Scoperta italiana: acqua sul pianeta Cerere
Prima d’ora non era mai stata registrata la presenza di acqua al di fuori dell’ambiente terrestre, ma in realtà sembra che il ritrovamento di un minerale, in quantità particolarmente elevata, presente all’interno di un cratere di “recente” formazione, testimoni che di fatto l’acqua sul pianeta Cerere ci sia stata davvero.
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Cerchiamo di inquadrare meglio il contesto: Cerere è un pianeta nano, scoperto nel 1801 proprio da un italiano, l’astronomo Giuseppe Piazza.
Lo scienziato, di primo acchito, lo aveva identificato come una stella cometa, ma in seguito ad un esame più attento del suo moto, lento ed uniforme, e dopo aver constatato l’assenza di nebulosità intorno ad esso, era giunto alla conclusione che potesse essere “qualcosa di meglio”, come lui stesso aveva scritto nel suo diario.
Questo piccolo pianeta (solo 950km di diametro) si trova tra Marte e Giove, nella “fascia principale” degli asteroidi, appare con una superficie scura, ma ricca di micro zone molto brillanti.
Il ruolo italiano nella scoperta dell’acqua sul pianeta Cerere
Per studiare la composizione di questo corpo celeste, capire, tra le altre cose, quale fosse la natura di queste aree così riflettenti, e se fosse realmente possibile identificare la presenza di acqua sul pianeta Cerere, nel 2007 la Nasa ha lanciato la navetta Dawn, la quale ha fatto una tappa intermedia sull’asteroide Vesta nel 2011 per poi raggiungere Cerere nel marzo del 2015.
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La scoperta è da ricondurre ad un team di ricercatori italiano, guidato da Maria Cristina De Sanctis, coordinatrice INAF, che si è concentrato nell’osservazione dello spettrometro italiano VIR posto proprio a bordo di Dawn e fornito dall’agenzia Spaziale Italiana (ASI), che fa capo all’Istituto Nazionale di Astrofisica.
Proprio l’ASI si era premurata di assicurare la partecipazione italiana a questa fortunata missione stipulando un accordo “con NASA e DLR, e successivamente per la realizzazione dello strumento VIR-MS, e per il pieno supporto al team scientifico italiano che, messo nelle giuste condizioni, riesce a raggiungere eccellenti traguardi come questo”, ci ha tenuto a precisare con orgoglio Raffaele Mugnuolo, responsabile di programma.
Il minerale ritrovato che ha svlelato la presenza dell’acqua sul pianeta Cerere
Ma torniamo all’argomento principale: proprio in una delle zone estremamente riflettenti di Cerere, la più luminosa per l’esattezza, è stata ritrovata la presenza dei componenti di cui abbiamo accennato poco sopra: nel cratere Occator, che si è formato circa 80 milioni di anni fa e che quindi, geologicamente parlando, viene considerato piuttosto giovane.
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Questa formazione ha una larghezza complessiva esterna di ben 92 chilometri, mentre la depressione interna ha un diametro approssimativamente di 10 chilometri e proprio in questa area si trova un’ampia prominenza caratterizzata sia dall’elevata brillantezza che da fratture concentriche e radiali poste sopra ed intorno ad essa.
Dallo studio di questa zona gli scienziati hanno scoperto che il tipo di sale presente qui è lo stesso che sul nostro pianeta si trova negli ambienti termali, dove c’è appunto dell’acqua: il carbonato di sodio.
I ricercatori ne hanno rinvenuta un’elevata concentrazione, che hanno attributo ad una fuoriuscita di materiale inizialmente localizzato all’interno di Cerere stesso, escludendo che possa essere stato il risultato di uno scontro con un asteroide.
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Questa teoria comporta alcune implicazioni, ovvero che all’interno di Cerere vi siano delle temperature decisamente più elevate rispetto a quelle finora presunte, che hanno consentito il movimento dei materiali interni che hanno condotto alla risalita del minerale ritrovato.
Sebbene l’ipotesi che il cratere Occator sia stato formato tramite un’impatto con un asteroide, che ha quindi consentito l’esposizione del minerale salino, non sia remota, in realtà sembra più probabile che vi fosse dell’acqua sul pianeta Cerere presente allo stato liquido, come un oceano, oppure che all’interno del pianeta vi fossero accumuli di acqua che salendo in superficie si siano successivamente prosciugati lasciando solidificare il carbonato di sodio, naturalmente parliamo di avvenimenti risalenti a milioni di anni fa.
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