Rifkin al Wired Next Fest 2024: Riconsiderare governance sociale e ambiente nel mondo d’acqua
L’importanza dell’acqua nel nostro pianeta
Il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi, dice Jeremy Rifkin. Siccità, inondazioni, ondate di calore, incendi incontrollabili: gli eventi meteorologici estremi sono sempre più frequenti e devastanti. “Dobbiamo chiederci come è successo tutto questo”, esordisce l’economista e sociologo americano Jeremy Rifkin in collegamento sul palco del Wired Next Fest Trentino 2024. La risposta, secondo l’autore di best-seller in uscita con il suo nuovo libro Pianeta acqua (Mondadori), va cercata nel modo in cui nella storia umana le varie civiltà hanno sfruttato le risorse idriche del nostro pianeta.
Per seimila anni, gli esseri umani hanno cercato di adattare il pianeta alle proprie esigenze, sfruttando le risorse idriche per l’irrigazione e l’agricoltura. Dalle prime civiltà della Mesopotamia e della valle dell’Indo fino all’Impero Romano e ai Maya, la storia si ripete: più persone da sfamare, più acqua è necessaria. Questo modo di fare ha dato inizio a uno sfruttamento insostenibile delle risorse idriche. Ma ora, avverte Rifkin, siamo arrivati al punto in cui “l’atmosfera si sta ribellando” e “l’intera infrastruttura sta andando giù”. Il primo campanello di allarme, però, avremmo dovuto averlo già nel 1968, quando gli astronauti dell’Apollo 8 scattano le prime foto della Terra dallo spazio. “Mostravano che il nostro è un pianeta azzurro, e questo fu uno shock”, ricorda l’economista.
Sono passati più di sessant’anni, secondo l’autore americano quell’immagine avrebbe dovuto farci cambiare il modo in cui pensiamo alla Terra, eppure continuiamo a comportarci come se vivessimo su un pianeta fatto di risorse infinite.
La crisi climatica e il suo impatto sulle società
La situazione attuale, secondo Jeremy Rifkin, non è solo una questione di cambiamenti climatici isolati, ma piuttosto un complesso intreccio di eventi che coinvolge direttamente le nostre società. “La crisi climatica colpisce in modo uneven, si manifesta con maggiore intensità nelle aree vulnerabili e porta con sé il rischio di destabilizzazione sociale”, avverte. Gli effetti della crisi idrica e climatica sono evidenti in tutto il mondo, aggravando conflitti esistenti e mettendo a rischio la sicurezza alimentare.
Le risorse idriche scarseggiano, influenzando l’agricoltura e portando a una competizione sempre più accesa tra le nazioni e le comunità per l’accesso all’acqua. Rifkin sottolinea come “la mancanza d’acqua non è solo una crisi ambientale; è un problema di governance e giustizia sociale.” Le popolazioni più povere, spesso le più vulnerabili, sono quelle che subiscono le conseguenze più gravi, accentuando disuguaglianze sociali già esistenti.
Rifkin osserva, inoltre, che le migrazioni forzate saranno uno degli effetti più drammatici della crisi climatica. “Se non garantiamo l’accesso alle risorse fondamentali, i rifugiati climatici aumenteranno e le tensioni geopolitiche si intensificheranno”, avverte. La sfida è quindi quella di trovare soluzioni integrate che possano affrontare in modo simultaneo le crisi ambientale, sociale ed economica.
In questo contesto, la necessità di modelli di governance che considerino il benessere delle comunità e la sostenibilità ambientale è più urgente che mai. Rifkin invita tutti a immaginare un nuovo futuro in cui “le risposte non vengano imposte dall’alto, ma emergeranno dalle comunità stesse in una collaborazione globale.” Solo dando potere alle comunità locali sarà possibile affrontare le sfide della crisi climatica in modo efficace e inclusivo.
La rivoluzione del decentramento e le nuove forme di governance
Questa consapevolezza, tuttavia, non ha ancora portato a un cambiamento radicale nel nostro approccio. “Stiamo usando le stesse idee che hanno portato a questa crisi”, ha denunciato Rifkin. “Le organizzazioni mondiali, come l’Onu o la Banca mondiale, ci hanno portato a questa situazione. Quello che stiamo facendo è tutto sbagliato”. La soluzione, secondo Rifkin, passa per una nuova rivoluzione industriale, quella che in realtà stiamo già vivendo oggi.
“Stiamo passando dalla globalizzazione alla glocalizzazione”, ovvero quel processo di adattamento di prodotti e servizi globali alle realtà locali, combinando tendenze globali con caratteristiche e bisogni specifici delle comunità locali. Rifkin spiega: “Ci stiamo muovendo da grandi aziende centralizzate a piccole e medie imprese distribuite. L’open source e la conoscenza condivisa sono più veloci ed efficienti”. Questo cambiamento investe ogni settore, dall’energia rinnovabile distribuita alla mobilità condivisa e autonoma.
