Robert Smith commenta l’avidità degli artisti sui biglietti dei concerti
I prezzi dei biglietti e la battaglia di Robert Smith
Robert Smith, noto per il suo spirito ribelle, ha recentemente preso posizione contro l’industria dei concerti, esprimendo forte critica nei confronti della crescente avidità che caratterizza la vendita dei biglietti. Con l’annuncio del primo tour statunitense dei Cure dopo sette anni, Smith ha dato vita a un’iniziativa che si distacca dalle norme consolidate, diventando simbolo della sua resistenza a un sistema considerato ingiusto e sfruttatore. La sua protesta si concentra in particolare su pratiche come il “dynamic pricing” utilizzato da Ticketmaster, un metodo che regola il costo dei biglietti in base alla domanda, permettendo a chi rivende i biglietti di alzare i prezzi in modo esorbitante, come evidenziato recentemente durante le date di reunion degli Oasis.
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In netto contrasto con questa prassi, i Cure hanno previsto biglietti non trasferibili, una decisione mirata a limitare le speculazioni e i guadagni illeciti da parte di intermediari. Smith non si è tirato indietro nel commentare apertamente questa situazione: «Non abbiamo permesso il dynamic pricing perché è una truffa che potrebbe benissimo sparire se ogni artista dicesse: “Non lo voglio”». Le sue parole, dirette e senza filtri, hanno acceso un dibattito accesissimo sulla responsabilità degli artisti verso i loro fan e sull’integrità dell’industria musicale nel suo insieme. Molti artisti, dichiara, si nascondono dietro il management, disinteressandosi delle conseguenze delle loro scelte commerciali.
Smith, che da oltre quarant’anni rappresenta una voce di dissenso nell’ambito musicale, si descrive come un outsider che ha sempre preferito tracciare un cammino autentico, rifiutando di conformarsi alle convenzioni del mercato. La sua battaglia è motivata non solo da considerazioni economiche, ma anche da una forte preoccupazione per l’equità, affermando che sistemi come il dynamic pricing allontanano i veri fan e favoriscono solo pochi privilegiati che lucrano sulla passione collettiva.
Questa frustrazione non è nuova e si inserisce in un contesto più ampio, in cui la cultura e l’arte sono sempre più soggette alle logiche del profitto. Smith invita, quindi, gli artisti a prendere coscienza delle loro azioni e a non ignorare l’impatto che queste hanno sui propri seguaci, segnando così un cambiamento radicale nel modo di intendere la musica dal vivo.
La scelta dei Cure contro il dynamic pricing
I Cure, sotto la direzione visionaria di Robert Smith, hanno preso una posizione chiara e decisa contro il modello di «dynamic pricing» che ha caratterizzato il panorama della vendita di biglietti negli ultimi anni. Questa pratica, che regola il prezzo dei biglietti in base alla domanda, ha portato a un’inflazione dei costi, rendendo i concerti inaccessibili per molti fan. Smith ha manifestato il suo disappunto, sottolineando come tale sistema non solo danneggi il pubblico, ma minacci anche l’integrità della musica dal vivo. In risposta a questa tendenza, i Cure hanno deliberatamente scelto di non adottare il dynamic pricing per il loro tour, realizzando un’impostazione di biglietti non trasferibili. Questa strategia si propone di limitare le opportunità di profitto per i rivenditori, i quali spesso speculano sul desiderio dei fan di partecipare agli eventi dal vivo.
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La decisione di Smith e della band di combattere contro tale modalità di commercializzazione è stata vista come un gesto audace nel contesto attuale, in cui molti artisti si stanno silenziosamente adeguando alle norme del mercato, probabilmente per opportunismo o per mancanza di coraggio. In un’intervista, Smith è stato molto chiaro: «La truffa potrebbe scomparire se ogni artista si dissociasse da essa». Le sue parole non lasciano spazio a interpretazioni; c’è un richiamo a una responsabilità collettiva, una richiesta di consapevolezza circa le conseguenze che le proprie scelte commerciali possono avere sui fan e sulla comunità musicale nel suo complesso.
In un sistema che sembra beneficare solo pochi privilegiati, Smith vede l’importanza di restituire la musica a chi la ama realmente. La scelta dei Cure di intraprendere questo cammino distintivo non è solo una risposta a un problema attuale, ma un invito agli artisti a riflettere su ciò che la musica rappresenta e su come deve essere vissuta dai fan. La musica dal vivo, per Smith, non dovrebbe diventare un privilegio per pochi, ma un’esperienza condivisa che tutti possano permettersi.
