unico pezzo di marmo e finemente lavorato, evocando il processo di “levigatura interiore” dei Sufi.
Padlock with peacock decoration and its key Iran, 20th century. Courtesy of Musée d’Art et de Culture Soufis MTO. Ferrous alloy with engraved decoration, plant fibers. Courtesy of Musée d’Art et de Culture Soufis MTO. Photo by Laurent Edeline
L’arte contemporanea ispirata al Sufismo
Salendo l’ultima rampa di scale a chiocciola, invece, si incontrano altre opere d’arte contemporanea, come quelle della sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986), che con le sue installazioni esplora le intersezioni tra mondo naturale e antropico, oppure l’arazzo siliconico dello zimbabwese Troy Makaza, ispirato al percorso di conoscenza interiore Sufi. A spiccare sono però le sculture in vetro soffiato di Chloé Quenum (Parigi, 1983): la traslitterazione araba delle parole safā (limpidezza), samāʿ(ascolto spirituale) e sūf (lana) – tre termini chiave per la cultura Sufi – si trasformano in opere dall’aspetto organico ed evocativo. Chiude la mostra una serie di opere che l’artista marocchino Younes Rahmoun (Tétouan, 1975) ha installato in modo da essere visibili solamente prendendo l’ascensore, ricreando il percorso di ascesa spirituale promossa dal Sufismo.
MACS MTO: dove la cultura Sufi incontra l’arte contemporanea
A inaugurare il museo, una mostra distribuita sui tre piani espositivi e intitolata Un Ciel intérieur: i manufatti Sufi della collezione permanente dialogano con le opere di sette artisti contemporanei, differenti per età, provenienza geografica e tecnica. Il percorso comincia al piano rialzato, dove una stanza accoglie quello che possiamo definire un albero genealogico della cultura Sufi: a partire da Allah e passando poi attraverso il poeta Maometto (e quindi dal Corano, di cui è presente in mostra una preziosa e affascinante copia), viene messa in evidenza la successione dei diversi maestri del Sufismo nel corso dei secoli. Una rappresentazione importante, che rende esplicite le profonde radici di questa cultura.
Appena oltre si incontra uno dei manufatti più caratteristici del Sufismo: un’installazione, infatti, espone diversi esemplari dei cosiddetti kashkūl, contenitori realizzati con noci di cocco di mare decorate, tradizionalmente utilizzati dai Sufi (e in particolare, dagli asceti di questa corrente, ben noti col nome di “dervisci”). Proprio a questi manufatti (che nella loro forma originaria alludono all’organo genitale femminile) si ispirano i dipinti della tailandese Pinaree Sanpitak (Bangkok, 1961), il cui colore dominante (il rosso) riecheggia gli abiti dei dervisci.
Alle geometrie decorative e architettoniche islamiche – e soprattutto a quelle della moschea Shah-Cheragh a Shiraz – sono ispirati i disegni e i mosaici specchianti dell’iraniana Monir Shahroudy Farmanfarmaian (Qazvin, 1922 – Teheran, 2019), mentre Seffa Klein (Phoenix, 1996), nipote del celebre Yves Klein, utilizza il metallo ossidato come pigmento per dipinti infusi delle atmosfere meditative e introspettive della cultura Sufi.
Salendo l’ultima rampa di scale a chiocciola, invece, si incontrano altre opere d’arte contemporanea, come quelle della sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986), che con le sue installazioni esplora le intersezioni tra mondo naturale e antropico, oppure l’arazzo siliconico dello zimbabwese Troy Makaza, ispirato al percorso di conoscenza interiore Sufi. A spiccare sono però le sculture in vetro soffiato di Chloé Quenum (Parigi, 1983): la traslitterazione araba delle parole safā (limpidezza), samāʿ (ascolto spirituale) e sūf (lana) – tre termini chiave per la cultura Sufi – si trasformano in opere dall’aspetto organico ed evocativo. Chiude la mostra una serie di opere che l’artista marocchino Younes Rahmoun (Tétouan, 1975) ha installato in modo da essere visibili solamente prendendo l’ascensore, ricreando il percorso di ascesa spirituale promossa dal Sufismo.