Secondo l’economista, questa trasformazione rappresenta la più grande crisi politico-sociale che abbiamo mai affrontato. Le strutture di potere centralizzate stanno cedendo il passo a forme di organizzazione più locali e partecipative, mettendo in discussione i modelli di governance tradizionali. Contemporaneamente, stiamo vivendo la più grave crisi climatica e idrica della storia. Che questa rivoluzione sia diversa da tutte le altre lo si vede dal fatto che “i ragazzi di organizzazioni come Fridays for future sono scesi in piazza in quanto esseri umani: questa è la prima volta che si protesta tutti uniti al di là della politica e della nazionalità”.
Rifkin vede in questa convergenza di crisi un’opportunità senza precedenti: “Stiamo assistendo a uno spostamento dalla produttività alla generatività, dalla crescita alla circolarità”. Questo nuovo paradigma, basato su sistemi distribuiti e approcci rigenerativi, potrebbe fornire gli strumenti necessari per ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e le risorse naturali, passando da un modello di sfruttamento a uno di sostenibilità e resilienza.
Opportunità e sfide: un nuovo paradigma per il futuro
Rifkin enfatizza come la crisi climatica e la scarsità d’acqua non siano solo problemi da affrontare, ma siano anche occasioni per ripensare completamente il nostro modo di vivere e lavorare. “La crisi è un catalizzatore”, afferma, “una forza in grado di generare nuove idee e modi di cooperare.” Questo nuovo paradigma richiede una prospettiva radicalmente diversa, incentrata sulla sostenibilità e la generazione di comunità resilienti, capaci di affrontare le sfide ambientali senza precedenti.
In tal senso, Rifkin sottolinea la necessità di una interconnessione tra diverse aree della vita sociale ed economica. “Dobbiamo integrare l’educazione alla sostenibilità nei curricula scolastici”, dice. La formazione delle nuove generazioni su questioni ambientali e sociali è essenziale per costruire una società consapevole e responsabile. Le tecnologie sostenibili, come l’energia rinnovabile e le pratiche di economia circolare, devono diventare parte della vita quotidiana.
Un altro aspetto cruciale di questo cambiamento è l’adozione di pratiche collaborative. Rifkin parla dell’importanza di reti di condivisione tra comunità e imprese locali, dove il sapere e le risorse possano essere scambiati in modo equo. “La chiave per il futuro risiede nella nostra capacità di cooperare, non di competere,” afferma, enfatizzando che il successo di una comunità non dovrebbe essere misurato dalla crescita economica, ma dalla qualità della vita e dalla salute dell’ambiente.
Questa nuova visione di governance implica anche un ripensamento del ruolo delle istituzioni. “Devono diventare facilitatori, non solo regolatori,” propone Rifkin. Le strutture governative devono sostenere l’innovazione locale e promuovere politiche che incoraggino la sostenibilità, creando un ambiente dove le imprese e le comunità possano fiorire. In questo contesto, l’adozione di pratiche trasparenti e partecipative è fondamentale per costruire la fiducia necessaria alla costruzione di un futuro condiviso.
Il ruolo dell’Europa e dell’Italia nella transizione sostenibile
Rifkin sostiene con fermezza che l’Europa ha l’opportunità e la responsabilità di guidare questo cambiamento fondamentale. “Quello che succede oggi in Europa è interessante”, afferma, sottolineando l’importanza dell’iniziativa europea per affrontare la crisi climatica e idrica. L’idea di un “blue deal” mira a riconsiderare l’approccio delle industrie nei confronti delle risorse idriche, rendendo evidente che l’acqua è una risorsa finita.
Questa proposta si presenta come un complemento al green deal europeo, segnando una svolta nella governance ambientale. Rifkin evidenzia che se in Europa è stato possibile costruire l’Unione dopo anni di conflitti, è possibile intraprendere un percorso simile per affrontare le emergenze ambientali. “Dobbiamo realizzare che viviamo in un unico pianeta”, prosegue, invitando a una cooperazione che trascende i confini nazionali.
In particolare, lui indica l’Italia come un attore chiave nella transizione sostenibile, grazie alla sua storia di innovazione, agricoltura sostenibile e tecnologie verdi. La cultura italiana, unita alla sua posizione geografica strategica, le conferisce un potenziale unico per sviluppare soluzioni innovative che possano essere esportate a livello globale.
La sfida per l’Italia sarà quella di trasformare le crisi, attualmente percepite come ostacoli, in opportunità di crescita e innovazione. Secondo Rifkin, è fondamentale investire in infrastrutture sostenibili, promuovere l’economia circolare e favorire pratiche agricole che rispettino l’equilibrio degli ecosistemi. Un nuovo modello economico, basato sulla sostenibilità e sull’inclusione sociale, non solo porterà benefici all’ambiente, ma migliorerà anche la qualità della vita dei cittadini.
Rifkin conclude la sua analisi con un invito chiaro: “La crisi crea opportunità”. La sfida è ora quella di cogliere queste occasioni per ripensare e costruire un futuro che sia sostenibile, inclusivo e resiliente, ponendo l’acqua e l’ambiente al centro del nostro operato. La vera crescita non sarà misurata dal PIL, ma dal benessere delle persone e dalla salute del nostro pianeta.