Questa battaglia non si limita alla sfera economica, ma affronta anche una questione di principio: la necessità di difendere l’integrità artistica contro un mercato sempre più orientato al profitto e al guadagno veloce. In un’epoca in cui molte voci si allineano passivamente alle richieste dell’industria musicale, la posizione assunta dai Cure si propone come un faro di speranza per coloro che cercano un’autenticità in un panorama musicale sempre più commercializzato.
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La critica agli artisti e al management
Robert Smith ha lanciato una provocatoria invettiva nel panorama musicale contemporaneo, indirizzando le sue critiche non solo verso l’industria dei concerti, ma anche nei confronti degli stessi artisti e delle loro scelte managerial. In un mondo in cui il profitto sembra aver preso il sopravvento sull’arte, Smith invita i colleghi a prendere coscienza dei meccanismi che regolano la vendita dei biglietti e l’approccio economico alla musica. Secondo il frontman dei Cure, “la maggior parte degli artisti si nasconde dietro il management”, una frase che mette in luce come molti musicisti si disinteressino delle dinamiche di mercato che influenzano i loro fan.
Questa dissociazione tra artisti e pubblico ha effetti devastanti, in particolare quando si parla di sistemi come il “dynamic pricing”. Smith accusa i suoi colleghi di essere complici di un sistema che non solo danneggia i fan, ma impoverisce anche la loro esperienza musicale. Con il suo slogan provocatorio, «Non lo vogliamo», invita i musicisti a fare una scelta consapevole, esortandoli a rifiutare pratiche che ledono il loro stesso pubblico. In un momento in cui le vendite dei biglietti possono raggiungere cifre astronomiche, affinché il liberarsi da simili meccanismi diventi la norma, ogni artista deve farsi portavoce di un cambiamento radicale.
Smith non si limita a criticare l’inefficienza e l’avidità che permeano l’industria musicale, ma evidenzia anche un aspetto cruciale della questione: la responsabilità morale degli artisti. “Se dicono di no, o sono stupidi o mentono”, afferma con veemenza, esprimendo una frustrazione che trova risonanza tra molti appassionati della musica. I fans, spesso sottovalutati, sono il cuore pulsante dell’industria e meritano rispetto e considerazione, non solo per le loro spese, ma anche per il loro amore per l’arte. Smith propone un invito aperto ai musicisti a riconsiderare le loro scelte e a partecipare attivamente a una lotta per l’integrità.
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In definitiva, la posizione di Smith si configura come un manifesto per una musica più equa e accessibile. Chiedere agli artisti di rimanere attenti alle dinamiche manageriali e di non rinunciare alla propria voce significa promuovere l’idea che l’arte debba servire il pubblico, piuttosto che viceversa. Il suo approccio è un modello per ciò che potrebbe rappresentare il futuro della musica dal vivo, non esclusa dall’avidità degli intermediari, ma piuttosto radicata nella connessione umana e nella verità artistica.
L’uscita di “Songs of a Lost World” e il suo significato
Il nuovo album dei Cure, “Songs of a Lost World”, emerge in un contesto carico di significato e riflessione. Quest’opera, la prima dopo un silenzio discografico durato quindici anni, non è solo una continuazione del percorso musicale di Robert Smith e della sua band, ma rappresenta anche un manifesto in cui si intrecciano temi di equità, nostalgia e disillusione. Il titolo stesso suggerisce un’epoca perduta, un mondo musicale in crisi, dove l’autenticità si scontra con le dinamiche commerciali spietate che dominano l’industria.
Smith, riconosciuto da sempre come un artista che ha saputo navigare tra le acque tumultuose del music business, utilizza questo lavoro per esprimere il suo rifiuto verso un sistema che sembra aver dimenticato i suoi veri sostenitori. Le canzoni di “Songs of a Lost World” riflettono una profonda inquietudine legata alla mercificazione dell’arte. La sua amara critica non si limita a una semplice lamentela, ma si presenta come un’esortazione ai fan e agli artisti a ripensare le proprie priorità, a riscoprire la magia della musica dal vivo e il suo potere aggregante.
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Juntos a temi di avidità e di appropriazione, emergono nell’album elementi autobiografici significativi. Smith riporta alla memoria il suo primo concerto da adolescente, quando si sentì tradito dopo un’esibizione di David Bowie durata solo 42 minuti. Questo episodio, vivido nella sua mente, lo ha ispirato a garantire che i concerti dei Cure siano eclettici e duraturi, un dono per i fan che esprimono la loro passione e il loro supporto. Infatti, le performance della band sono celebri per la loro lunghezza e intensità, un chiaro rifiuto alle esperienze superficiali e brevi che caratterizzano alcuni degli eventi musicali odierni.