La storia del Sufismo al MACS MTO
Il secondo piano dell’esposizione approfondisce maggiormente la storia del Sufismo, tanto attraverso un video educativo quanto ricostruendo lo studio di Hazrat Shah Maghsoud, 41esimo maestro della scuola MTO, vissuto nel Novecento tra l’Iran e gli Stati Uniti. Al museo di Chatou è possibile prendere visione di una sua lezione (recitata direttamente dall’ologramma del maestro) sui temi dell’esistenza e della devozione. Questa installazione immersiva non solo rende la figura di Shah Maghsoud accessibile, ma fornisce anche un contesto profondo per comprendere le fondamenta spirituali del Sufismo, evidenziando il legame tra il pensiero filosofico e la pratica religiosa.
Il percorso espositivo continua con tre opere imponenti, ciascuna realizzata in unico pezzo di marmo e finemente lavorata, che rappresentano un tavolo, un kashkūl e un recipiente noto come sangāb. Questi manufatti non sono semplici oggetti d’arte; essi evocano il processo di “levigatura interiore” dei Sufi, simbolizzando la trasformazione spirituale e il raggiungimento di una condizione di pura consapevolezza. La loro presenza al museo sottolinea l’importanza di gesti e riti quotidiani, i quali giocano un ruolo cruciale nel viaggio spirituale di un praticante Sufi.
L’esposizione è arricchita da reperti storici e artefatti che raccontano il percorso evolutivo del Sufismo, una tradizione che ha saputo adattarsi e rispondere alle sfide del tempo pur mantenendo intatti i suoi messaggi di amore e unità. L’interazione tra arte, spiritualità e storia presente al MACS MTO offre al visitatore un’opportunità unica di esplorare non solo un movimento religioso, ma anche un profondo ethos culturale che continua a influenzare il mondo contemporaneo.
L’arte contemporanea ispirata al Sufismo
Salendo l’ultima rampa di scale a chiocciola, invece, si incontrano altre opere d’arte contemporanea che offrono una nuova prospettiva sulla spiritualità e i valori Sufi. Tra queste spiccano le installazioni della sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986), la cui arte esplora con maestria le intersezioni tra il mondo naturale e quello antropico. Le sue opere, spesso caratterizzate da materiali sostenibili, invitano a riflettere su come la cultura Sufi possa ispirare un rispetto profondo per la natura e l’ambiente.
Anche l’artista zimbabwese Troy Makaza propone una riflessione suggestiva con il suo arazzo siliconico, che trae ispirazione dal percorso di conoscenza interiore tipico della tradizione Sufi. Le sue opere, cariche di simbolismi, sollecitano i visitatori a intraprendere un viaggio di introspezione, richiamando i principi di consapevolezza e meditazione che caratterizzano il Sufismo.
A completare la rassegna vi sono le sculture in vetro soffiato di Chloé Quenum (Parigi, 1983). Le sue creazioni si basano sulla traslitterazione araba delle parole safā (limpidezza), samāʿ (ascolto spirituale) e sūf (lana), elementi che assumono nuove forme artistiche. Queste opere, dall’aspetto organico ed evocativo, sfidano la percezione del visitatore e lo conducono a una comprensione più profonda delle connessioni tra il materiale e il spirituale.
La mostra si chiude con una serie di installazioni dell’artista marocchino Younes Rahmoun (Tétouan, 1975). Le sue opere, collocate in modo tale da essere visibili solo prendendo l’ascensore, sono concepite per evocare il percorso di ascesa spirituale promosso dal Sufismo. Questa scelta curatoriale non è casuale, bensì riflette l’idea di un cammino verso una consapevolezza più elevata, rendendo l’esperienza del visitatore un momento di riflessione profonda.