Le tracce dell’album risuonano non solo come un ritorno al passato, ma anche come una riflessione sulle difficoltà del presente. Smith invita a guardare oltre le superficialità e ad abbracciare il messaggio di autenticità e connessione. Mentre l’industria musicale si spinge sempre più verso il profitto, il frontman dei Cure cerca di riportare la musica al suo significato più profondo: quello di creare legami e esperienze che superino le barriere economiche. «È facile cadere nella trappola di parlare dei bei tempi andati», afferma Smith, sottolineando l’importanza di affrontare le sfide contemporanee con un senso di solidarietà.
In un’epoca in cui le crisi sociali ed economiche plasmare il nostro vissuto, “Songs of a Lost World” emerge come un’opera necessaria: invita all’introspezione, alla ricerca di significati veri e autentici in un panorama musicale che, per troppo tempo, ha seguito logiche di guadagno. Con questo album, Robert Smith non solo celebra la sua carriera, ma sfida gli ascoltatori, invitandoli a unirsi a lui in questa battaglia per un’arte che riacquisti il suo valore intrinseco e umano.
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Riflessioni sulla musica dal vivo e l’accessibilità
La musica dal vivo ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella cultura popolare, fungendo da catalizzatore per la connessione tra artisti e fan. Tuttavia, l’attuale panorama dell’industria musicale ha suscitato grandi preoccupazioni per quanto riguarda l’accessibilità degli eventi dal vivo. Robert Smith sottolinea che il crescente costo dei biglietti, amplificato dalle pratiche come il “dynamic pricing”, rischia di escludere una larga fetta di pubblico appassionato, riducendo la musica a una mera esperienza elitaria. La sua battaglia non è solo contro l’avidità sistemica, ma anche per restituire a tutti il diritto di vivere la musica in modo autentico e significativo.
Con l’aumento dei prezzi dei biglietti e le pratiche commerciali aggressive, il rischio è che la musica dal vivo diventi un lusso. Smith, con il suo approccio critico, evidenzia come il sistema attuale stia danneggiando l’essenza stessa degli eventi musicali, distruggendo la genuinità di ciò che dovrebbe essere un momento di condivisione collettiva. Egli afferma che i concerti dovrebbero essere opportunità per tutti, anziché occasioni esclusive riservate a pochi privilegiati. Un artista, secondo Smith, ha il dovere di considerare il legame che lo unisce ai propri fan, e ogni scelta commerciale dovrebbe riflettere questo rispetto.
La propensione a elevare i costi dei biglietti in base alla domanda non solo minaccia l’accesso dei fan, ma altera anche la relazione tra artista e pubblico. Smith crede fermamente che un concerto non funzioni solo come un mero spettacolo da eseguire; è un’esperienza condivisa, un momento in cui il pubblico vive e respira in simbiosi con l’artista. Ed è in quest’ottica che la sua critica si rende ancora più pertinente: nel momento in cui si antepongono il profitto e l’avidità alla qualità dell’esperienza, si perde il senso stesso della musica dal vivo.
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Per Smith, la vera essenza della musica risiede nella sua capacità di unire le persone, di creare legami e di evocare emozioni. L’artista deve quindi rimanere fedele a questa missione e combattere per un’industria musicale più giusta. Le scelte che i musicisti fanno, incluse quelle relative al prezzo dei biglietti, parlano molto di come vedono il loro ruolo in relazione al pubblico. Sostenere la musica dal vivo come un diritto e non come un privilegio è una battaglia cruciale che Smith sta conducendo, affinché nessun amante della musica venga escluso da concerti di grande valore emotivo.
In questo contesto, è fondamentale una riflessione da parte di tutti gli artisti. Smith invita i musicisti a considerare le implicazioni delle loro decisioni commerciali, a ripensare la loro relazione con il pubblico e a difendere un’arte che ha un significato intrinseco e umano. Ristabilire l’accessibilità alla musica dal vivo può quindi diventare non solo un obiettivo, ma anche un movimento collettivo che rimette al centro la genuinità, la creatività e il legame autentico tra chi sale sul palco e chi assiste. La musica, alla fine, dovrebbe essere un rifugio per tutti, un’esperienza vissuta all’unisono, non un’elite da cucire intorno a un mondo di avidità e speculazioni.
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